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UDI invia lettera a Merkel Tusk Juncker Renzi

fatti colonia

Care,

in seguito ai gravi fatti accaduti in Germania a Capodanno,  abbiamo inviato oggi alla Cancelliera Merkel, ai Presidenti del consiglio e della Commissione Europea e al Presidente Matteo Renzi la lettera che vi alleghiamo.

Un caro saluto

Vittoria Tola e il Coordinamento nazionale

 

 

 udi                           Alla Cancelliera Angela Merkel

                                                            Al Presidente Donald Tusk

                                                            Al Presidente Jean-Claude Juncker

                                                            Al Presidente del Consiglio Matteo Renzi

Le violenze avvenute tra la notte di S. Silvestro e Capodanno 2016 a Colonia e in altre città tedesche hanno provocato indignazione e dolore nelle donne di tutta Europa.

Per tutti i fenomeni riconducibili alla violenza maschile sulle donne, dolore e indignazione sono sentimenti che conosciamo bene. Il femminicidio è un’esperienza che unisce le donne di tutto il mondo, come le unisce la solitudine di fronte ai responsabili istituzionali, che nonostante gli impegni assunti negli organismi internazionali, persistono in un atteggiamento omissivo e parziale.

La Convenzione di Istanbul, fortemente voluta dal Consiglio d’Europa e purtroppo non sottoscritta e ratificata dalla Germania e dalla UE, prescrive interventi non solo di sostegno alle vittime, ma dà indicazioni chiare sul piano squisitamente politico. Su questo, e ciò ci lascia sgomente, la reazione complessiva in sede Europea di fronte al gravissimo attacco subito da centinaia di donne il 31 dicembre 2015, è stata tardiva, imbarazzata e, purtroppo, occasione per dirigere il giusto disgusto per l’accaduto a finalità estranee alle priorità avvertite, ormai storicamente, dalle donne. Prima fra tutte il perseguimento della piena libertà.

Noi crediamo che gli Stati europei, prima ancora di essere inadeguati nell’accoglienza delle persone, siano fortemente in contraddizione, in quanto a dichiarazioni e fatti, di fronte alla prima delle differenze: quella tra donne e uomini.

Lo spirito solidale manifestato di fronte agli attacchi criminali, in più occasioni e coralmente, dai massimi rappresentati degli Stati, dalle comunità religiose di ogni confessione, fino ai massimi esponenti della cultura, è mancato nell’occasione della strage di libertà perpetrata a Capodanno.

Ancora una volta abbiamo visto l’impreparazione, l’incertezza e l’usuale tolleranza verso le espressioni muscolari della dominanza machista.

Noi, pur consapevoli dell’essere tuttora e da sempre in lotta per la nostra liberazione dalla violenza maschile, riteniamo insopportabile che alcuni obiettivi, anche i più parziali, in materia di libertà femminile, conquistati con fatica, siano elusi da paesi autorevoli in Europa e dall’Europa stessa e che queste elusioni costituiscano il segnale allarmante di un disimpegno.

Disimpegno nell’applicazione di norme minime e non negoziabili, come quelle sulla violenza, che bene o male tutti i paesi hanno approvato. Lasciate sulla carta, vengono nominate per diffondere un falso senso comune della parità e, con il linguaggio dei media forti e manipolatori della realtà, si danno per anacronistici i termini che descrivono la condizione imposta alle donne. La violenza sessuata tra le pareti domestiche, nei rapporti di lavoro dipendente, nelle istituzioni scolastiche, viene suggerita come male inarginabile, quella subita per le strade, o nei luoghi del tempo libero dal lavoro e degli impegni quotidiani, come male procurato dalle vittime stesse.

Nelle forze di polizia, nei responsabili politici, è radicata la convinzione che la violenza perpetrata da sconosciuti, da bande criminali o da branchi di maschi di qualunque colore o religione, che da sempre avanzano il diritto di proprietà sulla notte, sia conseguenza di un naturale rischio che le donne si assumono, per quella specie di binomio tanto radicato nella cultura occidentale: rischio-colpa.

La rimozione di uno o più responsabili è non solo insufficiente, ma fuorviante, perché non si sono uditi né visti ripensamenti sul linguaggio e sui modi di porsi verso le cittadine, sia europee che provenienti da altri paesi. Noi ci chiediamo quale sia il tipo di formazione richiesto al mondo dell’informazione, alle forze di polizia e agli operatori dei servizi nel nostro continente.

Teniamo a ricordare, come prescrive la Convenzione di Istanbul, che le donne danneggiate hanno diritto al risarcimento del danno subito, ed è naturale che sia l’amministrazione competente a provvedere, in attesa di una possibile rivalsa sui responsabili. C’è poi un altro risarcimento ed è quello dovuto a tutte le donne presenti nel nostro paese, che consiste nella vera attenzione dei politici alla salvaguardia delle libertà conquistate dal femminismo per tutte.

Il senso di disuguaglianza che noi tutte subiamo dai nostri governi, indipendentemente dal loro colore, ci spinge a dichiararci tutte tedesche e tutte migranti in attesa di giustizia.  

 

UDIUnione Donne in Italia

 

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Alcuni titoli di giornali italiani: Colonia, decine di donne violentate da branco di 1000 islamici … Notte di orrore a Colonia. Stupri di massa a Capodanno

Qualche autorevole giornale fa immediata dietro-antropologia: … Da dove viene il branco di Coloniafra chi arriva vi sono portatori di usi e costumi che si originano dalle lotte ataviche per pozzi d’acqua, donne e bestiame. Le conseguenze sono nelle cronache di questi giorni …

La polizia tedesca per giorni tergiversa, appare quasi svogliata, cade qualche testa, tuttora non sono ben definiti i tratti reali e l’estensione del “vergognoso episodio”: … le donne, accompagnate o meno, sono rimaste in balìa di folle di uomini sbronzi …

C’è comunque una tacita conventio: sono loro, loro che … erano organizzati … era premeditato … ll capro espiatorio simbolico ostentato o timidamente indicato come autore delle violenze è l’islamico.

Ma d’altra parte sono le stesse violenze che avvengono durante le ricorrenze dell’Oktoberfest, 7,5 milioni di boccali di birra, Maßkrug da un litro, con una decina di denunce di stupri in media, come rilevano da tempo osservatrici e osservatori. Ma si calcola che possano arrivare fino a 200 e più non denunciati, dal momento che l’articolo 177 del codice penale tedesco richiede l’indagine e l’onere della prova della “resistenza oppositiva” da parte della vittima.

“Il solo tragitto verso il bagno diventa una sfida. Uomini sconosciuti che cercano di abbracciarti, pacche sul sedere, tentativi di alzarti la gonna e una pinta versata di proposito nella scollatura sono il bilancio di soli 30 metri,” scrivevano Karoline Beisel e Beate Wild nel 2011 sulla Suddeutschen Zeitung. E continuavano, “Se reagisci in modo scontroso, ti danno della ‘troia’ o peggio.” [Vice.com]

Senza minimamente voler attenuare le responsabilità sia individuali che collettive sul piano penale, anche ammettendo la premeditazione come potrebbe dimostrare il frasario offensivo sequestrato a qualche arrestato, il discorso di fondo solo da poche parti è tracciato con forza. Ed è quello di sempre, quello delle “infinite volte” in particolare quando viene inflitta una umiliazione o violenza o morte ad una donna.

È un discorso universale sulla condizione della donna che non ha latitudine, etnia, che da migliaia di anni perseguita le donne: l’assoggettamento, il senso di proprietà fisica e mentale da parte degli uomini. È diffuso in ogni paese, ha radice in ogni mente maschile e purtroppo si auto-semina.

Le democrazie “avanzate” non riescono a mascherare questo dato di fatto. Non si spiega come i paesi scandinavi per esempio siano ai primi posti in Europa per stupro.

“… è veramente carente l’assunzione di responsabilità da parte degli Stati nell’agire con la dovuta diligenza per la promozione e protezione dei diritti delle donne..”

“Le donne sono discriminate e subordinate non solo sulla base del sesso, ma per altri motivi, come casta, classe, abilità, orientamento sessuale, tradizione e altre realtà che espongono molte di loro a una violenza continua nel corso di tutta la vita, dal grembo materno alla tomba” [Rashida Manjoo, relatrice speciale ONU per la violenza sulle donne, 2012]

L’UDI vuole rivolgere oggi alle personalità politiche di cui sopra non una lezione etica ma un accorato appello perché le cose cambino per quanto nella loro disponibilità.

La struggente voce di Mia Martini canta: Gli uomini non cambiano … No. Devono cambiare.

UDIrc

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mediterranea

 

mediterranea

No al sessismo No al razzismo

A poche settimane di distanza dalla notte di violenze contro le donne in Germania che ha suscitato il dibattito anche sui media italiani, ci sembra interessante proporre un articolo ‘decentrato’ – abbiamo scelto e tradotto l’analisi di una giovane studiosa di scienze sociali, Salimata Sali, originaria del Senegal che vive e lavora in Canada. Si autodefinisce femminista e impegnata sul terreno dei diritti civili.  

Carla Pecis, UDI Catania

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MEDITERRANEA 2016

pagine di lettura verso il Congresso dell’UDI gennaio 2016

Salimata Sali – Nude o vestite, le donne non sono prede sessuali

Centinaia di donne hanno presentato denuncia alle autorità tedesche per aggressioni sessuali durante la notte di San Silvestro a carico di uomini descritti come “arabi” o “nord-africani”. Il fenomeno di grande impatto è stato messo sotto silenzio per evitare di stigmatizzare o colpevolizzare una determinata componente sociale. È stato un grave errore. Una ingiustizia rimane sempre tale e nominarla non vuol dire generalizzare. È un fatto.

Nessuna sorpresa, sono colpita, non è la prima volta che le violenze contro le donne mi lasciano in uno stato d’animo di pena profonda, dolore profondo che spinge all’azione contro l’ingiustizia. D’altro canto, le aggressioni sessuali commesse in terra tedesca mi riportano verso altri luoghi,soprattutto in Africa nelle zone di guerra o in quelle devastate dalle ingiustizie e dalle diseguaglianze, dove tutte le forme di violenza sono costantemente rivolte contro le donne.

L’esempio più duro che mi umilia mi viene dal Congo. In quell’area assistiamo al totale disimpegno delle autorità locali e della comunità internazionale, assuefatte alla non azione e alla banalizzazione che finisce per normalizzare un fenomeno crudele a cui invece non ci si dovrebbe assuefare. Donne e bambine vivono una vita d’inferno sotto scacco di maschi aggressori e di una società che le rifiuta, che sempre riporta sulle vittime la colpa delle aggressioni sessuali considerandole esseri senza valore, quindi oggetti sporchi da abbandonare, che sono causa della loro stessa mala sorte…

Colpevolizzare le vittime: questa inumana scorciatoia priva di giustizia e partecipazione è stato l’atteggiamento assunto dalla sindaca di Colonia Henriette Reker, che consigliava alle donne “di tenersi ad una certa distanza dagli sconosciuti per proteggersi dalle aggressioni”: no, non sono le donne che devono tenersi alla larga dagli uomini, sconosciuti o conosciuti. Le donne non devono cambiare il loro modo di vestire per non eccitare la libido di uomini incapaci di controllo. No.

Dopo lo choc, la lucidità mi impone di sottolineare alcune evidenti differenze tra la Germania e il Congo. La sofferenza dei migranti non ha lasciato quasi nessuno indifferente. Malgrado la partecipazione umana alcuni hanno presentato la priorità della sicurezza come condizione per l’accoglienza. È una scelta molto razionale. Tuttavia la Germania, che ha dato prova di disponibilità e generosità nei confronti del flusso migratorio rispetto alle altre grandi potenze occidentali, ha trascurato lo scontro di culture e l’esperienza d’ineguaglianza basata sul genere, il sessismo. Lo scontro dei rapporti tra generi è quindi più forte. Di grande portata. Le statistiche parlano di centinaia di aggressioni e non di casi isolati. I presunti colpevoli condividono caratteristiche comuni riferibili al patriarcato, cioè il potere e l’abuso degli uomini sulle donne. Il patriarcato è ingiustizia comune a quasi tutte le società nel corso della storia. L’Occidente non vi è sfuggito. Ma alcune società soprattutto occidentali se ne sono sbarazzate grazie alle lotte femministe e all’affermazione di una domanda di giustizia sociale che ha ancora passi da fare, mentre altre società ancora sono immerse nel patriarcato e lo coltivano con la religione e la cultura È un fatto.

Per governare i problemi aperti dalle migrazioni di massa generate dalle ingiustizie planetarie bisogna riconoscere che l’arrivo di persone provenienti da altre culture, da altri valori e religioni possono creare tensioni. Questo non vuole assolutamente dire che si devono chiudere le porte ai migranti. Ma occorre trovare mezzi efficaci che precedono l’accoglienza e proporre loro un aggiornamento/adeguamento con la popolazione locale sull’eguaglianza dei uomini e donne nella dignità e nei diritti, sulla laicità e la libertà d’espressione. Bisogna riconoscere che i paesi occidentali, con tutti i loro difetti, al loro interno sono avanti sui rapporti di genere. In questo senso sono dei modelli per alcuni paesi come per il mio paese d’origine, il Senegal, ma anche e maggiormente per i paesi islamici. Le statistiche ci dicono che esiste una forte correlazione tra ingiustizie e diseguaglianze nei paesi islamici governati dalla Sharia diversamente che nei paesi laici. È un fatto.

In Occidente le donne hanno abbandonato i ruoli secondari per prendere il loro posto a pieno titolo nella società. La minigonna non sarà barattata con la gonna lunga. I capelli al vento non saranno imprigionati da un velo per un sedicente pudore compiacente con l’atteggiamento degli uomini. Il pudore è nella civiltà, nei rapporti giusti e paritari tra donne e uomini a prescindere dagli abiti che si indossano. Consiste nel rispetto assoluto e incondizionato della donna e del suo corpo, vestito o nudo. Per questo il valore occidentale più invidiabile e degno di essere copiato ovunque sulla terra dove vivono esseri umani è l’eguaglianza in dignità e diritti tra uomini e donne. Non è barattata a fronte di qualsiasi religione, cultura; non si deve piegare, non si piega. Prima di concludere, a quelli che si chiedono perché parlo del Congo rispondo che ho scelto l’occasione di una ingiustizia per denunciare questa e insieme altre che si compiono altrove. Troppe donne nel mondo soffrono di ingiustizie religiose, culturali, sociali, politiche ed economiche. Ci vuole tolleranza zero, bisogna denunciare a piena voce chi aggredisce le donne, essere dalla loro parte senza guardare a fatti particolari che sembrano poter giustificare i comportamenti aggressivi. I colpevoli devono essere individuati e condannati severamente. Devono essere assunte iniziative per prevenire altri abusi e aggressioni. Come le persone, le ingiustizie viaggiano, prendono l’aereo e le navi, entrano in contatto con altre culture e civiltà, con stili di vita completamente diversi. Questo scontro deve farci ricordare e praticare che che l’eguaglianza tra uomini e donne è superiore a tutto.

Mediterranea UDI Catania
a cura di Carla Pecis – carlapecis@tiscali

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DUE VIGNETTE

Una vignetta di Charlie Hebdo: per commentare la notte di violenza contro le donne in Germania si riprende la morte sulla spiaggia di Aylan (migrante di 6 anni), e si inserisce in un contesto di ‘uomini’ (?) che rincorrono donne con la bava alla bocca.

Il titolo della vignetta è ‘MIGRANTI’.

La domanda è “Cosa sarebbe diventato il piccolo Aylan se fosse cresciuto?”

Il nostro commento è: vergognoso, inaccettabile. Lasciate stare i bambini.

 

A distanza di qualche giorno una risposta che condividiamo: una vignetta pubblicata sul blog della regina Rania di Giordania, il 15 gennaio.

La domanda è la stessa: “Cosa sarebbe diventato il piccolo Aylan se fosse cresciuto?  

La risposta è: “Un ragazzino, uno studente, forse un medico, un padre affettuoso…”

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Mediterranea UDI Catania a cura di Carla Pecis  –  carlapecis@tiscali.it

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Ha pianto Abdullah Kurdi, il padre del piccolo Aylan, vedendo la vignetta in cui Charlie Hebdo ironizza su chi sarebbe diventato da grande il bambino siriano di tre anni trovato morto a inizio settembre sulla spiaggia turca di Bodrum – un “palpeggiatore” in Germania. “Quando ho visto quell’immagine non ho potuto far altro che piangere”, ha raccontato Abdullah all’agenzia di stampa francese Afp. “La mia famiglia è ancora sotto shock”.  [Huffigton Post]

Davanti alla grande tristezza che la tragedia porta con se e al dolore inconsolabile per chi lo ha vissuto e lo vive, il “cinismo” satirico deve restare in silenzio e trovare altri bersagli. Non può muovere nessun riso o sorriso. Il bambino aveva solo il diritto di continuare a vivere.

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ragazze primavaraba

PARLIAMO DELL’ESITO DELLE ELEZION IN EGITTO :   90 DONNE IN PARLAMENTO

Sono state poche le notizie e pochissimi commenti alle elezioni egiziane che hanno eletto il nuovo Parlamento attraverso un percorso elettorale durato sei mesi – per comprendere cosa sta avvenendo e i possibili sviluppi nella realtà del Paese più importante dell’area araba mediterranea sottolineiamo la novità di una notevole presenza di donne elette e leggiamo un articolo di commento più ampio del direttore del quotidiano Asharaq Al Awsat, Ali Ibrahim ( 12 gennaio  – trad. MC. Minniti)  

Sembra che la politica internazionale sia in certa misura governata dalle suggestioni, a prescindere dai fatti sul terreno e senza tentare di comprendere realmente ciò che sta accadendo. Questa impressione deriva dalla posizione assunta da molti in Occidente rispetto agli sviluppi in Egitto post 30 giugno e la deposizione del governo guidato dai Fratelli Musulmani. Si tratta in parte di un atteggiamento comprensibile alla luce della cultura delle democrazie occidentali che si inquietano per l’intervento dell’esercito nell’arena politica. È stata, dunque, assunta una posizione critica verso gli eventi in Egitto, incomprensibile agli occhi di attori arabi e regionali che non riescono a capirne l’origine riconducibile alla cultura delle democrazie politiche.

Il percorso intrapreso dall’Egitto dopo il 30 giugno presentava elementi complicati da capire in Occidente, tra cui il chiaro sostegno popolare con milioni di persone scese in strada a manifestare contro il governo dei Fratelli Musulmani, l’intervento dell’esercito e poi il periodo di transizione caratterizzato dalla road map incentrata su tre fasi, il tutto sullo sfondo di un’ondata di violenza e atti terroristici il cui primo obiettivo era colpire l’economia, riuscendo a centrare una delle sue arterie più importanti, ovvero il turismo. Il percorso politico, tuttavia, non si è fermato: lo Stato si è rimesso in movimento e sono stati inaugurati nuovi progetti che sono fonte di speranza per il futuro. Il percorso, poi, si è completato con la promulgazione della Costituzione e in seguito con le elezioni presidenziali e infine quelle parlamentari.

L’elezione di questo parlamento è stata piuttosto controversa, dal momento che l’affluenza alle urne non è stata elevata e secondo i numeri diffusi si è attestata intorno a un quarto degli elettori registrati. Si tratta, tuttavia, di milioni di elettori che sono stati chiamati alle urne diverse volte in un lasso temporale limitato, ed è comunque una percentuale che si registra anche in molte democrazie occidentali. L’aspetto più importante di questo Parlamento è che per la prima volta sono entrate a farne parte circa 90 donne, un numero senza precedenti che corrisponde a oltre il 15% dei membri. La maggior parte sono state elette in liste di raggruppamenti politici oppure hanno vinto nelle loro circoscrizioni dopo battaglie elettorali. Si tratta di un grande successo rispetto alle passate elezioni in cui le donne potevano entrare in parlamento solo mediante nomina.

Questa percentuale rispecchia, inoltre, la partecipazione politica della donna egiziana nel percorso del 30 giugno e nella road map che ne è scaturita. La presenza delle donne è stata molto forte sia nelle manifestazioni in strada sia nella partecipazione politica alle votazioni che si sono svolte in diverse fasi della road map, così come nel numero di candidate e nella loro partecipazione alle “battaglie” elettorali. Questo ruolo è stato incoraggiato dallo Stato.

Se guardiamo gli eventi attraverso lenti nere non riusciremo a vedere niente di positivo in tutto ciò che è accaduto e invece non si può ignorare questa presenza femminile nel Parlamento del 30 giugno poiché è da considerarsi un successo storico che compiace il compianto Qasim Amin (giurista dell’Università del Cairo, autore di “I diritti delle donne nell’Islam” in particolare su matrimonio e divorzio, “La liberazione della donna” (1899) – “La donna nuova” (1900). Muore nel 1908.)

Mediterranea UDI Catania
a cura di Carla Pecis – carlapecis@tiscali

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I fatti di Colonia, cioè di sempre

foglietto fatti colonia

 

Un foglio con scritte, in arabo e in tedesco, frasi con espliciti riferimenti sessuali è stato ritrovato nelle mani di due sospettati, nell’ambito delle indagini condotte dalla polizia locale sulle violenze della notte di San Silvestro a Colonia. Lo riporta la Bild on line, che pubblica il biglietto giallo con appunti presi a mano. Tra le frasi segnate, «voglio scopare», «grandi tette», «ti voglio baciare», «sto scherzando con lei», «io la uccido». (Ansa)-Corsera

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Lo stupro è un’arma di guerra: quella del terrore e quella dichiarata ufficialmente. Lo dice l’ONU

A Colonia contro le donne stupri e molestie. La politica, e la polizia, balbettano.

Di fronte alle azioni terroristiche in Europa, perpetrate nell’ultimo anno con armi convenzionali, evolute o rudimentali, la rivolta civile e la solidarietà, nel continente, sono scattate in modo evidente e senza distinguo di nessun genere. Qui, in Italia, il desiderio di mostrarsi contro è stato più forte del timore di dar sponda a ideologie razziste. È stato possibile: abbiamo assistito anche alla mitigazione delle esternazioni xenofobe e razziste da parte di formazioni, altrimenti, connotate sull’enfatizzazione di questo tipo di pulsioni.

Le strumentalizzazioni nella ricerca di consenso spicciolo, da parte delle forze politiche, hanno ceduto il passo a un atteggiamento consono a un palcoscenico meno angusto dei singoli scenari locali. La certezza che ha unito soggetti tanto differenti è stata ed è fondata sul fatto che “nessuno vuole la guerra in casa”. Il trasporto col quale è sembrato a molti doveroso esprimere solidarietà alle vittime è stato, evidentemente, proporzionale al numero di morti causato da quelle azioni, ma anche innegabilmente, soprattutto da parte delle comunità islamiche, misurato dall’esigenza di prendere le distanze dalla matrice integralista di un movimento politico che si caratterizza per volontà di distruzione e per implicito rifiuto della cultura occidentale, accusata di aver innescato meccanismi violenti nel mondo arabo e mediorientale. Chi, come chi parla, in questi anni, e da sempre, ha espresso una critica forte “all’esportazione della democrazia, si è sentito maggiormente chiamato a esprimere il proprio orrore per quanto avvenuto e, purtroppo, promette ancora di avvenire.

L’azione concordata tra criminali, che ha portato all’aggressione di massa su centinaia di donne soprattutto a Colonia, ma anche ad Amburgo, Stoccarda, Düsseldorf, non è stata avvertita, invece, dallo schieramento assemblato dopo gli attacchi di Parigi. Le ragioni risiedono nel fatto che la violenza sulle donne anche quando causa la morte delle vittime, è data per scontata nella fisiologia dei processi sociali ed economici: la condanna è un rito che quasi mai provoca profonde ridiscussioni sulle cause politiche che la violenza generano e impongono.

Nel caso di queste aggressioni, un problema è stato quello di prendere parola nella consapevolezza che non sono solo “quegli uomini” a pensare che le donne siano a disposizione contro la loro volontà, ma che lo sono anche altri, cioè coloro che pensano che l’integrazione tra culture possa avvenire nonostante i diritti delle donne. Su questa questione ritorna il vecchio tema dei due tempi: prima i bisogni di tutti e poi quelli delle donne. Nel 1977 Armanda Guiducci pubblicò un saggio dal titolo “la donna non è gente”, documentando gli elementi che delineavano la qualità monosessuata, al maschile, di ciò che si definisce progresso. Da allora le cose, schiavitù lavorativa e sessuale, segregazione culturale, subordinazione politica, hanno preso altri nomi, definizioni che rendono apparentemente dinamica una società rimasta invece ancorata alla convinzione che le donne “vengono dopo”.

L’agire della polizia tedesca ha dimostrato che il terrorismo verso le donne è, infondo, cosa che va tenuta sotto traccia per non disturbare il piano sull’immigrazione.

Tutto sommato sembra che non sia avvenuta una cosa poi tanto grave, anche per alcune donne autorevoli, ansiose di non interrompere l’unità di un movimento umanitario, che, non si sa perché, sarebbe messo alla prova inutilmente su una questione tutto sommato fisiologica.

Se gli stupri e le aggressioni non fossero stati mostrati dai criminali come atto concordato, se fossero avvenuti in modo più “occidentale”, per così dire sul modello “Tusciano”, se ancora si fossero rivolti a donne “non gente” per eccellenza, se fossero stati rivolti a connazionali, o per assurdo (?) a Prostitute immigrate: “se”, varianti che in questo caso non ci sono state. Ciò che poteva generare i soliti crudeli dubbi è stato sconfitto dall’evidenza. Che evidentemente non è bastata perché i toni dimostrano che, per gli stati, prendere consapevolezza di aver fatto sì che l’immigrazione fosse un fatto da uomini e da concordare tra uomini, è durissimo contraddittorio e destabilizzante. Si fa finta di non vedere la variante, cioè il femminicidio, che comunque perpetrato è lo scoglio su cui si arena ogni proposta che non voglia considerarlo come fenomenologia viva e condizionante.

All’indomani di un dramma vissuto nella notte di capodanno da donne libere, fino a alle ricorrenti prove contrarie, la timidezza di quello che ci si ostina a chiamare movimento in Italia è un riconoscimento implicito dei così detti due tempi della democrazia.

L’analisi fatta da un noto sito di controinformazione, pone l’accento sul fatto che sarebbe stato strumentalizzato il fatto, in quanto le donne “veramente stuprate” erano davvero poche: il resto ragazzate. Davvero non è difficile pensare che il pensiero dell’Arcivescovo di Canterbury, “lasciamo che l’ordine familiare sia governato in autonomia dalle singole religioni”, sia un paradigma per la politica occidentale che forse non vede con sfavore l’eventualità di pagare qualche prezzo, se a farlo sono le donne.

Il silenzio sulle violenze sessuate non è solo un costume, non è solo la copertura della connivenza di chi crede che tutto sommato è un alleato dell’ordine chi tiene le donne sotto schiaffo: la politica ne ha fatto moneta di scambio per quanto di analogo è avvenuto da parte dei propri eserciti “nei paesi da liberare”. Non dobbiamo e non possiamo dimenticare che bambine e bambini sono stati (?) violentati e sedotti in cambio di pane.

Non solo l’Italia ma per esempio in Inghilterra è successo che il silenzio abbia coperto la violenza subito da donne e bambine: nello Yorkshire millequattrocento ragazzine schiavizzate sessualmente tra il 1997 e il 2013.

I fatti di Colonia sono un banco di prova, non per la sicurezza ma per la serietà dell’agire politico, per chi della serietà fa una bandiera.

Lo stupro è terrorismo, è guerra: il tacerne la natura, anche quando è dichiarata, è il frutto dell’arroganza verso tutte le donne.

Stefania Cantatore

Napoli 11, 01, 2016

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I fatti di colonia interessano tutti e tutte noi

Quanto accaduto a molte donne in Germania sera di San Silvestro, per opera di uomini in gran parte stranieri – secondo la polizia – di origine “araba” o nordafricana”, interessa tutte e tutti noi. I fatti sono ormai noti, grazie alle testimonianze di tante delle donne che hanno denunciato le violenze subite. Nella notte di Capodanno, mille uomini a Colonia – ma anche in altre città come Francoforte, Amburgo, Dusseldorf, Bielefeld – centinaia di donne sono state aggredite, derubate, molestate sessualmente e alcune stuprate da un migliaio di uomini ubriachi, davanti alle forze dell’ordine dimostratesi impotenti ed inadeguate ad intervenire e porre fine alle violenze.

Se i 31 uomini arrestati in questi giorni sono rappresentativi dei mille violentatori e molestatori – nove di origine algerina, otto del Marocco, cinque iraniani, quattro siriani, due tedeschi, uno iracheno, uno degli Stati Uniti – è del tutto evidente che si è trattato di maschi, nient’altro che di maschi che, organizzati in branco, si sono scatenati nella caccia alle donne, per afferrarle, dominarle, terrorizzarle, possederle in quanto preda. Maschi, solo maschi, che incarnano quella cultura della violenza e del dominio, della distruzione e dell’odio da cui molti di loro dicono di voler fuggire. Maschi, solo maschi, non importa la loro nazionalità di origine, la religione che professano, non importa come sono arrivati, se a piedi, nei barconi, in aereo o in treno, non importa se sono richiedenti asilo o uomini stranieri residenti, quello che conta è che sono giovani uomini che – come tanti ogni giorno nella nostra civilissima Europa – si sono sentiti autorizzati a terrorizzare donne considerate a loro disposizione, come alcune di loro hanno raccontato.

“Si sentivano onnipotenti e pensavano di poter fare qualsiasi cosa alle donne che stavano festeggiando in strada”. “ A un certo punto della notte ci siamo trovate circondate da una ventina di uomini. Ci hanno preso per le braccia cercando di separarci e di strapparci i vestiti. Poi hanno provato a toccarci tra le gambe e in altre parti. Alla fine ci hanno derubate di tutto quello che avevamo nelle nostre tasche”. “Cercavamo aiuto. Siamo corse verso le macchine della polizia e non c’era nessuno. Gli agenti erano carenti e non potevano affrontare la situazione”.

E’ una storia, questa, non nuova purtroppo e che appartiene agli uomini e alla loro cultura, che diventano feroci ovunque, se si uniscono, molti o pochi che siano. Ogni donna almeno una volta ha sperimentato la paura o quantomeno il disagio di trovarsi sola davanti a un gruppo di uomini. Sentimenti che un uomo non ha mai provato davanti a un gruppo di donne.

“L’intera piazza – ha raccontato una delle testimoni – era gremita di soli uomini. C’erano poche donne isolate, impaurite, che venivano fissate. Non posso descrivere come mi sono sentita a disagio”.

E’ la “questione maschile” che mostra il suo volto globalizzato di uomini incapaci di rapportarsi alla libertà femminile, che sia nelle piazze delle cosiddette “primavere arabe” dove violenze e stupri hanno accompagnato le manifestazioni, dall’Egitto alla Turchia, dalla Siria all’Iran, o che sia nelle piazze tedesche dove le donne si erano riversate per festeggiare la fine dell’anno. Bene ha fatto la cancelliera tedesca Angela Merker a condannare l’accaduto e a chiedere che i colpevoli vengano individuati e condannati per i ”ripugnanti” crimini commessi, tenendo separata la questione della violenza sul corpo delle donne da quella delle immigrazioni, dove si rende visibile – a Rosarno come a Colonia, al Cara di Mineo come al Centro di Sant’Anna di Crotone – che quando si parla di violenza e di stupri si parla sempre e solo di uomini e non di donne, anche loro straniere ed immigrate.

Non si usino le donne per giustificare, ieri le guerre – come in Afghanistan – oggi le violenze di Capodanno, il proprio odio verso gli stranieri e le straniere. A noi donne, ovunque nel mondo, non resta che continuare sulla nostra strada aperta da altre e non rinunciare mai ad arrabbiarci ed indignarci di fronte a uomini – stranieri o meno – che non vogliono e non sanno cambiare il loro rapporto con il loro corpo delle donne. A quanti di noi, donne e uomini, abbiamo la consapevolezza di vivere in un’epoca di passaggio, non resta che continuare a lavorare per quel cambio di civiltà delle relazioni tra i sessi affinché gli uomini non temano più la libertà femminile ma capiscano che questa può essere un’occasione anche per loro per liberarsi di quella cultura patriarcale da cui nasce la violenza maschile sul corpo delle donne.

Franca Fortunato

Quotidiano del Sud – 11.01.2016

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Centri antiviolenza: la Legge Regione Calabria n. 20-2007 viene elusa

Calabria, dove sono finiti i soldi per i centri antiviolenza?

Un appello perché la Regione applichi la legge ed eroghi i fondi promessi.

Su GIULIA giornaliste, Giovanna Pezzuoli qualche settimana fa riassumeva una delle condizioni mortificanti che la Regione Calabria non riesce a risparmiare al suo territorio e che riguarda i Centri antiviolenza. Da troppi anni con vari marchingegni, ben chiariti nell’articolo da Antonella Veltri, una delle colonne del Centro Roberta Lanzino di Cosenza, la Regione elude l’impegno dell’ottemperanza alla sua stessa Legge Regionale n. 20 del 2007.

La legge sancisce il diritto alla sicurezza, alla protezione e al sostegno (anche per la prole) per le donne che subiscono violenza “al fine di ripristinare la propria inviolabilità e di riconquistare la propria libertà”. Quei pochissimi centri che potrebbero funzionare sul territorio regionale (e il Centro Lanzino funzionava egregiamente dal 1988) si sono visti tagliare fondi e opportunità, senza dire della assoluta noncuranza delle raccomandazioni del Consiglio d’Europa.

Le direttive europee in materia di contrasto alla violenza esercitata sulle donne raccomandano la presenza di un Centro antiviolenza ogni 10.000 persone e un Centro di accoglienza ogni 50.000. Pertanto in una città come Reggio dovrebbero esistere circa 20 + 4 centri.

In tutto il Paese al 2011 vi erano 54 Centri rifugio contro i 685 dell’Inghilterra.

È drammatica dunque la condizione di arretratezza in cui versa non solo la Calabria, ma l’intero territorio nazionale lontano dagli standard europei.

Ci siamo interessate assieme ad altre donne e Associazioni, con assemblee, comunicati stampa, istanze dirette, costituendo perfino ad hoc una Rete delle donne Calabresi, già dal settembre 2010 e di seguito …

https://udireggiocalabria.wordpress.com/2010/09/18/rende-la-casa-rifugio-del-centro-antiviolenza-r-lanzino-ha-chiuso/ 

Malgrado le promesse il muro di gomma è assoluto a tutt’oggi.

UDIrc

https://udireggiocalabria.wordpress.com/?s=lanzino

https://udireggiocalabria.wordpress.com/2010/10/12/importante-comunicato-stampa-delle-donne-calabresi-in-rete/

Su change.org manca solo qualche centinaio di firme al SOS lanciato dal Centro Roberta Lnzino, occorre affrettarsi:

PETIZIONE URGENTE DA FIRMARE / Violenza alle donne: la Regione Calabria ignora la legge

Roberta (foto Fondazione R. Lanzino)

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La donna, tutte le donne fuori dalla fabbrica della violenza

Immagine24

 

La guerra non è la guerra, come entità separata nei fatti che accadono sulla terra, ma è un ingranaggio della enorme macchina distruttiva che noi della specie azioniamo sulla terra senza risparmiare nessuna cosa e nessun essere.

È una macchina che dura da migliaia di anni e ce la scambiamo di secolo in secolo, di generazione in generazione, ne sostituiamo i pezzi, la manteniamo pulita ed efficiente per distruggere tutto, soprattutto i sogni delle giovani generazioni.

È una macchina perché è una entità senza anima e senza cuore, senza pensiero, senza affetti, punta a distruggere il futuro, a far ritornare tutto ad un anno zero del dolore e della morte. All’annientamento. Non pensa e soprattutto non ama nessuna cosa o essere. L’hanno azionata sempre gli uomini in modo collettivo e la azionano tuttora. Qualche volta le donne, per lo più in modo individuale.
La macchina distruttiva non agisce solo tra schieramenti militari, ma si materializza diffusamente anche nelle relazioni ordinarie tra le persone compiendo un lavoro che ha un nome: violenza. La potenza che esprime va da un grado elementare che parte dall’insulto della parola, del gesto, che penalmente potrebbe essere nemmeno sanzionabile, ma c’è. Fino al grado massimo, di distruzione e autodistruzione collettiva.
Ma c’è un obiettivo costante verso cui la macchina millenaria della violenza dirige la sua potenza e compie il suo lavoro: le donne. Non necessariamente è un lavoro sanguinario. Va dal pagarle meno degli uomini sul lavoro, ostacolarle nella carriera, ostacolarne la maternità, assoggettarle socialmente e nel nucleo familiare. Non considerarle. Appropriarsene sessualmente, offenderle nel sesso e nell’etnia. La soluzione finale: sopprimerle se non si sottomettono e dopo l’abuso…

Il 25 Novembre, Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ci invita sempre a riflettere. Ogni anno il fraseggio, gira gira, è scontato per le addette ai lavori e per chi è ben consapevole, ma non è così per moltissimi uomini (e donne) a cui una sola giornata di sensibilizzazione forse apporta e importa poco o nulla. E’ in ogni caso un rito necessario per mantenere alta l’attenzione. Ma non sufficiente.
Per tradizione (ignoranza-disinformazione) per molto tempo si è parlato di raptus e momenti di follia sui giornali, in televisione, persino nelle relazioni di psicologi e sociologi, anche donne. Si sosteneva con convinzione, in più settori culturali e sottoculturali, che si trattava di gelosie o turbe mentali dell’uomo o addirittura di inadempienze della donna.

Ancora perdura qualche formula del delitto passionale. Anche in un Convegno a Reggio, organizzato dalle Pari Opportunità nel 2012 in cui si mescolavano grossolanamente violenza sulle donne e violenza sui bambini, le donne relatrici più o meno sostenute da un noto criminologo parlavano di delitti passionali e patologie.
Oggi è un dato indiscutibile che all’origine della violenza sulle donne ci sia la disparità di potere instaurata storicamente e ufficialmente riconosciuta nella coppia. C’é la persistente gerarchia patriarcale dominante nelle società ricche e povere, con i relativi privilegi. C’è un clima di sopraffazione che soprattutto nei paesi più poveri non viene né ostacolato né conosciuto o denunciato, piuttosto occultato. Di conseguenza in una umanità dispari e a mentalità maschile dominante, sono a rischio sia il riconoscimento dell’autodeterminazione della donna, non ancora pienamente metabolizzata dall’uomo, sia l’applicazione di sanzioni soprattutto nei paesi più poveri.

«Il femminicidio, compiuto spesso dopo stupri e tortura è all’ordine del giorno in Guatemala». Così dice sul manifesto Ana Cofiño, antropologa e femminista di lunga esperienza, fondatrice del mensile La Cuerda.

Ma richiamiamo anche altre violenze estreme che le donne subiscono in aree di guerra per stupro-etnico, in medioriente e Africa e altrove. Si sequestrano per torturarle, schiavizzarle sessualmente, se ne fa compravendita o si uccidono …

Decenni di studio da parte di Comunità internazionali e nazionali (la C. CEDAW adottata dall’ONU nel 1979, Convenzione di Istanbul, il testo NoMore promosso dall’UDI, realizzato e sottoscritto da più di una decina di Associazioni) basterebbero oggi per orientare gli amministratori sulle giuste misure da prendere e sulle strade da percorrere.

Non c’è quasi più niente da studiare. C’è da fare azioni concrete soprattutto nell’ambito dell’educazione, familiare e scolastica, educare al rispetto dei diritti umani e civili di ogni essere vivente e dell’ambiente. C’è da fare prevenzione e tutela nell’ambito delle Istituzioni investendo in cultura, Università, Osservatori, Eventi, Reti e Strutture antiviolenza.

Come è scritto nella Convenzione No More la centralità del contrasto alla violenza in ogni sua forma consiste:
• nel cambiamento radicale di cultura e mentalità
• nella rappresentanza appropriata delle donne e degli uomini in ogni ambito della società
• nell’uso non sessista del linguaggio, anche nei media, al fine di promuovere un rapporto rispettoso e un livello di potere equo tra donne e uomini
• nell’intervento delle istituzioni che non possono lasciare le cittadine e i cittadini sole/i davanti a un tale fenomeno, siano italiane o italiani, straniere o stranieri; le istituzioni sono tenute a prevenire, contrastare, proteggere con politiche attive coerenti, coordinate, l’intera popolazione, con il sostegno delle reti locali a partire dai centri antiviolenza.

Ma non si dirà mai abbastanza quanto diverse realtà femminili attive, preziose, restino marginali e frammentate con poca forza d’urto nello stabilire strategie comuni e perfino poco amichevoli nel piccolo litigio delle precedenze e delle visibilità.

UDIrc

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E’ Paola che ha liquidato l’egregio dott. MM

Il sessismo nei confronti della figura donna-lavoro è una piaga. Oltre che sui luoghi di lavoro è già in agguato nei colloqui per l’assunzione.

Alcuni tratti particolari sono rivelati dall’Indipendent sulla base di una ricerca della società londinese Thomas Mansfield Solicitors Limited. La società è di fatto un grande studio legale di specialisti nel diritto del lavoro per patrocinio, consulenza, mediazione per tutti i casi come licenziamenti senza giusta causa, discriminazioni, razzismo, molestie sessuali, bullismo, ecc.

Laureate di 20 università britanniche sono state interpellate se volessero condividere le cose più bizzarre e offensive richieste nell’approccio al lavoro.

Molte delle risposte dimostrano quanto il sessismo e le molestie siano vitali sui luoghi di lavoro. Julie Goodway, avvocata presso la società londinese di legali, dichiara all’Indipendent: “Purtroppo le esperienze delle intervistate non sono casi isolati. Ci viene spesso chiesto come rispondere a domande come queste”.

Dice anche come il semplice questionario di tale profilo costituisca molestia sessuale ed è improbabile che le stesse domande vengano poste ai candidati di sesso maschile.

Per esempio:

Come valuta l’eventualità di uscire con un dipendente dell’azienda?

Ha in mente di diventare mamma nei prossimi anni?

Potrebbe truccarsi di più nel caso in cui questo colloquio andasse a buon fine?

Sarebbe in grado di flirtare con i clienti per convincerli?

Soffre di sindrome premestruale?

Quella che segue è l’esperienza di Paola Filippini che ha voluto raccontare la sua esperienza sulla sua pagina fb. Il dottor MM umilia Paola come persona, ma soprattutto come donna e nello stesso istante tutte le donne in quanto donne e persone. L’umiliazione e l’insulto sono lanciati contro la mente e il corpo delle donne di qualsiasi latitudine. Non condividiamo alcune espressioni colorite di Paola, ma comprendiamo e sosteniamo la sua rabbia.

***

(Paola Filippini)

Premetto che ho contato fino a diecimila prima di scrivere queste parole. Ma non riesco a non dirle. E le scrivo qui, per una massima diffusione. Perché tutti devono sapere cosa accade al giorno d’oggi. Vi chiedo di prendervi un paio di minuti per leggere e condividere ciò che mi è successo, perché mi sento offesa e arrabbiata, e tutti, uomini e donne, devono sapere.
E’ SUCCESSO DI NUOVO, ED E’ ORA DI DIRE BASTA.
Questa mattina sono stata convocata per un colloquio di lavoro presso una nota agenzia immobiliare di Mestre che si occupa-anche-di affitti turistici. Sto cercando un lavoretto saltuario per arrotondare perché non sono ancora abbastanza brava e famosa per vivere di sola fotografia, quindi mi sono proposta come hostess per check-in per alloggi turistici, un lavoro che ho già fatto per tanti anni.
Lui, l’egregio Dott. M.M. si presenta all’appuntamento con 30 minuti di ritardo. Non fa niente. Ha una maglia verde lega, ma mi astengo da pregiudizi. Entro nell’agenzia, e dietro di me, sulla porta, un signore che parla poco l’italiano chiede di poter entrare a chiedere un’informazione. Lui, l’egregissimo M.M., lo secca con un “Torna dopo!”. Soppesando il suo grado di educazione e professionalità, lo seguo verso il suo ufficio.
Mi fa accomodare alla sua scrivania, ma non si presenta, non mi da la mano, non si scusa del ritardo, mi da del tu. Questa cosa mi da fastidio, ma anche qui passo oltre.
Prende un foglio prestampato. Questionario Informativo, c’è scritto. Inizia con le domande:
Lui: “la tua data di nascita?”
io:“1-12-87”
Lui:“e quanti anni hai?”
io: “28”
Lui:“dove vivi?”
io: “risiedo a Mestre”
Lui:“..mi serve l’indirizzo preciso”
io: “sono certa di averlo già scritto nel mio C.v.” sorrido educata.
Lui:“mi serve questa informazione di nuovo” (seccato)
io: “va bene, via ***”
Lui:“ok. Stato civile?”
io: “in che senso?” (oh no, sento già lo stomaco chiudersi)
Lui:“sei sposata? Convivi? Hai figli?”
Respiro “E’ necessario che io risponda a questa domanda?”
Lui:“si, è necessario” (si sta agitando)
io: “posso non rispondere”?
Tenetevi forte.
Lui: “Certo. Allora ti puoi anche accomodare fuori, per me il colloquio finisce qui”.
Prende il Questionario Informativo, lo strappa davanti alla mia faccia con fare da vero uomo duro. Si alza, mi apre la porta.
“Non capisco,” dico io “perchè mi sta congedando in questo modo”
Lui: “Perchè tu mi devi rispondere alle domande, e se non mi rispondi il colloquio non può proseguire”
Io: “Non può proseguire il mio colloquio se io non le descrivo la mia situazione famigliare?”
Lui: “esattamente.”
Io: “mi può fornire almeno una spiegazione?” (cerco di insistere)
Lui: “Devo sapere se sei sposata e se hai figli, perché questo determina la tua disponibilità lavorativa”
Io: “mi scusi Dottore, ritengo che la mia disponibilità lavorativa esuli dalla mia condizione privata. Se vuole sapere quanto e quando posso lavorare, mi può semplicemente chiedere qual’è la mia disponibilità oraria”
Lui, ormai furibondo:“Io chiedo quello che mi pare, e se non vuoi rispondere non posso darti il lavoro. Ora te ne puoi anche andare”.
1…2….3……Vabe dai, ormai è fatta. Parto con le mie:
“Posso dirle una cosa? E’ proprio per colpa di persone come lei che questo Paese sta andando a puttane. Perché se a una donna viene chiesto di dichiarare la sua situazione famigliare prima di chiederle quali sono le sue capacità, cosa sa fare e quali sono le sue aspettative lavorative, allora siamo proprio in un mondo di merda. Lei non sa che parlo perfettamente 3 lingue straniere, non sa che questo lavoro l’ho fatto per anni, che ho tanta esperienza e capacità. Lei non me lo ha chiesto. Mi tolga una curiosità, anche ai maschi chiede se hanno figli e se sono sposati quando fa loro un colloquio?”
Lui: “no, ai maschi non lo chiedo. Perché questo è un lavoro che ritengo debbano fare solo le donne”
Io (ormai balba): “Sul serio? Ma lei si sente quando parla?”
A questo punto prendo la porta, ma prima di andarmene gli porgo la mano per salutarlo, professionalmente. Ma lui “no, non ti do la mano”
io: “e perché?”
Lui: “Perchè non voglio darti la mano, buona giornata”.
Sorrido, arrivederci, me ne vado. Torno all’ingresso, e lì, mentre sto per uscire, con gran classe mi urla dalla sua scrivania “spero proprio che troverai un lavoro!!”

Mi fermo un momento davanti alla porta. Non rispondo, semplicemente perché non è mio costume urlare alla gente da un ufficio all’altro. Chi mi conosce sa quanto sono Signora. Esco, e faccio un profondo respiro. Ho detto un decimo delle cose che avrei potuto dirgli. Perchè in quei momenti ti senti così male e così offesa che il cervello rallenta per l’incredulità.
E allora: Caro piccolo uomo col maglione verde e il cazzo sicuramente minuscolo, nel tuo bellissimo ufficio hai incorniciato la foto di tua figlia, una graziosa ragazzina di circa 16 anni, che – per ironia della sorte – assomiglia tantissimo a me quando avevo la sua età. Prova a pensare, piccolo uomo con piccolo cervello e grande presunzione, quando un giorno non molto lontano, la tua piccola vergine figliola andrà a fare un colloquio di lavoro, ed incontrerà un piccolo uomo che le chiederà se è sposata, se ha figli, se convive, e che le sue risposte in merito alla sua situazione famigliare determineranno il suo successo lavorativo. Prova a pensare per un momento come può sentirsi una donna, quando le viene fatta una domanda del genere. E’ offensivo, è bruttissimo, è una VIOLENZA. Perchè non importa se hai studiato, se hai lavorato tanti anni, se hai fatto gavetta, se hai un bel C.v.. Importa se hai figli. Perché se li hai, è meglio che tu stia a casa ad allattarli.

Ho scritto questo fatto su facebook, e lo racconterò a tutti. Perché le donne devono sapere che non si devono mai abbassare a queste offese, e gli uomini devono sapere che esistono tanti uomini di merda a questo mondo. Proprio ieri ne parlavo con alcuni colleghi, fatalità oggi mi è successo, di nuovo. Ho perso la possibilità di un lavoro, ma non mi importa niente. Ho salvato la mia dignità, ho mantenuto la mia privacy. La condizione della donna al giorno d’oggi è ancora molto difficile.
Sappiatelo tutti.

Paola Filippini

fotografa

[fonte fb alla sua pagina]

***

Ecco alcune delle norme che il dott. MM straccia sui diritti del lavoro e della persona.

Articolo 3 / Costituzione

Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

Art. 37 / Costituzione

La donna lavoratrice ha gli stessi diritti e, a parità di lavoro, le stesse retribuzioni che spettano al lavoratore. Le condizioni di lavoro devono consentire l’adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione …

art. 8 / Statuto dei Lavoratori

È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.

Art. 2 / Direttiva europea n. 76/207/

1. Ai sensi delle seguenti disposizioni il principio di parità di trattamento implica l’assenza di qualsiasi discriminazione fondata sul sesso, direttamente o indirettamente, in particolare mediante riferimento allo stato matrimoniale o di famiglia.

Inoltre, il Testo Unico in materia di protezione dei dati personali garantisce il pieno diritto alla riservatezza.

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Mondo Rosa, Catanzaro

IL CENTRO regionale antiviolenza “Mondo Rosa”, aperto a Catanzaro l’8 marzo 2012, è diventato un luogo di relazioni tra donne, un luogo di lavoro femminile sulla consapevolezza e presa di coscienza delle donne, vittime della violenza maschile.

Nato da un progetto del Centro calabrese di Solidarietà e dell’Unione dei Comuni del Versante ionico, il Centro è stato finanziato dal Dipartimento Pari Opportunità e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il progetto, con relativi finanziamenti, è scaduto nel novembre 2014. In questi due anni il Centro, che opera come luogo residenziale per un massimo di 8 donne con figli d’età entro i 3 anni e come sportello 24h/24h, ha svolto un lavoro prezioso e insopprimibile.

Alcuni dati: le donne che l’hanno contattato sono 155, di cui 30 residenziali con 8 bambine e 8 bambini. Di queste il 90% sono italiane e il 10% immigrate. Il 53% sono calabresi, il 22% pugliesi, il 22% siciliane, il 6% laziali. Luogo prevalente della violenza maschile si conferma la famiglia: il marito (54%), il compagno (8%), l’ex compagno (8%), l’ex marito (12%), il fratello (4%), il figlio (4%), uno sconosciuto (8%) e amici (4%). La violenza perpetrata è psicologica (44,4%), fisica (38%), economica (2,90%), sessuale (8,30%), stalking (5,50%).

Isa Mantelli, vicepresidente del Centro calabrese di Solidarietà, Rita Maceri e Maria Francesca Corapi, assistenti sociali, Romina Ranieri e Susy Cardamone psicologhe, sono le donne che abbiamo incontrato per fare con loro il punto della situazione e conoscere la loro esperienza.

Finito il progetto nazionale perché non è subentrata la Regione?

< Perché non esiste a livello regionale un accreditamento per i Centri antiviolenza. Ne esiste solo uno per donne in difficoltà. C’è poi un fondo nazionale, che la Regione non ha ancora ridistribuito.>

Che cosa avete fatto in questi due anni perché intervenisse la Regione?

< Quando abbiamo iniziato questa avventura c’erano già sette Centri antiviolenza gestiti da Associazioni, che funzionavano bene come sportelli. Solo due di loro erano anche residenziali. Questi ricevevano finanziamenti dal fondo per donne in difficoltà. Poi siamo arrivate noi e un altro Centro antiviolenza di Reggio Calabria, finanziato come il nostro. Abbiamo costituito con tutti questi Centri, tranne la Fondazione Roberta Lanzino che non ha voluto starci, un coordinamento regionale e da subito abbiamo posto due problemi: l’accreditamento per i Centri antiviolenza e la creazione di un tavolo tecnico presso l’assessorato ai Servizi Sociali. Ad oggi non si è fatto nulla. Le ex consigliere regionali Tilde Minasi e Gabriella Albano avevano presentato una legge, ma abbiamo dovuto fermarla perché prevedeva fra l’altro l’accoglienza delle donne maltrattate presso famiglie. Il che è inaccettabile. Chi garantirebbe per la loro sicurezza? Vogliamo una legge regionale oppure l’allargamento ai Centri antiviolenza del fondo esistente. In attesa, per non chiudere, andiamo avanti sostenuti dal solo Centro calabrese di Solidarietà.>

Come siete partite?

<Siamo partite con la formazione. Abbiamo adeguato la struttura alle esigenze delle donne e dei bambini che andavamo ad ospitare, sottoscritto una serie di protocolli con vari soggetti pubblici e privati, attivato un numero verde e lo sportello 24h/24h. Negli anni abbiamo continuato il lavoro di sensibilizzazione sul territorio. Il primo colloquio lo abbiamo avuto lo stesso giorno dell’inaugurazione, 8 marzo 2012, e a maggio sono entrate le prime due donne.>

Una donna maltrattata come arriva da voi?

<Arriva tramite i Servizi sociali, la Questura, altre strutture, oppure telefona. Accogliamo anche la donna che si presenta personalmente perché “ in pericolo”. L’unico problema è che dobbiamo avvertire i Servizi Sociali, il Tribunale dei minori se ci sono bambini e la Questura, per la denuncia che la donna deve fare come condizione per restare. Noi le diamo assistenza legale.>

Che tipo di percorso segue la donna che viene da voi?

<C’è un primo periodo di assestamento perché la donna è disorientata. La prima settimana lei e i figli si riposano, dormono. Riconquistano così un minimo di serenità per poi affrontare un percorso. Non è detto che restino qui. Noi l’accogliamo ma poi valutiamo se mandarle altrove per sicurezza. Per esempio abbiamo avuto una donna mandata da Crotone perché lì si temeva che il maltrattante potesse farle del male e un’altra di Catanzaro che abbiamo dovuto mandare a Reggio perché l’uomo era collegato alla ‘ndrangheta e i rischi erano doppi.>

In che cosa consiste il percorso?

<Dopo aver valutato qual è il percorso più giusto, si attiva un progetto individuale in cui la donna ripercorre il suo vissuto di violenza e la spirale della violenza, che inizia subito, dopo due o tre mesi di vita di coppia quando la donna si sente al centro dell’attenzione dell’uomo. E’ allora che appaiono le prime esternazioni di gelosia, che gradualmente portano all’ isolamento, alla svalorizzazione, alla segregazione, all’aggressione fisica e sessuale, alle false rappacificazioni e al ricatto dei figli. Lui comincia col chiederle di non lavorare, e lei rinuncia. Non gli piacciano le sue amiche, la sua famiglia, le chiede di non vederle più, e lei taglia i ponti. Le restringe gli spazi vitali. Via via lei si piega e aderisce completamente alla sua volontà. Pensa che sia una buona strategia per tenerlo calmo, per evitare che esploda la sua violenza. E invece non lo è, perché lui non si accontenta mai. La violenza esploderà perché la minestra è salata o non è salata, è troppo cotta o non è troppo cotta, perché la casa non è in ordine o è troppo in ordine. Insomma lui ha necessità di essere violento perché questa violenza ce l’ha dentro, e chiede di uscire. L’uomo, frustrato sul lavoro o altrove, cerca così di affermarsi sulla donna con la violenza. La donna perde ogni fiducia nelle sue capacità, inizia a sentirsi inadeguata e si sottomette.>

Come aiutate le donne a riappropriarsi di se stesse?

<Con la consapevolezza di tutto questo. Le donne non è che non si rendono conto che c’è qualcosa che non va nella relazione di coppia, semplicemente hanno difficoltà a voler vedere le cose. E’ un problema di autostima, lavoriamo perciò  sull’autonomia. Già il fatto che si trovino in una casa dove non sono sole, condividono la loro esperienza, riescono a parlare di sé e a dire tutto nei colloqui individuali e di gruppo, che si trovino anche in una famiglia dove partecipano alla gestione della casa, le aiuta ad arrivare da sole a rendersi conto che ce la possono fare. Noi siamo solo di supporto, le decisioni sono delle donne, in tutto. Loro tendono a delegare e noi rifiutiamo per costringerle a dire “io sono un soggetto attivo di un gruppo di relazioni che possono essere con le altre donne, con il mondo che mi circonda, con le operatrici e con i bambini, se ce l’hanno”. E’ difficile, perché sono donne senza autostima.>

Della violenza sessuale subita come ne parlano?

<Questo è uno degli aspetti più difficili. La facilità con cui parlano della violenza psicologica o fisica non ce l’hanno per quella sessuale. Ne parlano con difficoltà. Ci vuole più tempo, quando la relazione è più avanti, si devono sentire a loro agio. Ci si rende conto, però, che quello è un punto cruciale per loro, il più difficile da superare.>

Come vi rendete conto che una donna si sta trasformando?

<Quando le donne arrivano qui sono tutte brutte, anche le più belle, hanno i segni della violenza. Una donna sofferente che ha perduto la possibilità di brillare, piano piano, diventa bella e tu ti accorgi che lì qualcosa è cambiata, perché lo manifesta il suo corpo. Si prende cura di sé per piacersi e non per piacere all’uomo. Si mette la gonna, la maglietta più aderente. Non nascondiamo la fatica e i fallimenti. C’è ancora una forte cultura patriarcale che ci dice come dobbiamo essere noi donne e molte continuano a pensare al principe azzurro.>

Questa esperienza ha trasformato anche voi?

<Qui per tutte noi donne si è costruita una nuova storia. Tutte noi siamo più attente alla svalorizzazione del femminile e siamo diventate più sensibili ad ogni forma di violenza, non la permettiamo più, neppure nelle battute. Ci sentiamo donne guerriere perché non accettiamo la sconfitta, non andiamo in frantumi per questo, ma ricominciamo sempre.>

Dida: Corapi – Ranieri – Cardamone – Maceri – Mantelli

 

1ª Storia

Una giovane donna, con due figli piccoli, si trovava già in un Centro in Sicilia. È dovuta scappare perché il suo compagno girava intorno alla struttura e perciò era in pericolo. È arrivata qui da noi. Abbiamo iniziato il percorso che è durato più di un anno, ma alla fine ce l’ha fatta. Anche i bambini erano molto provati. Una sera – ci ha raccontato la donna – il più grande è scappato da casa per correre dai carabinieri e farli intervenire contro il padre che la stava ammazzando. Dopo questa scena la donna si era rivolta ai Servizi Sociali. Hanno pensato più volte di dividere la madre dai figli e mandarli in strutture diverse. Lei ha sempre combattuto e alla fine ha trovato prima il Centro in Sicilia e poi è arrivata da noi. Era una donna di livello culturale abbastanza basso, veniva da una famiglia totalmente assente, in cui era presente la violenza del padre anche sulla madre. Da noi ha iniziato il percorso di elaborazione della violenza, soprattutto nel suo ruolo di madre. Ha trovato anche dei lavori saltuari e si è fatta una vita “normale”. Ha realizzato cose che desiderava fare da sempre come una passeggiata con i figli, stare con loro, far fare loro la comunione, lavorare. Ha iniziato a relazionarsi anche nel quartiere ed ha incontrato un uomo, di cui ci ha rese partecipi. E’ andata via da sola anche se c’era quest’uomo nella sua vita. Per due mesi ha vissuto con i suoi figli e adesso convive in città con quest’uomo.

2ª Storia

Una giovane donna di 26 anni è arrivata da noi con i suoi figli, piccolini, ed è rimasta solo dieci giorni. Era una ragazza bellissima, si era diplomata ed iscritta all’università, che aveva lasciato dopo aver incontrato il suo compagno. E’ arrivata attraverso un’associazione che ci ha contattato. Prima però era andata in Questura per denunciare la violenza. Il suo convivente l’ aspettava fuori e l’ha inseguita. La sorella, che era con lei, ha telefonato alla Questura, che l’ha accompagnata da noi. Il figlio più grande, quando giocava con il fratellino più piccolo e questo gli prendeva qualche giocattolo, lo afferrava alla gola come “papà faceva con la mamma”. La donna è rimasta dieci giorni e poi è tornata dal suo convivente dicendoci: “non posso stare senza di lui”, “è un ottimo padre”. Si è presa la valigia, i figli e a piedi ha raggiunto la stazione. Dopo un po’ di tempo ci ha fatto sapere che aveva sposato il suo maltrattante.

Franca Fortunato

[Intervista di Franca Fortunato alle Donne di Mondo Rosa – Quotidiano del Sud 03.02.2015]

 info Mondo Rosa

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Utile / inutile 25 Novembre

Le sculture viventi di Vanessa Beecroft - Lo Spasimo - Palermo
Sculture viventi di Vanessa Beecroft
Siamo all’utile/inutile 25 novembre

Da molti – troppi – anni ricorre il rituale del 25 novembre. A livello simbolico ha la sua necessità, ma di fatto è un richiamo cui si è quasi fatta l’abitudine. Ci siamo inventate di tutto. Estenuanti iniziative di sensibilizzazione, spettacoli, articoli, libri, seminari, conferenze, proteste, cortei, convenzioni con associazioni nazionali ed internazionali, qualche legge laterale. Nessuna ricaduta consistente sui comportamenti, né un segnale decisivo da parte degli organi istituzionali per capire a fondo e incidere sostanzialmente sul fenomeno, se non qualche stretta sul piano repressivo.

Si annovera anche un Festival della violenza

e perfino (letterale):

In occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne,

“SCARPE ROSSE” – FASHION DINNER PARTY.

 Ore 22:00 APERITIF TRES CHIC.

Ore 24:00 RED PARTY

Atroce.

La mancanza di un osservatorio nazionale ufficiale lascia nell’ombra il problema e dà adito perfino a non riconoscerlo, a negarlo. C’è chi sostiene che non esiste un’emergenza femminicidio, che le cifre sono gonfiate.

Ci sarà pure la retorica della ricorrenza, l’attivismo meccanico o compulsivo ma sostenere che l’uccisione di donne in percentuale si mantiene più o meno stabile nel tempo intorno allo 0,5 per ogni 100 mila abitanti e quindi non desta nessun allarme sociale, è sminuire goffamente e per partito preso [antipatia viscerale per le femministe e per il termine femminicidio “di cui non c’è nessuna necessità”: bastano le leggi esistenti] il problema che è planetario.

Il rapporto Eures rileva la cifra più alta mai avuta in Italia nel 2013 con 179 donne uccise, contro 157 nel 2012 (ANSA). Finalmente con una appropriata definizione “femminicidi del possesso”, almeno per alcune tipologie. Più di metà delle vittime (51,9) aveva denunciato o segnalato, ma inutilmente. Una cosa è certa: il femminicidio è il tragico epilogo di una serie di violenze inferte. La ricerca europea FRA – Agenzia dell’Unione europea per i Diritti Fondamentali -, pubblicata quest’anno, allarga in Europa l’indagine intervistando 42.000 donne e testimonia quanto profondo, radicato ed esteso sia il dramma della violenza sulle donne.

Oggi è da considerare una questione sociale, fra le prime, ed è il punto di approdo di un lungo percorso che parte dalla storia dei rapporti disuguali tra i generi, passa per l’educazione dei bambini, tocca i messaggi mediatici di violenza, sfiora oggi uno stile sociale di relazioni sguaiato e senza rispetto, punta sul possesso e il potere. Queste sono alcune delle radici profonde su cui occorrerebbe intervenire al di là dei provvedimenti repressivi che possono solo arginare e ostacolare forse, e delle iniziative spettacolari che rischiano ormai di monumentalizzare.

Sono dunque diverse le strade: quella dell’imprinting nell’infanzia è da ritenere primaria, solo modo per ostacolarla nell’arco di diverse generazioni, fino all’azzeramento. Forti investimenti nell’educazione. Famiglia e scuole sono la chiave che potrà trasformare la mentalità degli uomini e delle donne e i loro comportamenti: rivedere i libri scolastici, orientare la formazione di genitori, educatori e comunicatori… selezionare i giocattoli… già i giocattoli. I negozi di giocattoli occupano aree enormi da fiere…

Eppure l’attenzione nella selezione dei giochi può fare la differenza nella formazione: di uomini, che da adulti non celebreranno la guerra forse o anche perché da bambini non hanno avuto armi giocattolo; delle donne che non temeranno di esprimere le proprie potenzialità, forse o anche perché da bambine hanno potuto sperimentare diversi modi di giocare che non con bamboline e cucinotti; di adulti e adulte che forse o anche sapranno vivere con gentilezza e rispetto perché da bambini/e hanno imparato a condividere giocattoli e spazi; di persone che forse o anche sapranno rispettarsi nelle proprie differenze di genere, di etnia e cultura, perché da bambini/e hanno imparato che la differenza è un valore…

E’ fondamentale che anche noi donne riconosciamo di avere delle responsabilità dirette o indirette, magari in buona fede, nella persistenza di una formazione diseguale della società. La scuola, soprattutto quella delle prime classi ha un corpo insegnanti quasi tutto femminile, ma proprio in queste scuole oltre che nelle famiglie, paradossalmente possono permanere e replicarsi i modelli di disparità sociale di genere.  Si stimolano magari bambine e bambini a disegnare, cioè a tradurre visivamente una loro idea, ma poi per farli giocare si interrompe questo stimolo formidabile a esprimere con le proprie mani. E’ più comodo portarli in un megatoys dove l’infinita fantasmagoria di colori e oggetti schiaccia e annulla qualsiasi impulso creativo. O mettere loro in mano con largo anticipo sui tempi, i primi oggetti di informatica, ottimi strumenti per il ragionamento, ma inefficaci per i sentimenti e le emozioni. La metodologia didattica, dovrebbe essere  mirata e condivisa su una traccia ministeriale di educazione anche ai sentimenti.

***

Qualche anno fa in uno scritto (qui) ragionavamo sulla bambola Barbie, analizzandone la rilevanza sociologica e attribuendole un notevole peso per aver influito sull’immaginario di generazioni di donne. Il giocattolo trasmetteva ideali di bellezza astratta e impossibile, insieme con un’idea di società poggiata sul futile e sull’effimero, grandi leve del consumismo per alimentare se stesso.

Da qualche giorno è entrata in commercio Lammily la bambola anti Barbie, creata dal designer Nickolay Lamm. 17.000 esemplari ordinati in 8 giorni. Un prodotto preconfezionato con intenzioni ingenuamente educative. In realtà una celebrazione commerciale della presunta “normalità” che convoglia ancora una volta verso un ruolo, verso una visione ingabbiata di genere che tollera cellulite e brufolo. Lammily insomma sarebbe una diversamente Barbie…

Le fattezze di Lammily sono più realistiche, le proporzioni meno slanciate e esasperate. Gli accessori applicabili simulano addirittura difetti comuni come acne (accettarla o curarla?) smagliature (a quell’età? Ma con un minimo di educazione fisica e alimentare…) cicatrici (prodotte come? da chi? Gioco che può scivolare nell’horror. Perché no, magari un livido sull’occhio!), i capelli lunghi corvini, gli occhi chiari naturalmente, mica nocciola! E mica strabici, ci mancherebbe! Il politically correct non va oltre certi limiti.

La bambola secondo l’autore, vorrebbe trasmettere il rispetto per il proprio corpo, la sua accettazione, un ideale di bellezza accessibile… portando nell’immaginario fantastico infantile l’apparato medicale infortunistico: il brufolo, il neo, la cellulite, la ferita… che qui valgono come incidente estetico. Senza parlare di dismorfismi e patologie fisiche che fanno quindi bruttezza, stando all’assunto, e chi ne è portatrice non entrerà nel catalogo e non potrà accettare il proprio corpo.

Dunque si sarebbe riparato così il “danno” provocato dalla Barbie (bisogna anche dire che molte bambine sono passate indenni, senza finire anoressiche e che molto dipende dalle situazioni familiari e dalle fragilità individuali)…

Lammily che celebra la bellezza della realtà e la riproduce secondo un modello univoco oggettivo, finisce per creare altro danno stereotipo di traverso perché non stimolando emozioni e immaginazione, atrofizza le capacità creative, non diversamente dalla Barbie. Riproponendo un modello di bellezza sociale pur sempre esteriore, da conquistare per essere accettate socialmente: a quel paese ogni caratteristica personale di forme, colori taglia… o anche handicap. Una celebrazione della presunta “normalità” che convoglia ancora una volta verso un ruolo, verso una visione ingabbiata di genere.

Ai tempi quando la bambola veniva creata in casa con rotoli di stoffa, merletti, gomitoli, con la complicità di mamma e nonna che magari faceva all’uncinetto il giacchettino per la bambola della nipotina… Vederla crescere tra le mani, modificarla, trovare il colore giusto, matite colorate, pennarelli, cartoncino, pongo… per fare oggettini e micro suppellettili, era un momento sensoriale e psichico molto formativo. Ma anche le bambole acquistate, rimanevano pur sempre aderenti al mondo infantile, quel mondo altro rispetto sia al sogno che alla realtà.

La sovrapposizione meccanica dei due mondi è uno stile diffuso. Nei serial televisivi, ma ormai anche in molti film, si raccontano vicende trasponendo per moduli il repertorio della vita quotidiana: litigi famigliari, turpiloqui, tradimenti, amori con o senza eros, vendette. Storie in cui ci identifichiamo. Riconosciamo gesti, vestiti discorsi, linguaggi. Ma questa schematica fotocopia della vita reale senza trasfigurazione di contenuti, priva il pensiero del fondamentale momento riflessivo, interpretativo e poi elaborativo. Così la bambola Lammily, è ancora uno stereotipo mediatico, toglie alle bambine la meraviglia del fantastico e la capacità di scoprire il surreale, il non sense dietro la realtà delle cose, e dunque anche di accogliere altri mondi possibili e impossibili nella sua sfera di crescita.

Presentare a bambini e bambine giochi indifferenziati o differenziati secondo le attitudini, permetterà il racconto creativo della loro esperienza, il piacere del problem solving, delle acquisizioni di abilità (skills) nel senso che un giorno o uomo o donna sapranno risolvere un problema, rispettandone anche le sfaccettature di genere. O uomo o donna sapranno fare ugualmente bene l’astronauta senza meravigliarci. Sta soprattutto a padre e madre. Ma l’apparato ludico indirizza, quello mediatico trasmette e le istituzioni dispongono.

marsia – UDIrc

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Quando una bambina di undici anni dice ti amo, la Corte approva

(disegno di Vasiliki Vourda)

 

DALLA PARTE DELLE  BAMBINE

CHE cosa sta capitando intorno a noi? Dico questo pensando alla sentenza della Cassazione che ha annullato la condanna a 5 anni di reclusione, inflitta per ben due volte a Pietro Lamberti, 60 anni, impiegato presso i Servizi sociali di Catanzaro, per aver avuto una relazione con una bambina di 11 anni, con la motivazione che c’era “amore” tra i due. Una sentenza incredibile, assurda.

Vorrei fare notare che stiamo parlando di una bambina e di un signore anziano. Davvero un uomo adulto è uguale a una bambina? Davvero avere 11 anni è la stessa cosa che averne 60? Una bambina ha bisogno di difesa, di protezione, di amore. Una bambina di 11 anni è una creatura che sta  ancora crescendo e il suo corpo porta i segni di una sessualità acerba e in boccio. Una bambina è un essere umano da accompagnare nella crescita con rispetto e cura dei suoi sentimenti e delle sue ingenuità.

E’ questo che la madre si aspettava nei confronti di sua figlia da quell’uomo a cui l’aveva affidata e di cui si fidava, forse, perché l’essere anziano, sposato e con figli lo rendeva rassicurante. Una madre ferita che non ha esitato a denunciare l’uomo quando ha capito che cosa aveva fatto alla sua creatura. Come mai la notizia non è arrivata sulle pagine dei maggiori giornali nazionali? Come mai nessun commento è seguito su questo giornale? Se n’è discusso, e molto, invece, su alcuni blog di donne come Sud-de-genere di Doriana Righini e Maschile/Femminile di Marina Terragni. E’ da loro che riprendo il post di Lorella Zanardo, autrice del video “il corpo delle donne”, perché profondamento vero e dice l’essenziale. < L’uomo condannato – lei scrive –  oggi viene riabilitato perché la Cassazione ritiene ci fosse “Amore” tra i due. Amore perché la piccola gli scriveva messaggi d’amore e gli chiedeva   “ma tu mi ami?”>.

Ma, chiede Zanardo <avete bambine di 11 anni? Ne avete conosciute? E allora sapete che a 11 anni, anche se hanno un piccolissimo accenno di seni o si atteggiano a grandi, le bambine a 11 anni sono bambine. Piccole. Sono appena uscite dalla scuola elementare. Sono delle creature innocenti e aperte al mondo, come è giusto che sia (… ). Io credo che la piccola calabrese amasse il signore di 60 anni. Perché no? Posso immaginare come ci si aggrappi a un uomo adulto che si occupa di te, quando la famiglia alle spalle, per ragioni diverse, latita. Amore nel senso più bello: ti amo perché mi vuoi bene, avrà pensato la piccola che chiedeva rassicurazioni a questo signore che si prendeva cura di lei. E se amo dunque mi fido. E se lui che amo mi dice che lo devo toccare, io lo farò. E se lui che amo mi dice di fare delle cose, io le farò. Perché no? Di lui mi fido.>  Zanardo lancia a questo punto un’accorata richiesta: <Ora vi prego di considerare questa vicenda con tutto l’amore possibile per questa bambina. Non serve gridare al mostro. Serve spiegare a questa Italia allo sbando, a questi giudici di un Paese smarrito e feroce verso gli innocenti, cosa significhi essere bambine e bambini (… ) >.

E incalza, < mi riferisco al caso Parioli. Nessun riferimento alle colpe degli adulti. Una cattiveria feroce si riversa sulle bambine: lo vedete? Modelle di 12 anni, soubrette appena maggiorenni col compito di attizzare vecchi corrotti, pubblicità che sfruttano ogni singolo pezzo di carne di corpicini in sviluppo. Il mercato in affanno che dilania le giovanissime, target ambito. E uomini impauriti che abdicano al loro ruolo di padri, per fingere di essere eterni adolescenti. Dalla parte delle bambine.>

Fermiamo questa ferocia. Facciamo capire che c’è una questione che riguarda gli uomini e la loro sessualità nel rapporto con le donne e le bambine. Spostiamo lo sguardo dalle vittime agli uomini violentatori e stupratori. Chiamiamo le cose col loro vero nome, al di là delle sentenze. Diciamo allora che violare il corpo di una bambina di 11 anni, carpire e sfruttare il suo bisogno di amare e di essere amata, è un atto spregevole, uno stupro e una violenza inaccettabili.

Franca Fortunato

(su Quotidiano della Calabria 10.12.2013)

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Fiorella Mannoia scrive alle donne

manifesto doveri sposeDoveri della famiglia cristiana, riprod. stampa del 1895, conservata nel ristorante “Casa Baroni” – Fellicarolo-MO – fonte e notizie radiocittadelcapo   

Vorrei aggiungere a tutte le riflessioni di ieri anche la mia e la voglio indirizzare alle donne. Sorelle, qui sotto ci sono scritte le regole che ci sono state inculcate in centinaia di anni. Sono retaggi duri a morire, circolano nel nostro sangue, nel nostro DNA.

Se vogliamo cambiare la mentalità maschile, dobbiamo cominciare a cambiare anche la nostra, toglierci dalla nostra “mappa genetica” questa vocazione della “crocerossina” quel pensiero malato che ci porta a sperare che “LUI” possa cambiare. Quel “LUI” non cambierà.

Sottomettere una donna (o chiunque) crea dipendenza, innesca, nelle persone vigliacche, una sindrome di onnipotenza difficile da sradicare, permettere anche una sola volta che il nostro compagno alzi una mano su di noi, o che eserciti una qualsiasi violenza anche psicologica ci fa scivolare lentamente in un pozzo dal quale è difficile risalire. Sono i nostri atteggiamenti sottomessi che inducono l’uomo (anche lui vittima degli stessi retaggi culturali che questa foto elenca così bene) a pensare ad una donna come una proprietà, e a non accettare il suo rifiuto.

Il mio invito è a riflettere sui nostri comportamenti. Bisogna scappare a gambe levate da un uomo violento, immediatamente. Invece spesso le donne sopportano, giustificano, perdonano, aspettano, sperano… che qualcosa possa cambiare, che LUI possa cambiare, rendendosi complici di una spirale pericolosa che spesso, troppo spesso, sfocia nelle tragedie che conosciamo. Quando una donna dice no è NO. Punto. Che sia una moglie, o una prostituta non fa differenza. Sradichiamo una volta per tutte le regole qui sotto riportate e non permettiamo a nessuno di toglierci la dignità che ogni essere umano ha diritto di avere. Ma deve partire da noi, dall’educazione che diamo ai nostri figli, una madre sottomessa è un cattivo esempio per i figli, maschi e femmine. Sorelle, riflettiamoci sopra.

Fiorella Mannoia

doveri spose(estratto Doveri delle spose)

***

Molto apprezzabili le riflessioni e generoso l’appello di Fiorella in occasione del 25 Novembre, e per una causa di civiltà basilare che dovrà quanto prima inondare il mondo. Sono ormai poche le donne che credono di dover obbedire al cliché della sottomissione, tuttavia la pericolosità di alcuni comportamenti maschili, manifesti o nascosti, permane nel nostro paese e nelle aree occidentali e può generare sottomissione, finché a un rifiuto non esplode incontenibile la punizione o la vendetta. E’ impensabile che in Europa, per esempio, si trovino alcuni paesi scandinavi ai primi posti per stupro, la forma più di ogni altra odiosa di sottomissione e annullamento fulmineo della personalità. Comportamenti violenti verso le donne sono abnormi e di massa in altre aree e nei terzi mondi, per il permanere di strutture tribali repressive, politiche o civili-religiose, e per la concezione arcaica del possesso dei beni tra cui era inclusa la donna.

La ribellione e la denuncia sono necessarie. La cosa più problematica è che dopo la denuncia vi sia il pericolo della vendetta senza la necessaria rete di protezione, e il contesto generale è quello delle gravi carenze in termini di prevenzione. Quando le situazioni sono complesse e pericolose, occorre possibilmente una strategia. Uscirne al più presto, chiedere aiuto, non rimanere sole.

E non rimanere sole, isolate, in generale per tutte le donne è un’esigenza in questa prospettiva di dovere estirpare, in casa o fuori casa, le culture offensive o violente contro di loro: unirsi e riunirsi in una partecipazione pubblica, non importa in quale forma associativa, per concorrere a raggiungere questo grado di civiltà dei diritti e dei doveri paritari. Capita di vedere tutte donne in varie sezioni di uffici istituzionali, ma poi il ruolo del capufficio è ininterrottamente maschile, e così il direttore generale, e quello regionale, e il sottosegretario e il ministro, e… il presidente della repubblica.

In questo senso il salto obbligato è quello di compartecipare ai ruoli decisionali e legislativi nella cosa pubblica, inserendo nuovi modelli di pensiero operativo e di analisi e con l’abbandono di quegli schemi maschili di potere che ignorano o ostacolano la dimensione femminile.

Diversamente sarà, come è già, una tela di Penelope.

La riproduzione sopra riportata dei Doveri delle Spose, cui si riferisce Mannoia e che circola in rete, è un corpuscolo, come è nella natura frammentata e frammentaria di fb, non meglio chiarito. Il primo equivoco che si può ingenerare è che fosse una vecchia pagina o stampa, come potrebbero indicare i caratteri, risalente a molti anni fa di Famiglia Cristiana, rivista cattolica.

Si tratta invece di una locandina, come diremmo oggi, stampata in occasione di una predicazione, una catechesi dedicata alla famiglia, tenuta dal 29 giugno al 7 luglio 1895 nella parrocchia di Fellicarolo, una frazione di Fanano in provincia di Modena.

L’intestazione del foglio originario infatti recita: RICORDO DELLA SACRA PREDICAZIONE in apparecchio alla solenne consacrazione della Famiglia cristiana.

La catechesi era stata sistematica e contemplava tutti gli aspetti comportamentali e interrelazionali dei componenti della famiglia, intesa come sacra famiglia di Nazaret, ma che di fatto investiva tutta la società di cui la famiglia era considerata nucleo, e di fatto nella sola componente maschile: i capifamiglia, i dipendenti, i figli maschi erano la struttura operante della società, le donne non avendo nessuna incidenza né come soggetto pubblico né come privato, sottomesse alla potestà maritale o paterna. Il documento oltre che diretto specchio di quella forma religiosa integralista è anche uno spaccato della struttura sociale gerarchica e patriarcale. Un capo assoluto per l’impero, il regno, il principato, il ducato…, un marito a capo della famiglia e del territorio domestico come microimpero. E la signoria era assoluta: dal territorio fisico ai corpi, all’anima, cui badava la chiesa. Facile ottenere obbedienza e sottomissione con l’umiliazione, la tortura, la terribile punizione, l’uccisione, il rogo, materializzazione dell’inferno.

Da allora è cambiato moltissimo per un verso, e sono stati i movimenti di donne a partire da metà Ottocento (l’ultima strega fu arsa all’alba di quel secolo) a portare cambiamenti per la loro parte, a scuotere la piramide societaria e né la parte maschile né la struttura ecclesiastica eorum sponte l’avrebbero mai voluto. Cedere potere è quasi un dolore fisico.

Per un altro verso coesiste ancora un enorme fenomeno carsico maschilista che può andare dalle forme più piccole e inconsapevoli (nessuno è perfetto) fino alle forme più macroscopiche con l’epilogo criminale del femminicidio. Ancora troppa letteratura mediatica celebra e alimenta il sentimento del possedimento d’amore per sempre, piuttosto che il sentimento del rispetto di un amore come legame consapevole nella libertà reciproca, finché potrà durare.

Il compendio della precettistica:

Doveri dei capi di casa

Doveri dei figli e dei dipendenti

Doveri delle spose

Doveri delle madri

Doveri dei mariti

Doveri di padri

Doveri dei giovani

Doveri delle giovani.

E’ evidente l’elencazione dei comandamenti in ordine gerarchico: capi-famiglia / figli e dipendenti; mariti / spose; padri / madri; giovani (maschi) / giovani (donne). Il prospetto-vademecum termina con le esortazioni: OPERA IL BENE / FUGGI IL MALE, con altra serie di precetti e giaculatorie.

A margine destro della riproduzione in verticale è scritto: Riproduzione originale di un’antica stampa conservata presso il ristorante “Casa Baroni” – Fellicarolo (MO) tel… Infatti la riproduzione è esposta in quel ristorante e a notarla è stato uno storico locale, Massimo Turchi.

I coniugi Fernando e Pina Corsini molti anni fa comprano un vecchio cascinale sull’Appenino tosco-emiliano per farne un ristorante, e nei lavori di ristrutturazione tra i vecchi oggetti agricoli delle soffitte trovano la stampa ingiallita, tutta piegata in un cesto. Fernando, che ha oggi 72 anni, descrive la borgata a più di mille metri sotto il monte Cimone come una piccola comunità di montanari pastori dediti alla transumanza, e che vivevano proprio secondo le regole del foglio ingiallito. L’unica trasgressione per i bisnonni dell’epoca era alzare il gomito la domenica all’osteria.

Sul tritatutto di fb e twitter i commenti crescono a dismisura, ma preoccupano soprattutto molte approvazioni da parte maschile. Qualche insulto a Mannoia, che pensasse solo a cantare, e qualche commento del tipo: le donne non sono di proprietà ma in comodato d’uso, il che non sposta molto i termini e fa vedere quanto vi sia ancora una dotazione mentale di luoghi comuni acriticamente accolta e dura a demolire. Costrette fino allo sfinimento ogni volta a indicarne le radici: il millenario patriarcato (planetario) che non ha religione, le forme istituzionali del potere repressivo che hanno a modello il capo, le religioni che hanno vissuto e vivono di gerarchie maschili da cui la donna storicamente è stata considerata inferiore, impura…  e oggi quelle voci, quei personaggi, quei media e quella comunicazione che perpetuano questo sottofondo.

Eppure al tempo arcaico quando il maschio non sapeva di chi fosse la prole generata, e non era ancora instaurata la proprietà domestica individuale e per clan, la figura della donna era omologa di una divinità portatrice dello stupore della nascita, strettamente legata ai cicli naturali. I gruppi erano paritari pacifici e collaboranti, matrilineari, come dimostrano l’assenza di tracce di guerra o strutture difensive negli insediamenti, le sepolture, i reperti archeologici delle dee madri.

Vigorosa e decisa dunque Fiorella Mannoia.

***

In quanto peccatrice per natura (diaboli ianua) e istigatrice al peccato, anzi origine del peccato primordiale la donna è così descritta da Tertulliano, dottore della Chiesa (De cultu feminarum, 1,1):

«Ogni donna dovrebbe camminare come Eva nel lutto e nella penitenza, di modo che con la veste della penitenza essa possa espiare pienamente ciò che le deriva da Eva, l’ignominia, io dico, del primo peccato, e l’odio insito in lei, causa dell’umana perdizione…

Dunque da tenere molto a bada…

(per una riflessione più approfondita e integrata continua a leggere)

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Tosca

Il numero delle vittime è ben oltre la stima ufficiale, lo è sempre stato, e non si tratta solo di chi viene uccisa.

Le ultime vittime, e l’ultima che i medici cercano di salvare, hanno subito violenza mentre il contrasto al femminicidio è diventato termine politico: nel governo, nelle amministrazioni e perfino in alcuni media. Nella convivenza e dentro le  teste delle persone le cose sono cambiate, intanto, in un modo che poco o niente influisce sul pericolo costante che avvolge le vite delle donne e sullo stile di vita di chi è minacciata.

Il femminicidio è diventato un nuovo argomento politico, ma inutilmente per le vittime.

Il femminicidio è ormai anche un banco propagandistico, un altro modo di occupare posti e di distribuirli nella politica, mentre l’ideologia che lo sostiene è però quella arcaica di sempre.

Una spia di questo sono gli spot del governo che differiscono di poco da una maggioranza all’altra e tutti insistono crudelmente sulla millantata presenza di aiuti e possibili difese pubbliche, ma soprattutto sul “coraggio di denunciare”

La querela di parte è un’arma in mano agli assassini e ai torturatori, e le donne ne sanno molto di più di quanto non ne sappiano i governanti, che continuano a celarsi dietro le vittime e alla loro presunta stupidità nel fidarsi “dell’amore”.

Loro ora si chiedono cosa potrebbero dover dire di voler fare, c’è chi lo sa ma nessuno ascolta.

Gli assassini invece ascoltano e si sentono incoraggiati da parole ed immagini che parlano di amore assassino, di delitti sentimentali, ed hanno perfino nelle orecchie una suggestione: quella che per condannare davvero un assassino è necessario che la vittima sia buona e bella. Chi uccide lo fa perché la “cosa femmina” non è per loro più utile, buona, né piacevole, bella. Quella cosa femmina si può sopprimere. Alcuni si uccidono, pochi, molti andranno in galera per poco, “il dolore sarà la loro pena”. Non è vero che il dolore se c’è in questi casi redime, perché gli assassini tornano a picchiare e uccidere.

Le donne che si sono salvate dalla morte durante la violenza, sono salve grazie alla denuncia  di un vicino, di un passante, di un’amica o di un amico. Loro, le vittime, non potevano averlo il coraggio, perché mentre alzavano la testa qualcuno cercava di rompergliela.

Nel 2013 il diritto dice ancora che la violenza sulle donne è un fatto privato, che la vita di una donna è affidata alla beneficenza, alla carità all’arbitrio di un padrone.

La cultura è cambiata, la politica no e neanche la comunicazione.

La giovane donna albanese ridotta in fin di vita “da un  uomo che difendeva la sua donna”, sua amica, non è solo una delle vittime della furia, ma anche dello sfruttamento della prostituzione, vero focolaio di uccisioni, stupri e ritorsioni sui bambini. Nello schiavismo che prostituisce ci sono capi che ti fanno rimanere viva solo se collabori. Dalle prime indagini sembra che la vittima collaborasse a mantenere nel giro la sua amica, e le sue prospettive sembrano divise nella scelta di una morte piuttosto che un’altra. Quella prostituzione che uccide e fa uccidere è la stessa di cui si servono gli uomini che “non picchierebbero mai una donna”.

 Noi speriamo che Tosca viva, anche se un uomo ha fatto di tutto per “punirla” ed ucciderla, ma pensiamo anche alla sua amica che per uscire dalla schiavitù non ha potuto contare su nessun altro che non fosse un uomo capace di uccidere, massacrare e per il quale rappresenta una proprietà.

Se qualcuno pensa ancora che si tratti di condannare e nominare il femminicidio, sbaglia e sbaglia perché da un’altra parte pensa che siano le vittime a dover avere il coraggio, sbaglia magari anche perché pensa la prostituzione sia il mestiere più antico del mondo, forse solo da legalizzare. Sbaglia perché non vede i legami contraddittori tra le parole che pronuncia  contro l’uccisione di donne e quelle che usa per nominare il loro corpo a pezzi come dal macellaio.

Domani nel piazzale di fronte al Loreto Mare a Napoli ci sarà un sit in alle 18, per Tosca che deve vivere, ma anche per la sua amica perché viva davvero senza protezioni.

UDI di Napoli

Napoli 14 Maggio 2013

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V-Day 14 febbraio 2013

1 billion_vd

1 Billion Rising

Uno sciopero globale
Un invito alla danza
Una chiamata a uomini e donne per il rifiuto di sostenere lo status quo finché lo stupro e la cultura dello stupro non finiscano
Un atto di solidarietà, per dimostrare alle donne la comunanza delle loro lotte e il loro potere in numero
Un rifiuto dell’accettazione della violenza contro donne e bambine come un dato
Un nuovo tempo e un nuovo modo di essere

V-DAY 

Non sopporto

di Eve Ensler

Non sopporto lo stupro.

Non sopporto la cultura dello stupro, la mentalità dello stupro, certe pagine di Facebook sullo stupro.

Non sopporto le migliaia di persone che firmano quelle pagine con i loro veri nomi senza vergogna.

Non sopporto che persone richiedano come loro diritto quelle pagine, invocando la libertà di parola o giustificandolo come uno scherzo. 

Non sopporto le persone che non capiscono che lo stupro non è un gioco, e non sopporto di sentirmi dire che non ho senso dell’umorismo, che le donne non hanno senso dell’umorismo, quando invece la maggior parte delle donne che conosco (e ne conosco un sacco) cavolo se sono divertenti. Semplicemente non crediamo che un pene non invitato dentro al nostro ano o alla nostra vagina faccia rotolare dal ridere.

Non sopporto il lungo tempo che occorre perché qualcuno dia una risposta contro lo stupro.

Non sopporto che Facebook impieghi settimane per eliminare le pagine sullo stupro.

Non sopporto che centinaia di migliaia di donne in Congo stiano ancora aspettando che finiscano gli stupri e che i loro violentatori siano incriminati.

Non sopporto che migliaia di donne in Bosnia, Burma, Pakistan, Sud Africa, Guatemala, Sierra Leone, Haiti, Afghanistan, Libia, puoi dire in un luogo qualsiasi, siano ancora in attesa di giustizia.

Non ne posso più degli stupri che avvengono in pieno giorno.

Non sopporto che in Ecuador 207 cliniche supportate dal governo facciano catturare, violentare e torturare le donne lesbiche per renderle etero.

Non sopporto che una donna su tre nell’esercito americano (Happy Veterans Day!) venga stuprata dai suoi cosiddetti “compagni”.

Non sopporto che le forze neghino ad una donna che è stata stuprata il diritto all’aborto.

Non sopporto il fatto che quattro donne abbiano dichiarato di essere state palpeggiate, costrette e umiliate da Herman Cain e lui stia ancora correndo per la carica di Presidente degli Stati Uniti. E non sopporto che a un dibattito della CNBC Maria Bartimoro, quando gli ha chiesto una spiegazione, abbia ricevuto fischi. E’ stata fischiata lei, non Herman Cain!

Questo mi ricorda anche di non poter sopportare che gli studenti, a Penn State, abbiano protestato contro il sistema giudiziario invece che contro il pedofilo presunto violentatore di almeno 8 bambini, o il suo capo Joe Paterno, il quale non ha fatto nulla per proteggere quei bambini dopo aver saputo cos’era successo loro.

Non sopporto che le vittime di stupro siano ri-stuprate ogni volta che il fatto lo rendono pubblico.

Non sopporto che le affamate donne somale siano stuprate nei campi profughi di Dadaab in Kenya, e non sopporto che le donne che hanno subito stupro durante l’Occupy a Wall Street siano state messe a tacere su questo per il fatto che sostenevano un movimento che si batte contro la devastazione e la rapina dell’economia e del pianeta… Come se lo stupro dei loro corpi fosse qualcosa a parte.

Non sopporto che le donne ancora tacciano riguardo allo stupro perchè si fa credere che sia colpa loro o che abbiano fatto qualcosa per farlo accadere.

Non sopporto che la violenza sulle donne non abbia il primo posto nelle priorità internazionali nonostante che una donna su tre sarà stuprata o picchiata durante la sua vita – distruggere ma anche mettere a tacere e soggiogare le donne è distruggere la vita stessa.

Niente donne, niente futuro, chiaro.

Non ne posso più di questa cultura dello stupro in cui i privilegiati che dispongono di potere politico fisico economico  possono appropriarsi di quello che vogliono, quando lo vogliono, nella quantità che vogliono, tutte le volte che lo vogliono.

Non sopporto la continua rivivificazione delle carriere degli stupratori e degli sfruttatori della prostituzione – registi, leader mondiali, dirigenti d’azienda, star del cinema, atleti – mentre le vite delle donne che loro hanno violato sono per sempre distrutte, spesso obbligate a vivere in un esilio sociale e affettivo.

Non sopporto la passività degli uomini per bene. Dove diavolo siete?

Vivete con noi, fate l’amore con noi, siete nostri padri, nostri amici, siete nostri fratelli, generati, amati e da sempre sostenuti da noi, e dunque perchè non vi sollevate insieme a noi? Perchè non puntate contro la follia e l’azione che ci violenta e ci umilia?

Non sopporto che sono anni e anni che sto a non sopportare stupri.

E di pensare allo stupro ogni giorno della mia vita da quando avevo 5 anni.

E di star male per lo stupro, e depressa per lo stupro e arrabbiata per lo stupro.

E di leggere nella mia casella di posta dannatamente piena orribili storie di stupro ad ogni ora di ogni singolo giorno.

Non sopporto di essere educata nei confronti dello stupro. E’ passato troppo tempo adesso, siamo state troppo a lungo comprensive.

Abbiamo bisogno di un OCCUPYRAPE [protesta contro lo stupro] in ogni scuola, parco, radio, rete televisiva, casa, ufficio, fabbrica, campo profughi, base militare, retrobottega, nightclub, vicolo, aula di tribunale, ufficio delle Nazioni Unite. Abbiamo bisogno che la gente provi davvero ad immaginare, una volta per tutte, cosa si prova ad avere il proprio corpo invaso, la propria mente dissociata, la propria anima distrutta. Abbiamo bisogno che la nostra rabbia e la nostra compassione ci unisca tutte così che possiamo rovesciare il sistema globale dello stupro.

Nel pianeta ci sono approssimativamente un miliardo di donne che sono state violate.

UN MILIARDO DI DONNE.

Adesso è il momento. Preparati per l’escalation.

Comincia oggi, fino ad arrivare al 14 febbraio 2013 quando un miliardo di donne si solleveranno per mettere fine agli stupri.

Perchè noi non lo sopportiamo più.

(Uffington Post 11/11/11)

(trad. UDIrc)

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(foto Udi Catania)

A loro immagine e somiglianza

Mentre tutto il mondo si interroga con rabbia e sdegno sulle violenze e le torture a cui sono sottoposte le donne indiane da parte di uomini e sulle imponenti manifestazioni di protesta a cui il Governo indiano sembra incapace di dare una risposta, arriva la notizia di un atto gravissimo del Congresso degli Usa a maggioranza repubblicana. il Violence Against Women Act, la legge del 1994, voluta da Bill Clinton e che fino a pochi giorni fa proteggeva le vittime di violenza, non è stato prorogato e gli aiuti per donne stuprate, picchiate o che subivano stalking sono stati aboliti.

Il partito repubblicano prima ha svuotato la legge considerata troppo progressista, infatti per riapprovarla, (scadeva il 31 dicembre 2012)  avevano escluso gli articoli che garantivano protezione a lesbiche, gay e transgender, alle immigrate cui è scaduto il permesso di soggiorno e alle donne che vivono nelle riserve indiane dove, secondo dati federali, tra il 2000 e il 2010 gli stupri sono aumentati del 55%. La violenza maschile è forte e pervasiva negli Stati uniti (come nel resto del mondo) dove ogni giorno tre donne vengono uccise da un familiare. Firmato da Bill Clinton il 13 settembre 1994, il Violence Against Women Act ”ha rafforzato le sanzioni federali contro gli stupratori – si legge sul sito della Casa Bianca -, fatto sì che le vittime, a prescindere dal loro reddito, non siano costrette a sostenere le spese di esami clinici e siano inserite in programmi di protezione, garantito assistenza alle donne sfrattate dalle proprie case in seguito a casi di stalking, violenza o stupro”.

Non solo: il VAWA garantiva alle immigrate clandestine permessi di soggiorno speciali per invogliarle a denunciare i loro aggressori. I risultati c’erano: “Dal 1993 al 2010, il tasso di violenza domestica è calato del 67% – si legge ancora su www.whitehouse.gov – tra il 1993 e il 2007, le donne uccise per mano del partner sono diminuite del 35% e gli uomini uccisi del 46%”.  Provvedimenti seri per affrontare un enorme problema politico e sociale. Ma per i repubblicani si tratta solo di tutele “dettate da interessi politici”. Che in campagna elettorale hanno scatenato polemiche infuocate contro le donne come quella di Todd Akin, deputato del Missouri, che aveva affermato “da quanto ho sentito dai medici, rimanere incinta dopo uno stupro è un fatto decisamente raro” in quanto “in caso di stupro legittimo il corpo femminile può fare in modo di evitare la gravidanza…”. Due mesi dopo  il 24 ottobre il candidato repubblicano al Senato in Indiana, Richard Mourdock, molto vicino al Tea Party, aveva spiegato durante un dibattito che se una donna rimane incinta durante uno stupro “è qualcosa che ha voluto Dio”.

Secondo questa logica è comprensibile perchè non bisogna aiutare le donne che subiscono violenza e maltrattamenti. Al volere di Dio non si può contrapporre il volere dello stato e la difesa dei diritti delle donne. Neanche il fondamentalismo islamico arriva a tanto  ma è una logica che conosciamo bene, infatti, mentre in Italia il caso di Don Corsi, per quanto imbarazzante, non sembra aver smosso più di tanto le gerarchie cattoliche visto che i soliti siti integralisti che fanno apologia del femminicidio e istigazione a delinquere lo propongono come santo subito, sostengono  anche  che il femminicidio è il segno del volere di Dio per rimettere sulla retta via una società distrutta dalla libertà delle donne. Crisi o non crisi i sostenitori e gli epigoni del patriarcato hanno deciso di usare tutte le armi consentite per ridurre le donne a più miti consigli e rimetterle al loro posto o in ogni caso per punirle duramente. Non lasciando nulla di intentato. Se Dio è violento e ci maltratta perché gli uomini dovrebbero essere diversi? Il sospetto è che abbiano creato Dio a loro immagine e somiglianza.

UDI – Unione Donne in Italia, Casa Internazionale Delle Donne   

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0,10 % di colpa, bastava toccare mani e piedi

bapi asharam(Bapi Asaram nel video mentre commenta lo stupro della donna)

Nirmala Carvalho (premio Staines International Award per l’armonia religiosa, 2009) giornalista indiana corrispondente di Asia News, molto attiva con denunce coraggiose per i diritti delle donne, riferisce del folle commento di un guru hindu molto seguito, Asaram Bapu, sullo stupro della ragazza, poi morta per le sevizie, avvenuto a New Delhi.

Bapu (padre) ha spiegato che la ragazza è “ugualmente responsabile” del crimine quanto i suoi carnefici. “Avrebbe dovuto chiamare i suoi aggressori “fratelli” toccare le loro mani e i loro piedi, e pregarli di fermarsi … ella avrebbe salvato la sua dignità e la sua vita. Si può applaudire con una sola mano? Non credo”.

Una valanga di proteste si sta muovendo per le folli dichiarazioni del bapu nel paese ancora sotto shock: irresponsabili, vergognose, lesive della dignità umana. E cosa dire allora alle donne indiane che muoiono di dote uccise arse o suicide (una ogni quattro ore) per non aver assolto alla completa corresponsione.

Nei fatti è risultata una spietata quanto vile esecuzione con stupro della ragazza, di cui non è stato per legge rivelato il nome (il Daily Mirror però lo ha  pubblicato domenica). Ma Asaram nonostante le proteste e il biasimo di personalità politiche e religiose e della società si è rifiutato di chiedere scusa. Anzi ha pure affermato che non va inflitta ai colpevoli una condanna troppo severa, perché «spesso le leggi esistenti sono mal utilizzate».

La sua portavoce ha cercato di correggere il tiro con la solita formula di rito del fraintendimento dell’estrapolazione dal contesto.

“Voleva dire che gli uomini sono responsabili, ma la ragazza ha uno 0,1% di colpa per essere salita su quell’autobus. Se avesse scelto un autobus pieno o con altri uomini, non sarebbe incappata in questa situazione. Se avesse pregato, allora qualcosa le avrebbe impedito di prendere il mezzo, e avrebbe fermato gli uomini”.

Tragedia e ridicolaggine si mescolano nel determinare il microdosaggio decimale della colpa della donna. Colpa di tornare a casa – era insieme al fidanzato -, di aver preso un autobus con solo sette persone a bordo, colpa di non aver previsto, colpa solo di essere donna più chiaramente. Avrebbe dovuto chiamarli “fratelli”, umiliarsi, supplicare remissiva, toccando quattordici mani e, chinandosi, quattordici piedi.

E poi  in nome di un qualcosa di superiore, dio dea o sostanza divina che dicono essere infinitamente dolce e tenera, ma che non ispira loro stessi che ne professano i precetti. Anche per la religione o meglio insieme di correnti religiose indicate come induismo ciò che viene professato non è conoscenza terrena ma verità rivelate.

All’altro capo del mondo insomma c’è un altro che dice se l’è cercato. Zelatori estremi che credono molto nei comandamenti punitivi specie se applicati al connubio donna-sesso.

Perché tanto universale questo atteggiamento di condanna delle donne vittime di sesso violento, insinuando sempre che se lo sono cercato, o andando a vedere se hanno provocato? Al contrario perché tolleranza e tante giustificazioni per gli uomini che abusano e uccidono, descrivendoli come presi da raptus o follia d’amore o incontinenza ormonale. Quasi sempre dette brave persone, nessun segno

Da diversi decenni molto è emerso sul piano storico e della ricerca, ma ancora difficile da fare accettare definitivamente alla totalità della conoscenza scientifica. Al di là delle pulsioni e della dinamica psichiatrica.

Quando vivevamo in comunità aperte in epoca preistorica antecedente il neolitico, nessuno/nessuna sapeva di chi fosse la figlia o il figlio avuto che in ogni caso restava, sì, presso la madre, ma in una comunità di madri, per forza di cose unite sia per la cura che per il procacciamento del cibo in comune. I maschi, frenando gli impulsi predatori e sessuali, avevano imparato a convivere  in un rapporto paritario collaborante, non violento e di venerazione per la femmina capace dell’atto procreativo inspiegabile e quindi divinizzato. Una mole imponente di tracce e reperti archeologici e soprattutto studi comparati, integrati e multidisciplinari lo dimostrano abbondantemente. Erano le società pacifiche né matriarcali né patriarcali, studiate e chiamate gilaniche da Rian Esler, matristiche o matrilineari. Marija Gimbutas, archeologa, ha scavato centinaia di siti e portato alla luce migliaia di reperti sistematizzando la mappatura dell’Europa protostorica in relazione alla struttura sociale e alle credenze.

La cultura androcentrica non ha considerato nel suo peso storico e antropologico queste risultanze per aver schematizzato il corso della civilizzazione con l’inizio delle civiltà guerriere, della prima scrittura, e delle tecnologie meno arcaiche.

La pratica della guerra, del possesso violento, la gerarchizzazione, l’aggregazione in nuclei di proprietà comprendenti terra-donne-animali-acqua, non sono modelli originari, comportamenti innati, ma sopraggiunti nella storia della specie. Anzi imposti. L’uomo è cacciatore (razziatore) e al cuore non si comanda (nel senso che se mi piace me la/lo prendo), come innatismo, potrebbero essere l’estrema semplificazione del processo.

Nel corso della nostra evoluzione orde di nomadi indo-eurpei (ipotesi Kurgan)ben equipaggiati di cavalli e strumenti di guerra efficaci, compiono razzie, stabiliscono marcature di territorio, detengono come proprietà donne e animali, e avanzando distruggono facilmente le società pacifiche gilaniche assumendo il controllo del corpo delle donne. Una formazione più utilitaristica e di accumulo che funziona sotto comando, per strati obbedienti, con punizioni ed esecuzioni, e che può essere stanziale e soprattutto nomadica.

Ora gli uomini capi sanno quali e quanti figli o figlie posseggono: i maschi sono la forza del gruppo, del clan, della tribù, le femmine si occupano totalmente dell’accudimento interno, servono per gli scambi e le alleanze, gli apparentamenti di rafforzamento. E per godimento esclusivo.

La guerra di Troia è la grande epopea storica della perdita o dell’ appropriazione di un corpo di donna.

Da allora fino ad oggi il controllo maschile si è fatto società, si è molto perfezionato e complicato, più sottile anche invisibile, ma esteso e compatto, o dichiarato e violento più vicino a certi primordi, quasi immutato.

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Violenza donne e Pari Opportunità

Violenza donne e minori – ipotesi di azioni di contrasto

(titolo dell’iniziativa della Commissione Regionale per le Pari Opportunita in occasione della Giornata Internazionale contro la violenza sulle donne, sala Giuditta Levato, Palazzo Campanella, Reggio C.) 

Una tavola rotonda senza dibattito con cinque tra relatori e relatrici e una moderatrice per parlare di violenza contro le donne e i bambini. Questo, l’incontro avvenuto ieri a Palazzo Campanella su iniziativa della Commissione Regionale Pari Opportunità, a ridosso del 25 novembre, Giornata Internazionale contro la violenza nei confronti delle donne. L’aula Giuditta Levato quasi straripante. Una novità, essendo ormai abituate/i ad un pubblico numericamente modesto in ogni occasione culturale. Si spiega però da una parte con il richiamo di un nome noto della Tv del dolore e delle morbose cronache nere: il criminologo Francesco Bruno (per il quale l’omosessualità è una malattia), dall’altra con la partecipazione di alcune scuole che hanno risposto all’invito di chi ha organizzato.

Il ringraziamento iniziale va al Rotary da parte della Presidente regionale delle Pari Opportunità avv. Giovanna Cusumano (avvocate o mediche, perché non una sociologa mai alle Pari Opportunità?) e rende evidente la stranezza di organizzare una tavola rotonda così delicata, affidandosi alla collaborazione di un’Associazione di Service Club, che per quanto rispettabile non ha un’attività specifica di studio, conoscenza capillare territoriale e iniziative sui temi trattati.

Le relazioni, di professione medica e giuridica, hanno fornito soprattutto indicazioni tecniche e normative sul doppio problema della violenza riguardante donne e minori, ma mescolato purtroppo, come se le due cose avessero una unica radice, un’unica evoluzione, una identica spiegazione. Segno di una impostazione e una conoscenza approssimativa delle rispettive radici pensate più come atto o comportamento che non come conseguenza di una strutturazione sociale.

Va dato atto a Francesco Bruno di aver rilevato questa carenza d’impostazione, di avere richiamato coscienza e sensibilità per andare oltre il dato normativo, e di aver dato una veste sociologica alla questione spostando la trattazione verso un diverso taglio, quello culturale e della analisi storica e preistorica.

I motivi della violenza sulle donne ormai si conoscono perfettamente come si conosce perfettamente il percorso che va fatto per annientare il fenomeno con le azioni concrete relative. Poiché solo analizzando con percorsi integrati e diacronici se ne capisce la matrice e si individuano le soluzioni. Fuori da questa ottica non resta che la non-soluzione per via penale.    

Bastano una Convenzione internazionale: CEDAW, adottata dall’ONU fin dal 1979, e il Trattato di Istanbul di più recente adozione, che avrà valenza giuridica appena si saranno completate le ratifiche, per fornirci esattamente il quadro della situazione e le strade da percorrere.

La violenza, è scritto nei trattati, non è un atto privato che si consuma all’interno di un conflitto famigliare per turbe mentali dell’uomo o per inadempienze della donna, o per mero incidente, gelosia, passione, come continuano a scrivere e comunicare troppi media. Al contrario è un atto che ha valenza politica e che deriva dalla disparità di potere per consuetudine instaurata nella coppia, e dalla mentalità piramidale gerarchica patriarcale dominante dell’uomo, fin troppo sostenuta dalla società. Questo va detto chiaro negli incontri informativi, soprattutto quando ad organizzarli è una Commissione Regionale delle Pari Opportunità.

Sono decenni che diverse Associazioni hanno elaborato studi approfonditi e raccolto dati e fatto campagne e proposte. Non c’è quasi più niente da studiare, molto da far conoscere. E’ urgente passare ad azioni concrete. E non c’è nessuna struttura, competenza, organismo meglio della molteplicità femminile a saper parlare della violenza che subisce in quanto soggetto.

Le Amministrazioni pubbliche, dietro raccomandazioni dell’Onu, devono lavorare in stretta collaborazione con le Associazioni che si occupano attivamente di questi problemi, e creare reti locali competenti in multidisciplinarietà per sensibilizzare, educare e tutelare.

Al Convegno del 26 novembre non sono state invitate a parlare né l’UDI né altre Associazioni regolarmente attive in materia di violenza né una rappresentanza di qualche centro Antiviolenza.

Già quale centro antiviolenza? Il Consiglio d’Europa indica standard minimi come dispositivi di tutela, per es. raccomanda un Centro antiviolenza ogni 10.000 abitanti e un centro d’accoglienza ogni 50.000. Altro che kermesse e fiere delle vanità urbane-urbanistiche con fondi pubblici a perdere nella voragine dei favoritismi e degli sprechi.

I conti sono presto fatti nella nostra area reggina dove i servizi sociali, che operano come centri antiviolenza, sono per lo più centri cattolici che tutelano soprattutto la famiglia e non favoriscono l’autodeterminazione autonoma e laica della donna.

Uniformarsi agli standard europei è forse utopia nella situazione drammatica di crisi attuale, ma almeno che ci venga spiegato in un incontro come quello cui abbiamo assistito, perché un centro antiviolenza di ottima conduzione come quello di Cosenza, il Centro Roberta Lanzino, ha chiuso la casa rifugio e da due anni aspetta l’erogazione di fondi per sopravvivere, spettanti per legge (Legge Regionale 20 del 21 agosto 2007).

Si spingono le donne a denunciare, ma dopo? Quali le garanzie per le donne, di vivere una vita normale? Può darsi che l’uomo venga fatto allontanare dalla casa, ma dove va? si aggirerà nei dintorni continuando a minacciare? Può darsi che l’uomo venga messo in carcere. Ma quale vendetta tramerà e attuerà una volta uscito dal carcere? E la donna, liberata dal persecutore, se non è autonoma, con quali mezzi si sosterrà? La direttiva europea del 2004/80/CE del 29 aprile 2004 prevede che lo stato risarcisca le vittime di reato violento volontario quando i colpevoli non sono in grado di farlo, ma lo stato italiano è inadempiente.

In Gran Bretagna e in altri paesi europei le vittime vengono monitorate e seguite quando escono di casa, gli uomini vengono sottoposti a risocializzazione prima e dopo l’eventualità del carcere. E ogni decisione politica è frutto di un dibattito che coinvolge la società civile e interamente non confessionale, con il ruolo delle donne e delle Associazioni in grande considerazione.

Come UDI abbiamo promosso e già divulgato, ufficialmente il 25 novembre, una Convenzione No More! stipulata con numerose altre prestigiose Associazioni perché si disponga di una forte pressione da esercitare sulla cronica deresponsabilizzazione del governo. Perché possano essere riconosciute tutte le sfaccettature del problema e perché si prendano impegni precisi e concreti.

Vi abbiamo scritto che la centralità del contrasto alla violenza in ogni sua forma consiste:

  • nel cambiamento radicale di cultura e mentalità
  • nella rappresentanza appropriata delle donne e degli uomini in ogni ambito della società
  • nell’uso non sessista del linguaggio, anche nei media, al fine di promuovere un rapporto rispettoso e un livello di potere equo tra donne e uomini
  • nell’intervento delle istituzioni che non possono lasciare le cittadine e i cittadini sole/i davanti a un tale fenomeno, siano italiane o italiani, straniere o stranieri; le istituzioni sono tenute a prevenire, contrastare, proteggere con politiche attive coerenti, coordinate, l’intera popolazione, con il sostegno delle reti locali a partire dai centri antiviolenza.

Ci sarebbe piaciuto che questo fosse emerso in tutta evidenza ieri. E che fosse arrivata agli studenti presenti l’urgenza di un lavoro serio nelle scuole dove, per smontare la cultura del patriarcato, non basta la settimana scolastica autunnale dedicata alla violenza sulle donne, o la celebrazione di facciata del 25 novembre magari elettorale, ma servono programmi seri che contemplino la rivisitazione della storia, l’analisi semiologica della comunicazione, degli stereotipi mercificanti del corpo delle donne e di certo frasario sessista corrente, lo smantellamento dei modelli televisivi che ne supportano per audience i più bassi profili, e l’insegnamento fondamentale: il rispetto verso la persona e le differenze, come socializzazione integrale, naturale.

Così avremmo apprezzato l’incontro.

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Indennizzo dello Stato a vittime di reati gravi e intenzionali

Una nostra amica interlocutrice, che chiameremo Giovanna, ci scrive.

Salve, trovo il vostro articolo molto interessante e vorrei porvi un quesito. Se una persona subisce comportamenti di stalking, tentato sequestro e comportamenti da parte di una terza persona che per mancanza di prove non viene imputata, può la persona che subisce i danni psicologici e non solo chiedere un risarcimento allo Stato? Se si in che modo dovrebbe muoversi? Avendo come conseguenza l’annullamento di se stessa e gravi blocchi psicologici?

Grazie

Cara Giovanna, ci scuserai se non siamo state tempestive nel risponderti, ma abbiamo preferito rivolgere il tuo quesito direttamente allo Studio Ambrosio&Commodo di Torino, studio che aveva patrocinato la causa promossa da una ragazza per un grave episodio violento subito nel 2005.

***

Sintetizziamo il presupposto normativo e il precedente giudiziario che origina il quesito di Giovanna.

Il Tribunale di Torino, con sentenza emessa dalla giudice Roberta Dotta nel 2010 (n. 3145/10 del 6 maggio 2010), aveva riconosciuto l’inottemperanza dello Stato italiano alla direttiva europea che obbliga gli Stati membri a costituire un fondo per indennizzare la vittima di reato grave e intenzionale qualora non venga risarcita dal danneggiante, per mancanza di risorse economiche o per irreperibilità o altro.

Quindi condannava la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in primo grado, ad un indennizzo di 90.000 euro per le conseguenze morali e psicologiche subite da una ragazza rumena sequestrata, seviziata, stuprata da due connazionali prima irreperibili, poi arrestati e condannati, ma senza risorse per risarcire i danni.

Risultato che è uno sfondamento enorme nei confronti degli arcaici arroccamenti o perduranti noncuranze istituzionali, e che produce per un verso civiltà giuridica e per un altro giustizia sociale.

Per questo la sentenza può essere definita storica.

Nell’atto introduttivo gli avvocati Marco Bona e, dello Studio Ambrosio&Commodo, Stefano Bertone, Renato Ambrosio, Stefano Commodo avevano assunto che lo Stato Italiano non aveva ancora attuato la tutela risarcitoria che la legislazione comunitaria aveva imposto agli stati membri, con decorrenza dal 1° luglio 2005, a favore delle vittime di reati intenzionali violenti. Nonostante gli inviti e la procedura di infrazione avviata dalla Commissione Europea avanti la Corte di Giustizia CE nel gennaio del 2007, conclusasi con una sentenza di condanna dell’Italia (29.11.2007). []

Costituendosi in primo grado la Presidenza del Consiglio, con diverse eccezioni di nullità, aveva contestato la domanda dell’attrice. La sentenza di primo grado era stata quindi appellata, ma anche il secondo grado di giudizio, con motivazioni pubblicate a gennaio di quest’anno, confermava l’obbligo del risarcimento da parte dello Stato.

La Corte d’Appello di Torino afferma doversi ritenere che la condotta dello Stato inadempiente sia suscettibile di essere qualificata come antigiuridica nell’ordinamento comunitario …

La conclusione: … Spettava, e spetta, dunque ad una cittadina rumena residente in Italia, il risarcimento del danno patito per la violenza sessuale di cui è rimasta vittima, in conseguenza dell’inadempimento dello Stato italiano alla Direttiva comunitaria del 2004. []

La sentenza ritoccava in 50.000 euro l’ammontare dell’indennizzo, oltre spese ed onorari a carico dello Stato.

E’ in corso l’ultimo grado in Corte di Cassazione, che si auspica possa riconoscere definitivamente l’inadempimento dello Stato alla direttiva comunitaria e dunque il suo onere risarcitorio nei confronti delle vittime.

***

L’avvocata Sara Commodo dello Studio Ambrosio&Commodo, specializzato in questo settore ci invia alcune note operative.

La DIRETTIVA 2004/80/CE art. 12 comma 2 impone a tutti gli Stati membri dell’U. E. di garantire – entro il 1 luglio 2005 – l’esistenza di un sistema che garantisca un indennizzo equo ed adeguato alle vittime di reati violenti ed intenzionali commessi nei rispettivi territori, al fine di superare l’ostacolo, spesso riscontrato in capo alle vittime, di conseguire dai loro offensori il risarcimento integrale dei danni subiti e patendi in quanto questi non possiedono le risorse per ottemperare ad una condanna al risarcimento dei danni oppure non possa essere identificato o perseguito.

L’obiettivo perseguito dalla Direttiva è quello di valorizzare la promessa di legalità e garantire la sicurezza di qualunque cittadino comunitario stazioni nel territorio nazionale di uno stato membro o lo attraversi, rimanendo vittima di reato intenzionale violento valorizzando la promessa di legalità.

Secondo la direttiva le CONDIZIONI PER L’INDENNIZZO sono:

a. reato violento ed intenzionale (tutte le fattispecie gravi che prevedano la ‘violenza’: dalla rapina all’omicidio volontario, alle lesioni volontarie, alle violenze sessuali…)

b. vittima sia cittadino comunitario

c. reato commesso in ambito comunitario dopo il 2005

LA DIRETTIVA 2004/80/CE NON E’ STATA OSSERVATA.

Lo Stato Italiano si è limitato a promulgare il decreto legislativo 204/2007 che riconosce l’accesso alla tutela risarcitoria solo nelle ipotesi di reati per cui siano già previste in Italia forme di indennizzo (terrorismo, Ustica, usura, Uno bianca, criminalità organizzata, reati di tipo mafioso).

La direttiva invece interessa tutti i reati intenzionali violenti.

Lo spirare del termine senza che si sia provveduto al recepimento della direttiva comporta l’inadempienza dello Stato Italiano.

LA CORTE DI GIUSTIZIA CE CON SENTENZA 29.11.2007 HA RISCONTRATO L’INADEMPIMENTO

All’inadempimento consegue il diritto degli interessati a domandare il risarcimento dei danni nei confronti dello Stato inadempiente.

A fronte di tale inadempimento il nostro Studio ha promosso, nell’interesse delle vittime da reato violento, cause contro lo Stato Italiano per ottenere il risarcimento dei danni da loro subiti.

La lettrice riferisce d’esser stata vittima di reati violenti in Italia e, se cittadina comunitaria, avrebbe titolo per agire nei confronti dello Stato.

Il fatto, però, che, all’interno del procedimento penale, l’imputato sia stato assolto per mancanza di prove rappresenta un pregiudizio che senz’altro renderebbe difficoltoso il procedimento civile nei confronti della Presidenza.

In quella sede, infatti, la lettrice sarà comunque chiamata a dar prova (testimonialmente o documentalmente) dei fatti, del danno subito e del nesso di causa tra i fatti ed i danni. Difettando di tali prove non sussisterebbero gli estremi per poter ottenere il risarcimento.

Temo, pertanto, nel caso di specie che, salvo che la lettrice non sappia acquisire prove ulteriori rispetto a quelle (evidentemente insufficienti) offerte nel procedimento penale, ella non potrà aver accesso al giudizio avverso lo Stato.

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NO MORE! Stand up for my right Convenzione Nazionale contro la violenza maschile sulle donne –femminicidio

Testo Convenzione

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Appello

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Promotrici della Convenzione:

UDI Nazionale (Unione donne in Italia), Casa Internazionale delle Donne, GiULiA (Giornaliste unite, autonome, libere), Associazione Nazionale Volontarie del Telefono Rosa onlus, D.i.Re (Donne in Rete contro la violenza), Piattaforma CEDAW “30 anni lavori in corsa CEDAW”: Fondazione Pangea onlus, Giuristi Democratici, Be Free, Differenza Donna, Le Nove, Arcs-Arci, ActionAid, Fratelli dell’Uomo.

Chi sono: 

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per info e adesioni: convenzioneantiviolenza@gmail.com

 

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Appello NO MORE! Stand up for my right Convenzione Nazionale contro la violenza maschile sulle donne – femminicidio

 Appello Appello  No-more_Appello

Per info e adesioni: convenzioneantiviolenza@gmail.com http://convenzioneantiviolenzanomore.blogspot.it/

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Il mare di Mae

Vi ho tanto amato

Ho conosciuto il mare quando è morto il bufalo. Mio padre era morto alcuni anni prima. Il bufalo era la nostra unica risorsa, soprattutto nei lavori dei campi. Cominciava a mancare tutto e conobbi la miseria più nera.

Poi un giorno mia madre mi disse che delle brave persone avevano trovato un lavoro per me in un posto molto bello, vicino al mare. Dovevo aiutare la mia famiglia. Quella gente come anticipo aveva pagato i nostri debiti.

Salutai mia madre e i miei fratellini e andai via dal mio villaggio. Con il cuore in gola e un gran magone arrivai in una città chiamata Pattaya. E conobbi il mare.

Era una cosa immensa, scintillante, bellissima. Una infinita risata sotto il cielo, che carezzò le mie paure e la mia tristezza. Per un attimo. Avevo 13 anni, solo 13 piccolissimi anni.

Poi si fece buio e conobbi il mondo degli uomini.

E’ Mae che racconta, una ragazza prostituta thailandese, morente, forse già morta di Aids. Alla fine della sua giovane vita, distrutta da una ferocia che è crudelmente onnipotente e onnipresente, non ha altra alternativa che parlare della verità trovata nel profondo della sua esperienza, quando si stanno per spegnere le luci e la favola per lei rappresentata non ha più senso.

Non occorre leggere saggi, articoli, trattati per capire cosa ferisce profondamente nell’anima le donne di qualsiasi latitudine. E chi ferisce e come. Lo dice Mae, con infinita tristezza e dolcezza. E lo dicono gli stessi uomini che Mae ha forse incontrato. Uomini, come usciti dalla matita di Grosz, che parlano di sé in modo appagato, gettata la maschera delle convenzioni e della rispettabilità sociale. Ma da una nuova maschera tragicomica in realtà effettuano una involontaria quanto paradossale vivisezione su se stessi e su tutta quella parte che Mae chiama il mondo degli uomini.

Si capisce in un attimo dove origina la violenza millenaria sulle donne, cosa sono maschilismo, patriarcato, stereotipi, sessismo; e l’ossessione per il possesso del corpo delle donne, l’abuso sul corpo delle bambine e dei bambini, comprare sesso come pere mele banane… comprare verginità come ebbrezza del primo possesso esclusivo, non di seconda mano… avere al proprio servizio e accudimento l’odalisca delle mille e una notte… comprare una piccola vita, farne qualsiasi cosa per gli snap-moovies e poi farla sparire.

800.000 bambine e bambini spariscono ogni anno in quest’area asiatica tra industria pedo-porno, espianto d’organi e altro, oltre l’immaginabile.

Il saccheggio di vite e sentimenti è in progressione geometrica con altri saccheggi: acqua, risorse, territorio, diritti, democrazia, spazi vitali… Aver pagato per saccheggiare è concepito come diritto acquisito per poterlo fare. Mafie, dittature e poteri forti invece saccheggiano gratis rispetto all’enorme ricavo. Diverse le gravità, ma uguali o strettamente imparentate le logiche di dominio, sopraffazione, furto  o negazione di diritti. Il modello di accumulo/sviluppo esponenziale, la povertà di vissuto e di sentimenti nella persona, l’assenza di troppi altri fattori non appresi e soprattutto non trasmessi immiseriscono quel vocabolario di base individuale-collettivo per percepire e decifrare pulsioni e comportamenti. Ma non tanto da non avvertire almeno un piccolo fremito nel proprio segreto.

…  E la vostra non è ignoranza – riflette Mae – … io sono tutte le donne…

Ci assalgono dolore indignazione rabbia impotenza, non per moralismo, ma per il beffardo ostentato cinismo, il capillare sfruttamento  piramidale e di massa di una tragedia sociale. Con grandissime complicità molto in alto. Affari contro diritti umani.

Dopo aver visto e ascoltato questo documentario non si ha voglia di parlare, di uscire, cenare… Tante si scioglieranno in lacrime. Eppure la forza vitale che è in noi deve avere il sopravvento e scuoterci. Fare, fare qualcosa da subito, ma insieme in rete, in associazione, a scuola… perché questa planetaria mentalità strutturale maschile (ma ci sono uomini fuori branco, ovvio), che produce ferocia nel privato come nella società, possa cambiare. Ma loro non cambiano, direbbe Rosaria.

***

Vi ho tanto amato/C’era una volta – Documentario nel programma C’era una volta di Silvestro Montanaro in collaborazione con Elena Maria Arosio. Rai 3. Andato già in onda nel dicembre del 2010 e riproposto qualche giorno fa. Dura quasi un’ora ed è duro da vedere e sentire. Con qualche piccolo appunto, ma poco influente rispetto alla documentazione prodotta. Per chi non avesse silverlight installato per vedere Rai su pc, o tempo o disposizione a seguirlo, gli estratti riportati più sotto sono già una mini-enciclopedia di genere che dice molto, i primi 20 tragici autoscatti. Ma i più rivoltanti sono oltre.

***

Uomo 1: Ooooh! se vai dietro l’angolo è come un supermarket! Tante ragazze sexy!

Uomo 2: Sono sexy e non costa niente portarle in hotel!

Uomo3:  Cosa faccio nella vita? Lavoro per scopare…

Uomo4: Ad ogni costo, goditi la vita fin quando puoi!

Uomo 5: Allora ti senti un dio e senza dover sapere nemmeno come si chiamano … Su gallinella, non ti vergognare..!

Uomo 4: Basta avere dei soldi! … Certo, le compro! Come le pere, le mele, le banane, e anche la tua telecamera, se voglio… Arrivederci!

Uomo 6: Raccontano tutte le stesse storie… che lo fanno per soldi… comprare un bufalo… questo qua è malato, quell’altro è morto… l’ospedale…

Una donna: Qui ragazzine ce ne sono tante e tutte povere. Gli stranieri vengono e dicono che vogliono comprare queste ragazze… queste nostre ragazzine. Quando capita con me mi arrabbio, gli dico un sacco di parolacce, e li caccio via!

Una mamma: Mia figlia non gliela darei mai, ma capisco quelle mamme che invece le vendono. C’è tanata povertà e tutti devono aiutare la propria famiglia e fare la propria parte. Per molte famiglie, qui, voi stranieri siete una benedizione.

Un volontario di un’organizzazione umanitaria: Succede spesso che la ragazza, la cui verginità è stata venduta, viene mandata da un dottore che le ricuce l’imene, e subito dopo viene rivenduta come vergine… anche 1000 dollari. Qui se una ragazza non è vergine ha un prezzo bassissimo…

Uomo 8: Guardi quante belle ragazze! E io sono il loro re!

Uomo 9 : [Cosa hanno queste ragazze di diverso dalle ragazze dei nostri paesi?] Tanto! Ridono, sorridono sempre. Le nostre donne non sorridono mai. E una donna che non sorride per me non è una donna! (sghignazzo)

Uomo 10: Sorridono sempre! che si può volere di più… e costano poco!

Uomo 11: Le ragazze di qui sono eccezionali. Sanno cucinare bene, fanno tutto ciò che vuoi, sono eccezionali… Perché con loro c’è la libertà. Quella totale. Si può fare l’amore tutte le volte che ti va. Lo fanno bene. Le europee non fanno più l’amore, sono fredde!

Uomo 12: Qui con loro ti senti veramente giovane. Ringiovanisci. Nei nostri paesi invece ti senti un povero vecchio. Anche se hai soldi ti senti un povero vecchio… qui invece è bellissimo, stai da dio. Qui se ho 60 anni posso stare con ragazze meravigliose di 20 o 21 anni. Questa è la differenza. Le sembra niente? [Le comprate?] No, non vengono con noi solo per i soldi, lo fanno per amore!

Uomo 13: [Per amore?] Certo!

Uomo 14: Sono appassionate, sempre affascinanti, sempre servizievoli.

Uomo 15: Le nostre donne sono sempre e solo interessate a loro stesse, e questo fa la differenza. Qui invece sono sempre disponibili, sempre preoccupate del loro uomo. Dicono sempre come vuoi tu. Le nostre invece dicono sempre come voglio io, perché innanzitutto ci sono loro. Sono insopportabili!

Uomo 16: … Non puzzano, non sudano!

[Pattaya era un villaggio di pescatori, poi la guerra del Vietnam, navi americane, i marins in licenza premio…]

Uomo 17: Tutto quello che vede all’orizzonte prima non c’era. Qui non c’era niente, assolutamente niente. E’ stato costruito negli ultimi anni. E sa chi lo ha costruito? Le ragazze, queste ragazze! E sa una cosa? Siamo in televisione e non posso dire come lo hanno fatto… [Vendendosi? Prostituendosi?] Sì, certo. Così! Così!

Controvoce di Mae: Non siamo state noi. I vostri appettiti hanno costruito questo mostro che cresce nutrendosi delle nostre vite e si specializza nel soddisfare ogni vostro desiderio. Voi chiamate questo posto paradiso, città dell’amore. Questa invece è la città delle iene e degli sciacalli. La vostra città. Voi siete come le iene pronte ad aggredire l’animale ferito, quello più indifeso. Qui sbranate povere schiave, vittime di fame, guerre e dittature. Povere creature destinate a morire di vergogna e di malattie. Come me, che muoio di Aids.

[In Thailandia più di un milione i contagi di Aids, gran parte nel mondo della prostituzione.]

Uomo 18: Ma smettiamola! Vengo qui da 10 anni e non ho mai saputo di una sola ragazza che sia morta di Aids. Qui muoiono per incidenti coi loro motorini. Chiaro? Sono stato con più di mille di queste ragazze e non ho mai trovato una che avesse l’Aids!

Uomo 19: Le donne lo fanno per i soldi, eh, non è che c’è il macrò qua!

Uomo 20: Non sono costrette a fare ciò che fanno. Qui non ci sono protettori, non c’è nessuna mafia che le obbliga ad andare con gli stranieri, se no le ammazza. E se realmente volessero, potrebbero tornarsene al loro villaggio in qualsiasi momento a vivere una vita normale. [Ne è proprio sicuro?] Al cento per cento, al cento per cento!

Controvoce di Mae: Non è così, e la vostra non è ignoranza. Solo un infame può pensare che una donna possa decidere volontariamente di essere un niente piegato ai desideri del vostro ventre. Basterebbe chiedere e ascoltare la voce e la storia delle mie povere sorelle in arrivo ormai da ogni angolo del mondo pur di rendere attraente questo vostro parco giochi delle mille bambole di ogni razza e colore. Infinite lacrime che non volete ascoltare…


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Perdere la nipotina

Un commento arrivato al post ‘Cara Luisa’.

Sono una nonna che ha perso una nipotina a causa della PAS. Voi signorine femministe dovreste vergognarvi a boicottare l’affido condiviso e la protezione dei bambini da questo orribile abuso.

Mia madre mi insegnò: chi regge il sacco è ladro quanto chi ruba.

E allora chi nega gli abusi sull’infanzia è colpevole quanto chi li compie.

Anna Rosa

***

Rispondiamo.

Gentile signora Anna Rosa, ci sforziamo di capire. Intanto se un dispiacere l’ha colpita, dispiace sinceramente anche a noi.

L’appellativo femministe (signorine pure, ma anche vivaci ottantenni) sembra che lei lo usi come per dire donne poco di buono, cattive, velenose, arrabbiate e violente, con gli occhi iniettati di sangue, un serpente per ogni capello. Niente di tutto questo.

Ogni donna che fa rispettare i suoi diritti, che non si fa calpestare, che non si fa trattare da essere inferiore in un certo senso è femminista. Cioè difende se stessa ma nello stesso tempo difende anche la parte cui appartiene come sesso, che subisce la stessa condizione. Questa necessità nasce dalla consapevolezza di avere tutte e tutti gli stessi diritti e doveri, una pari dignità tra donna e uomo. Se gli schiavi non avessero preso consapevolezza e non si fossero rivoltati avremmo ancora gli schiavi. Una persona o una collettività che subisce una condizione effettiva di oppressione ha il diritto di liberarsene. Per quanto riguarda le donne c’è un archetipo che dice comanda l’uomo. E’ giusto invece che né l’uno né l’altra pretendano di comandare, ma semplicemente si sforzino di dialogare e condividere, imparando a gestire i conflitti civilmente, anche se dolorosi, senza farsi giustizia da sé. Sa sicuramente che le donne cadono come mosche, una ogni paio di giorni per mano di mariti, conviventi, amanti, fidanzati, fratelli e anche padri. Senza parlare di quelle picchiate, maltrattate, umiliate. Non risulta il contrario, cioè che donne uccidano ogni due tre giorni uomini. Tragga, gentile signora, le conseguenze. D’accordo, non tutti gli uomini sono così.

Quanto all’affido condiviso e corresponsabile nessuna si sogna certo di boicottarlo. Il buon senso e la dottrina giuridica però ci dice che l’affido non può essere dato in condivisione quando vi siano stati tratti di manifesta violenza esercitata da una delle parti genitoriali. Anche sessuale, quindi pedofilia incestuosa. Il principio della condivisione non può e non deve essere quindi assoluto, ma subordinato alla condizione di fatto riscontrabile. Se vuole può dare un’occhiata qui.

E quanto alla Sindrome di alienazione genitoriale o PAS, se ripercorre all’indietro la sua storia si renderà conto che nasce principalmente come sostegno e consulenza legale e in effetti proprio al genitore di fatto alienante e abusante, consentendogli di assumere il ruolo di vittima / parte lesa e consentendogli anche, ricevuto l’affido condiviso o esclusivo, di continuare nel suo ruolo di abusante. Così, se la bambina o il bambino mostra disagio col padre, la responsabilità è attribuita alla madre che ha manipolato e plagiato tanto da far ammalare la bambina o il bambino stesso, ed ecco la sindrome, un disturbo psichiatrico addirittura conferito in via ipotetica o per deduzione meccanica su un quadro descrittivo di parte. La teoria viene divulgata a proprie spese dal suo inventore (che si offre anche di insegnarla gratis, 400 i casi di consulenze di parte affidatigli) con una sua casa editrice creata appositamente per scavalcare la peer review, cioè lo scambio di discussioni e critiche con la comunità scientifica. Chi la formula, è molto tenero con molestatori e pedofili creando una sorta di teoria ad personam, rovescia i termini e colpevolizza in ultima analisi fondamentalmente la donna. Per esempio se un marito abusa della figlia, è colpa della moglie che non soddisfa il marito, e non solo, viene raccomandato inoltre di avere tanta comprensione col genitore pedofilo perché la pedofilia, dice l’inventore, è praticata da miliardi di persone (accepted practice among literally billions of people). Chi la formula, il dottor Richard Gardner, muore suicida ferendosi più volte e poi piantandosi un grosso coltello nel cuore. L’autopsia rivelerà un quadro tossicologico (anche qui) da sostanze psicotrope.

UDIrc

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Cara Luisa

Cara Luisa,

noi donne dell’UDI ti siamo profondamente vicine e siamo indignate per le minacce che tu e il Manifesto state subendo per il solo fatto di fare informazione corretta e attenta al mondo delle donne.

Esiste evidentemente chi non sopporta che si sia sollevato un velo di ipocrisia e di omertà sul potere e sulle aspettative di alcuni uomini e pensa che una libera informazione sia intollerabile, così come non sopporta un libero confronto parlamentare.

Siamo orgogliose del tuo lavoro che tanto ha significato per tutte noi in questi mesi e siamo orgogliose dell’attenzione e della forza con cui GIULIA prende posizione sul tema. Nonostante gli attacchi questo ci rende più forti tutte e saremo ancora più vigili su PAS e tutte le forme di violenza di genere.

Per questo contiamo su di te e il tuo giornale perché teniate duro.

Con grande solidarietà e affetto da tutte noi.

Vittoria Tola

Carissime/i,

vi mando il comunicato di Giulia (rete nazionale giornaliste autonome) in mio sostegno per le minacce e denigrazioni che sto subendo sul web a causa dell’informazione che faccio in difesa delle donne e dei minori, contro la violenza di genere, sulla Pas e sull’affido condiviso. Il mio blog Antiviolenza sul Manifesto è stato invaso da commenti violenti e diffamatori, tanto che ho dovuto momentaneamente sospenderlo per la seconda volta, mentre su altri siti (quelli della lobby pro-Pas) si usano formule diffamatorie per disconoscere il lavoro di informazione mettendo anche la mia foto come fosse un wanted da ricercati. Non solo, perché lo stesso Manifesto ha ricevuto lettere e minacce di querela che mi hanno messo non poco in difficoltà con il giornale che, come sapete, non naviga in buone acque, ma che mi ha sempre permesso di articolare con grande libertà i temi di cui mi occupo, compresa appunto la Pas e i ddl in discussione al senato sull’affido condiviso.

Questa presa di posizione pubblica di GIULIA e delle giornaliste italiane è importante perché è come aver avuto un “timbro di garanzia” sul lavoro che ho svolto e svolgo, ed è fondamentale che sia divulgato il più possibile: ve lo chiedo dal profondo del cuore perché non sto passando un bel momento a causa di questa continua pressione di gruppi che stanno facendo cyber stalking in maniera costante e aggressiva con una intimidazione che ha lo scopo di ridurre in silenzio l’informazione sulla Pas e sull’affido condiviso, disconoscendo anche le gravi forme di violenza sulle donne e incitando a quella violenza stessa.

Grazie

Vi ringrazio per quello che fate

e vi abbraccio forte

Luisa

ecco il comunicato di Giulia:
UDI – Unione Donne in Italia
Sede nazionale Archivio centrale
Via dell’Arco di Parma 15 – 00186 Roma
Tel 06 6865884 Fax 06 68807103
udinazionale@gmail.com
www.udinazionale.org

***

“E’ un aspetto, questo, dello strano mestiere di cronista che non cessa di affascinarmi e al tempo stesso di inquietarmi: i fatti non registrati non esistono. Quanti massacri, quanti terremoti avvengono nel mondo, quante navi affondano, quanti vulcani esplodono e quanta gente viene perseguitata, torturata e uccisa! Eppure se non c’è qualcuno che raccoglie una testimonianza, che ne scrive, qualcuno che fa una foto, che ne lascia traccia in un libro è come se questi fatti non fossero mai avvenuti! Sofferenze senza conseguenze, senza storia. Perché la storia esiste solo se qualcuno la racconta. E’ una triste constatazione; ma è così ed è forse proprio questa idea – l’idea che con ogni piccola descrizione di una cosa vista si può lasciare un seme nel terreno della memoria – a legarmi alla mia professione” (Tiziano Terzani su Caffènews).

Dunque ogni cosa è come se non esistesse se non viene raccontata, comunicata, interpretata. Le donne lo stanno facendo, in massa, partendo da se stesse e dai loro problemi. Fa paura.

Additare al disprezzo, infangare, perseguitare e minacciare fisicamente chi solo racconta e informa sui diritti negati è la risposta di quella parte maschile che non vuole vedere, che si rifiuta di capire, che non vuole abbandonare privilegi e comando. E’ un comportamento violento che istiga alla violenza e raccoglie perfino consensi con la tecnica dei siti e degli account fake, clonati o sotto l’etichetta contro la violenza sulle donne.

Luisa Betti recentemente, e Loredana Lipperini e Lorella Zanardo  e Femminismo a sud … e tante altre per aver solo parlato di PAS, ddl 957, di violenza che subiscono le donne fino ad essere uccise – una ogni due tre giorni – o di altro che non piaccia e che riguardi le donne, sono state insultate e minacciate.

Perché questa voglia irrefrenabile di infliggere costrizione, di distruggere o almeno ridurre in libertà vigilata ogni pensiero libero e generoso… perché questa voglia di rifiutare verità documentate, minacciare, nascondere problemi, dire che non esistono piuttosto che discuterli …  O stravolgerli, mistificarli, o al contrario inventarli, lontano dalla realtà. E poi soprattutto contro donne. Ai  perché che le riguarda danno risposte la loro storia passata e recente e le statistiche di violenza subita.

Restare unite in solidarietà, ingrossare le fila e costruire reti è la nostra risposta, in difesa dei nostri diritti.

Ma le pressioni contro un giornalismo libero e le minacce a giornaliste e giornalisti che si occupano di temi non graditi o da tacere, è un fenomeno più ampio di quanto non si sospetti, esteso in tutta Italia e non solo. Un triste costume.

Tentativi di leggi bavaglio, per l’editoria cartacea/elettronica (più difficile da controllare, ma siti, blog, account-fb sospesi dove bastano solo le segnalazioni sono all’ordine del giorno); ora divieto di riprendere e fotografare durante le sedute pubbliche in Comune (a Frascati, altri Comuni si appresterebbero ad adottare le stesse disposizioni con la scusa della privacy); dirottamenti di pubblicità, ritorsioni, vendette, querele a perdere, pallottole in busta …

Concita De Gregorio racconta quante notifiche ricevesse all’epoca della sua direzione dell’Unità (in media due notifiche al giorno, cosa mai successa né prima né dopo la sua direzione, dunque in quanto donna) e come trovò scritto sul muro davanti casa sappiamo dove dorme tuo figlio, a un dibattito su “giornalisti minacciati, giornalisti sotto processo”, organizzato a Ferrara.

Ossigeno per l’informazione è un osservatorio permanente proprio sulle giornaliste e sui giornalisti che subiscono minacce e che dispone di una lista di casi a partire dal 2007 e aggiornata a luglio, ma sicuramente incompleta. Redige inoltre rapporti annuali, non guidati da un’ottica di genere,  ma dove le giornaliste sono ben presenti.

Nils Muiznieks commissario del Consiglio d’Europa per i diritti, proprio a giugno, ha lamentato il fenomeno delle minacce ed esorta i governi  a proteggere chi subisce minacce e a punire chi le esercita.

“Anche se non adotta i tradizionali metodi di censura basati sul controllo preventivo dei contenuti, un governo può essere accusato di censura se non fa abbastanza per combattere e punire gli episodi di violenza contro i giornalisti, perché l’impunità incoraggia l’emulazione dei violenti”.

“La libertà di espressione e di stampa è vitale per la democrazia perché ne condiziona altre, come la libertà di riunione e di associazione. L’impunità, poi, incoraggia il ripetersi della violenza. Ecco perché è urgente che i governi europei e l’intera classe politica condannino con fermezza tali aggressioni. Debbono fare in modo che le inchieste siano trasparenti e conducano rapidamente alla punizione dei responsabili. Inoltre, le autorità dovrebbero sollecitare una collaborazione tra la polizia e gli organi di informazione e considerare le aggressioni a giornalisti non solo come un atto di violenza, ma come un vero e proprio attentato alle libertà e ai diritti fondamentali dell’Uomo” (Ossigeno).

Il procuratore Piero Grasso per il suo settore cita il rapporto di Ossigeno e dichiara che il fenomeno, in espansione, non può non suscitare allarme.

Su CaffèNews tre storie di croniste minacciate e una mappa visiva dei dati di Ossigeno.

Ma le minacce alle donne che parlano di donne non rientrano in un generico malcostume, nascono da un contenitore comune universale che bisogna svuotare, seguono un legame di subordinazione millenaria che bisogna sciogliere.

Grazie Luisa. UDIrc

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Ti hanno violentata? Devi pentirti

Franca Fortunato ci segnala un suo articolo sulla rivista Casablanca n.25 di luglio-agosto che riassume la storia di Anna Maria Scarfò, con crudele paradosso rinata come donna nel coraggio e nella consapevolezza, ma tuttora ferocemente bersagliata.

E’ anche una storia di donne. Le donne di famiglia solidali con mariti fratelli figli padri stupratori, le donne che sostengono Anna Maria: sua madre Aurora, la sua avvocata Rosalba, e moltissime in tutta Italia.

Ha ancora bisogno di noi. 

vedi anche:

Appello per Anna Maria Scarfò

Per Anna Maria Scarfò

Per Anna Maria Scarfò lunedì 27/2

Processo per minacce ad Anna Maria Scarfò, 27/2/2012

Annamaria-Sospesa l’udienza la vita è domani

Ancora per Anna Maria Scarfò

 

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UDI Catania parte civile

Unione Donne in Italia. UDI Catania

Tre mesi fa a Enna Vanessa Scialfa, 20 anni, veniva assassinata e il suo corpo buttato in un burrone dal suo convivente. Questo femminicidio, l’ennesimo di una serie troppo lunga, ha colpito profondamente la comunità in cui Vanessa viveva e da subito si sono mobilitate le donne della città, dell’UDI e l’Amministrazione Comunale. E’ partita una riflessione comune: a partire dalle donne tutti devono fare i conti e contrastare la violenza di genere; l’Amministrazione comunale in questo caso ha voluto segnare la sua presenza, un suo specifico impegno per schierare le istituzioni a fianco della lotta delle donne, a sostegno di pratiche che concretamente contrastino la violenza.

L’UDI di Catania ha deciso di sperimentare, a partire da Enna, un laboratorio politico che individui modalità e azioni concrete da replicare nelle città macchiate di femminicidio.

La prima iniziativa è la giornata di Studio organizzata dall’Amministrazione comunale con il supporto dell’UDI e patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Enna:

Violenza sulle donne: il dramma invisibile

25 giugno, alle ore 16

Tribunale di Enna, Aula Falcone Borsellino

Sono state invitate le autorità locali, la Regione e l’Università. Avranno la parola le donne delle associazioni locali. L’obiettivo della giornata è quello di impostare il lavoro di medio/lungo periodo che da ottobre partirà sul territorio, rivolto soprattutto alle scuole e ai giovani, che privilegerà l’aspetto della formazione, della lotta contro gli stereotipi e i modelli comportamentali che non rispettano il valore della diversità di genere e della dignità delle donne, e della realizzazione di strutture e competenze al servizio delle vittime.

Il “dramma invisibile” della violenza sulle donne viene portato alla luce, esplode in tutta la sua drammaticità, mostra i volti delle ragazze, delle donne che subiscono le violenze: nessuna si deve sentire sola.

L’UDI di Catania annuncerà la sua costituzione di parte civile nel processo contro l’assassino di Vanessa.

Unione Donne in Italia. UDI Catania

Le Responsabili di sede

Giovanna Crivelli – Adriana Laudani

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Campagna nazionale contro l’obiezione di coscienza in Sanità

UDIrc aderisce alla Campagna nazionale Il buon medico non obietta

 (Udirc)

Riceviamo:

il 6 giugno la Consulta di Bioetica

in collaborazione con altre Associazioni e in particolare VITA DI DONNA lancerà la Campagna contro l’obiezione di coscienza IL BUON MEDICO NON OBIETTA. In contemporanea con il lancio della Campagna ci saranno eventi in molte città e a volte più eventi nella stessa città. Siamo in contatto con altre Associazioni per organizzare altri eventi ma vorremmo coinvolgere altre realtà impegnate in prima linea nella difesa dei diritti e delle libertà, in particolare quelle del sud.

Gabriella Pacini

347 770736

(VITA DI DONNA/CONSULTA DI BIOETICA)
___

EVENTI A SOSTEGNO DELLA CAMPAGNA

IL BUON MEDICO NON OBIETTA

___

ROMA

Sezione romana della CONSULTA DI BIOETICA, LAIGA, VITA DI
DONNA, NOI DONNE, Associazioni Casa internazionale delle
donne, Bioetica & Diritti, organizzano un evento alla Casa
delle donne (19.00): IN ALLESTIMENTO

___

Circolo UAAR di Roma, Consulta per la Laicità delle

istituzioni organizzano un incontro pubblico presso
la Festa di SEL (sera): IN ALLESTIMENTO
___

Fabrizio promuove un dibattito presso l’Università e
dovrebbe coinvolgere la CGIL medici e il collettivo degli
studenti di medicina (pomeriggio/11 GIUGNO): IN ALLESTIMENTO
___

I giovani dell’IDV: aderiscono a uno degli eventi di cui

sopra o organizzano un altro evento: IN ATTESA DI CONFERMA
___

FIRENZE

Convegno sull’obiezione di Coscienza organizzato dalla
sezione di Firenze della CONSULTA DI BIOETICA (mattina):
EVENTO CHIUSO; IN ALLESTIMENTO INVIO LOCANDINA
___

LIBERA USCITA (menegrelli@dada.it), LAICITA’ E DIRITTI
(LATRUDY@GMAIL.COM) E LIBERE TUTTE organizzano evento
(pomeriggio): IN ALLESTIMENTO
___

MILANO

La LUCA COSCIONI (FILOMENAGALLO@GMAIL.COM) organizzano un
incontro: IN ATTESA DI CONFERMA
___
CONSULTA DI BIOETICA di Milano (NORMATREZZI@LIBERO.IT),
POLITEIA E ALTRE ASSOCIAZIONI organizzano un incontro: IN
ALLESTIMENTO
___
TORINO

Le ASSOCIAZIONI CASA INTERNAZIONALE DELLE DONNE
organizzano un evento (in luogo da definire):
probabilmente un dibattito pubblico (tardo
pomeriggio/serata): IN ALLESTIMENTO
___

Circolo dell’UAAR (muecke86@yahoo.it,
uaartorino.coord@yahoo.it) organizzaNO un evento, anche
in questo caso probabilmente un dibattito a sostegno della
Campagna (da definire): IN ALLESTIMENTO
___
L’ASSOCIAZIONE LAICA DI ETICA SANITARIA organizza un
dibattito (luogo da definire, forse alle Molinette): IN
ALLESTIMENTO
___

CONSULTA DI BIOETICA (Mariateresa.busca@fastwebnet.it)
organizza un dibattito pubblico con ARCI OFFICINE CORSARE
(in serata) presso le Officine Corsare
(darius.consoli@gmail.com) : IN ALLESTIMENTO
___

La CONSULTA DI BIOETICA è invitata a presentare Campagna
presso evento organizzato dall’Associazione Altereva
___

MEDICI CUNEO (pietro.laciura@libero.it): VERIFICA
CONDIZIONI PER ORGANIZZARE EVENTO
___

ALBA: Consulta di bioetica, Se non ora quando, Coop la
torre organizzano evento
___

MEDICI SALUZZO: VERIFICA CONDIZIONI PER ORGANIZZARE EVENTO
___

L’ASSOCIAZIONE DI AVIGLIANA organizza un dibattito presso
la Certosa di Avigliana (pomeriggio): EVENTO CHIUSO
___

NAPOLI

DISPONIBILITA’ DELL’ASSESSORA ALLE PARI OPPORTUNITA’ ALLA
STAMPA E ALL’AFFISSIONE DEI MANIFESTI DELLA CAMPAGNA
(peterdibi@libero.it ): STAMPA E AFFISSIONE IN PROGRAMMA,
CONFERENZA STAMPA IN ALLESTIMENTO
___
Contatti con il Circolo UAAR di Napoli (NAPOLI@UAAR.IT)
per la preparazione di un evento: forse la sezione di
Napoli della CONSULTA potrebbe aderire all’evento
dell’UAAR: IN ATTESA DI CONFERMA
___

UMBRIA
In contatto con i medici non obiettori della LAIGA che
forse riescono a organizzare qualcosa a Terni o Perugia:
IN ATTESA DI CONFERMA
___

NOVI LIGURE
La sezione della CONSULTA DI BIOETICA
(concettaeannina@libero.it) organizza un banchetto nel
centro della città per presentare la Campagna (9 giugno):
EVENTO CHIUSO
___

PISA
CONSULTA DI BIOETICA, UAAR
(GIOVANNI.MANIETTO@FASTWEBNET.IT), AIED organizzano evento
presso la Casa delle donne: IN ALLESTIMENTO
___

VERONA
Circolo dell’UAAR: ci dovrebbe essere un banchetto: IN
ALLESTIMENTO
___

SULMONA/L’aQUILA
CONSULTA DI BIOETICA DI SULMONA/L’AQUILA CON UAAR
organizzano evento: IN ALLESTIMENTO
___

SICILIA
CONTATTI PER POSSIBILE EVENTO: IN ATTESA DI CONFERMA
___

PUGLIA
LAIGA E CONSULTA DI BIOETICA POTREBBERO ORGANIZZARE
EVENTO: IN ATTESA DI CONFERMA
___

SARDEGNA
CONSULTA DI BIOETICA E UAAR (CAGLIARI@UAAR.IT) organizzano
evento: IN ALLESTIMENTO
___

RICHIESTE AFFISSIONI MANIFESTO “IL BUON MEDICO NON OBIETTA”
AFFISSIONE AUTORIZZATA A TORINO PRESSO L’ASL2 DI TORINO
RICHIESTA AFFISSIONE IN CORSO A ROMA

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Femminicidi e femminicidi

 

Enza Maria qualche giorno fa a Paternò ha perso la vita davanti alla sua abitazione. Il suo ex convivente le spara dopo una lite. Per motivi di gelosia è la stereotipa nota di cronaca che ancora in prevalenza adottano piccoli e grandi giornali.

“cara Giovanna, ti accorgerai dalle foto, non c’era niente, né un fiore, né una scritta, uno squallore e un’indifferenza che mi ha toccato l’anima, la gente affacciata ai balconi che ci guardava dietro le tendine….. non si può restare così indifferenti dinanzi all’ennesima morte di una donna! comunque, poi è venuto anche un giornalista che ha fatto le sue foto e abbiamo spiegato per l’ennesima volta che non si può morire di femminicidio…”.

Da Udi Catania ci arriva questo mini reportage desolante. Donne dell’Udi hanno portato qualche fiore davanti alla porta di casa dove Enza Maria Aicino è stata uccisa, a Paternò in via Gela.

E un foglio: stop femminicidio.

***

La frequenza e la distribuzione statistica dell’uccisione sistematica che colpisce le donne, gli autori in massima parte familiari: mariti, fidanzati, conviventi, fratelli, padri, o sconosciuti, i luoghi e altre situazioni al contorno ci dicono che è un atto insieme punitivo e di affermazione estrema di possesso, o di odio  verso la persona in quanto donna.

I termini assassinio, uccisione, crimine … omicidio non rendono la connotazione sociologica e legata al genere, per questo si è sentita la necessità di un nuovo termine che avesse degli impliciti correlati: femminicidio. Un termine che nella versione inglese femicide risale al 1800, ma che nasce nell’ambito della sociologia  ispanoamericana per spiegare le eliminazioni di donne, specialmente a Ciudad Juàrez. Diana Russel, criminologa statunitense, dice di averlo sentito nel 1974 e di averlo adottato pubblicamente nel ’76, lavorando alla sua definizione.

In Italia UDI Napoli afferma: Ne abbiamo pronunciato il nome la prima volta per salvare Safija Hussaini, con la petizione a Rosa Russo Jervolino, per conferirle la cittadinanza (era il 2002, Safija era stata condannata alla lapidazione). Barbara Spinelli d’altra parte riferisce di aver sentito il termine, che già alcune associazioni di donne iniziavano a usare (UDI, Donne in nero, Casa delle donne per non subire violenza di Bologna), la prima volta nel 2006.

E ben venga. Non tanto del termine quanto della storia e delle connotazioni che femminicidio si porta dietro occorre ampia divulgazione.

***

Non abbiamo il tempo di elaborare un lutto anche se non diretto, fisico, familiare, che subito ci assale un altro.

Melissa Bassi, sedici anni, era appena scesa dal bus per entrare in classe, a scuola.

Bombole di gas in un cassonetto, un timer. Un’esplosione.

Melissa non c’è più. Dilaniata dall’esplosione. Altre ragazze ferite, una grave.

Davanti a una scuola. Un istituto professionale per i servizi sociali e moda, Fancesca Laura Morvillo Falcone, di Brindisi.

Simbologie e metafore ancora di dolore e rabbia, logore. Non sappiamo ancora nulla. Ma sappiamo che quella scuola è frequentata tutta da ragazze.

Sull’asfalto libri, diari, zainetti, scarpe.

  (foto Repubblica)

il simbolo UDI contro il femminicidio adottato fin dal 2001/2

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Annamaria-Sospesa l’udienza la vita è domani

 

 

Reggio Calabria, 28 febbraio 2012

La prima udienza del processo per stalking e persecuzioni, intentato sulla base delle denunce presentate da Anna Maria Scarfò, doveva essere la prima pagina di una storia tutta diversa: per la vittima, di una serie di crimini efferati, e per il paese che si riconosce nella legalità e nella ragione.

Così non è stato: la difesa degli imputati ha chiesto la sospensione dell’udienza. Il giudice ha accolto l’istanza ed ha rimandato la decisione alla Corte di Cassazione.

Le motivazioni della sospensione assomigliano ad un’autoaccusa della Giustizia Italiana: “il clamore mediatico sollevato intorno al caso, può influenzare la corte” . Quelle motivazioni evocano anche un’accusa alla comunità: “il processo va spostato perché il contesto della sezione del tribunale anche esso è fonte di pregiudizio”.

I Giudici e le comunità del nostro paese, davvero, negli ultimi anni sono stati oggetto di una vera e propria campagna di “conformazione”, ma hanno saputo sottrarsi. Dispiace per questo ascoltare che proprio dai Giudici vengano delle sospensioni su una presunzione d’incapacità d’essere al di sopra delle parti, per di più in qualche modo additando una parte della comunità locale per “essere difforme” dallo stereotipo che la vuole connivente con i presunti colpevoli.

I motivi tecnici avrebbero potuto andare a favore dell’una o dell’altra parte, perché la tecnica giuridica prevede sempre una ragione. Tecnicamente il giudice avrebbe potuto appellarsi ad altre sentenze e principi, forse più faticosi da ricercare, per non sospendere l’udienza. Non ultima la sentenza della Corte d’appello di Torino, che appunto ha previsto l’attualità contestuale del diritto al risarcimento delle vittime di reati sessuati. E il processo è la prima forma di risarcimento!

Il processo è sospeso, per il tribunale di Palmi, la vita, per Anna Maria, continuerà ad attendere.

È falso però affermare che per ora nessuno ha vinto: ha vinto una sottile suggestione: parlare fa male perché i Giudici si offendono e perché “il clamore mediatico fa sospendere il giudizio”. Quello che per anni è stato suggerito ad Annamaria, ora viene suggerito a coloro che hanno osato sostenerla: il silenzio è d’oro e la vita è quello straccio che i prepotenti sono disposti a lasciarti. Suggerimento respinto, a norma di giustizia.

Unione donne in Italia di Reggio Calabria, di Catania, di Napoli

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L’UDI, Unione Donne un Italia di Reggio Calabria, ringrazia quante, quanti hanno voluto manifestare la loro affettuosa vicinanza ad Anna Maria Scarfò per il nostro tramite. Ieri, come già detto, le abbiamo consegnato dei fogli, solo parole, che per lei sono sicuramente le parole da cui ricominciare a vivere.

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Processo per minacce ad Anna Maria Scarfò, 27/2/2012

   (© Anna Maria Basile-dal tribunale)

L’udienza comincia con un’ora di ritardo. Intanto scambi di saluti, strette di mano tra le uditrici, in maggioranza, venute da Reggio e dintorni, dalla Sicilia. Incroci di sguardi muti coi familiari degli imputati. Il fondo curvo come un’abside abbaglia per le molte finestre, alla scritta consueta La legge è uguale per tutti bisognerebbe aggiungere e per tutte. 

Finalmente il giudice apre l’udienza e dà la parola. Una avvocata a difesa esordisce chiedendo che il dibattimento venga svolto a porte chiuse, rileva come la montatura mediatica degli ultimi giorni possa negativamente influenzare il giudizio sereno cui hanno diritto gli assistiti. In una piccola aula, dice, sono inspiegabili così tante presenze, dunque è evidente una pressione organizzata.

Fa un certo effetto sentire una donna che per compito professionale debba difendere cocciutamente l’indifendibile, sostenere l’insostenibile contro un’altra donna.

Il pubblico ministero, donna, elenca i casi in cui sono previsti dibattimenti a porte chiuse, codice in mano, e a suo giudizio nessuno di quelli elencati dal codice può essere ravvisato, perché per fondamento una udienza è pubblica, in sostanza non può essere un espediente a difesa.

Il giudice risponde che le presenze fisiche, quando non si ravvisano altri elementi, non possono certo intimorire il giudicante. Dunque non vi sono le condizioni per proseguire a porte chiuse. L’avvocata a difesa rincalza e rafforza le sue istanze, e a sua volta il pubblico ministero ripropone la sua posizione.

Altro avvocato a difesa ripete la richiesta del prosieguo a porte chiuse, denuncia come giornali, telegiornali e media stanno montando il caso di questo dibattimento che non riguarda in senso tecnico la materia sessuale, ma solo le minacce che la parte offesa avrebbe subito, pur rientrando nella vicenda complessiva, e contesta l’assunto mediatico e le dichiarazioni della stessa vittima che un intero paese l’abbia abbandonata e minacciata. In ogni caso, sostiene, le associazioni non hanno titolo a presenziare o esercitare pressioni che di fatto sono in atto. Quindi chiede la remissione del processo ad altro giudice ed altra sede non reputando serena la sede e l’ambiente formatosi. Altra avvocata ribadisce la richiesta.

La parte civile rimarca come Anna Maria abbia sopportato il lungo processo dell’intera sua vicenda dolorosa da sola senza nessun sostegno, mentre ogni volta erano familiari e amici degli imputati a riempire l’aula. Ricorda che Anna Maria ha raccontato legittimamente in prima persona la sua storia, nel  libro Malanova scritto da Cristina Zagaria, da quasi due anni l’opinione pubblica saNelle parole calde e potenti dell’avvocata Rosalba Sciarrone si coglie non solo grande professionalità, ma sopreattutto grande affetto e una protezione quasi fisica, palpabile (Rosalba ha ospitato Anna Maria nei momenti più tragici).

L’uditorio è perfettamente silenzioso, tanti e tante stanno all’impiedi lungo i muri.

Altre battute a schermaglia nel pingpong tecnico, finché il giudice prende atto delle istanze di remissione del processo presentate dalla difesa per quattro dei sedici imputati (parecchi i contumaci). Per le gravi minacce e offese ricevute Anna Maria, dopo la scorta domiciliare, aveva accettato di essere trasferita con la sorellina in una località protetta .

Il giudice chiude l’udienza comunicando la trasmissione delle istanze alla Corte di Cassazione che invierà in seguito le notifiche di rito.

Appena arrivate, nello spazio antistante al tribunale ci siamo trovate di fronte Anna Maria. Un abbraccio. Le abbiamo passato dei fogli con raccolte le testimonianze di affetto e solidarietà pervenute sul nostro account e sul blog. Teneramente e con pudore ci ha sussurrato grazie. Ci ha ringraziato più col sorriso e con gli occhi dolcissimi, già troppo vissuti.

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***

da Rosanna Marcodoppido

“Di sentirsi libere non ci si stanca mai”

Siamo vicine ad Anna Maria Scarfò e a quante/i la sostengono nella sua lotta per ottenere giustizia da quando a soli tredici anni iniziò il suo calvario. Vittima di uno stupro di massa da parte di dodici maschi del suo paese, S. Martino di Taurianova in Calabria, è stata emarginata e minacciata a seguito della denuncia presentata due anni dopo e trasferita in località protetta con la sorellina grazie anche alle forze dell’ordine che per fortuna hanno capito da che parte stare. Oggi Anna Maria ha 24 anni e dopo quattro processi che hanno mandato in galera sei dei dodici stupratori, questa mattina sarà presente all’udienza per le ingiurie, maltrattamenti e minacce subite a lungo a causa della sua coraggiosa denuncia.

La sua adolescenza è stata distrutta per sempre e la ferita si farà sentire a lungo, ma è stato ed è fondamentale l’affetto e il sostegno della famiglia, e la presenza al suo fianco delle tante donne che lottano per la libertà femminile, prima fra tutte la sua avvocata. In una intervista Anna Maria ha spiegato con lucido coraggio il danno psicologico subito: “dal giorno in cui ho fatto denuncia (….) ho ritrovato qualcosa che avevo perso da anni, ho ritrovato il mio corpo. E quando l’ho ritrovato non sono riuscita ad accettarlo, perché ormai lo sentivo rubato e sfruttato”. Ma, come lei sostiene “Ne valeva la pena. Di sentirsi libere non ci si stanca mai”.

Vogliamo farle sentire la nostra ammirazione e il nostro affetto tramite le donne dell’Udi di Reggio Calabria che oggi saranno presenti all’udienza insieme a tante altre associazioni.

Roma, 27 febbraio 2012 Le donne dell’Udi  Romana “La Goccia”

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Per Anna Maria Scarfò lunedì 27/2

Si moltiplicano nelle ultime ore le manifestazioni di solidarietà sui net-work e sui blog nei confronti di Anna Maria Scarfò. L’UDI dalla sede nazionale ha diramato il comunicato stampa che qui leggete e ha esteso a tutte le sue associate la conoscenza del triste episodio che su stampa e media ha avuto finora poco risalto. Saranno presenti all’udienza molte rappresentanze di altri movimenti e associazioni e non solo di donne. E’ importante non lasciare sola Anna Maria. Insieme per costruire civiltà. 

Domani 27/2, lunedì alle 15 al Tribunale di Cinquefrondi (RC) sezione staccata di Palmi, riprende l’udienza nel processo in atto, rimandata dal lunedì scorso perché uno degli avvocati degli imputati non si era presentato. (Vedi post del 20-21/2 più sotto).

 

UDI – Unione Donne in Italia

Sede nazionale Archivio centrale

COMUNICATO STAMPA

DOMANI UNIONE DONNE IN ITALIA SARA’ CON ANNA MARIA

 L’UDI, Unione Donne in Italia come sempre al fianco delle donne, sarà presente domani, nelle persona della referente di UDI Reggio Calabria, insieme ad altre realtà siciliane e calabresi, all’udienza del processo partito dalle denunce di Anna Maria Scarfò, presso la sezione distaccata del Tribunale di Palmi a Cinquefrondi (RC).

Anna Maria all’età di 13 anni era stata vittima di uno stupro di branco nel suo paese di San Martino di Taurianova (RC) che l’ha poi emarginata, giudicata e marchiata a vita con una sorta di “lettera scarlatta”.

Dopo due anni di violenze Anna Maria ha trovato il coraggio di denunciare i suoi aguzzini per tutelare la sorellina, che rischiava di diventare la seconda vittima. Anna Maria ha oggi 24 anni e vive, si fa per dire, in località protetta avendo subito stalking e minacce.

In quasi dieci anni di processi questa coraggiosa donna è riuscita a far condannare, con sentenza definitiva, sei dei suoi dodici stupratori.

 L’UDI ci sarà, al fianco di Anna Maria.

Le responsabili della sede nazionale 

Vittoria Tola e Grazia Dell’Oste

 

Via dell’Arco di Parma 15 – 00186 Roma

Tel. +39 06 6865884 Fax +39 06 68807103

udinazionale@gmail.com – www.udinazionale.org

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vedi un servizio di Chi l’ha visto? di marzo 2010

 

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Per Anna Maria Scarfò

“Quando era in corso il processo di Anna, io difendevo un’altra donna, in una causa di separazione. Una donna picchiata e abusata dal marito. Un giorno questa mia cliente venne nel mio studio e mi disse: Avvocatessa, voi difendete la puttana di San Martino? Non risposi subito. Mi disorientarono le parole di quella donna, abusata e maltrattata. Vittima anche lei, proprio come Anna, puntava il dito contro un’altra donna. Pensai: Se ora le faccio il discorsetto sui pregiudizi e sull’autodeterminazione della donna non arrivo da nessuna parte. Allora provai un’altra strada. Le chiesi: Lei è cattolica? E lei: Cattolicissima sono. E io: E dio non dice che bisogna sempre stare da parte degli ultimi? E lei: Sì, avvocatessa, ma non degli ultimi ultimi. Quel giorno ho capito due cose: che ci sono ultimi e ultimi ultimi e che la solidarietà tra le donne non è abbastanza forte, non forte come l’ambiente, la cultura, la paura, il senso di colpa”.

Così parla l’avvocata Rosalba Sciarrone ad una presentazione del libro Malanova. La triste storia è raccontata da Anna Maria Scarfò e scritta da Cristina Zagaria per le edizioni Sperling&Kupfer. Anna Maria ha avuto l’adolescenza devastata da dodici stupratori, dodici apostoli di quel potere patriarcale, esercitato ancora sotto tutte le latitudini, dove con gradualità più crudeli e manifeste, dove più soffuse o mascherate. Che si manifesta con le imposizioni, le discriminazioni, la disparità. E con la violenza fisica, lo stupro, le uccisioni nei confronti di quelle donne che non accettano di essere proprietà del maschio. Proprietà come può essere un cane, una pecora, una casa, un’automobile, un terreno. Questo modello culturale arcaico ha condizionato le donne fino ad oggi, e condiziona ancora molte.

Ci innamoriamo ma anche l’amore si nutre degli stereotipi che ci portiamo dentro. Sei mia, sei mio, la mia vita non ha senso senza di te, non posso vivere senza di te … è il cattivo immaginario sessista che rende dipendenti, senza autostima, col senso del possesso o della sopportazione inverosimile pur di ricevere amore e attenzione. Se si cresce nel senso della libertà e del rispetto della persona, nessuna, nessuno possiede in servitù o si appropria anche per un momento della vita, del corpo dell’altro, dell’altra.

Senza leggi adeguate, senza solidarietà sociale, senza modelli costruttivi per una effettiva parità in famiglia e nella società, senza movimenti forti e attivi delle donne, e soprattutto senza intervenire nella scuola e in famiglia nell’educazione contro gli stereotipi, continueremo ad avere donne umiliate e che subiscono violenza tra le mura domestiche (70%), e una donna uccisa ogni tre giorni. Se fosse un tabaccaio o un gioielliere ucciso sistematicamente ogni tre giorni sarebbe emergenza di ordine pubblico. Le donne sono state educate nei valori tradizionali della disparità – poco o molto – tutte. Approdare (faticosamente) alla consapevolezza del diritto della propria persona è una sfida di civiltà. La sfida di Anna Maria. Se questa consapevolezza manca o non è piena e generosa manca anche la solidarietà al femminile.

Rosalba Sciarrone, esperta di difese di genere per così dire, infatti osserva: Ma ciò che riesce sempre a stupirmi è la mancanza di solidarietà al femminile: un grande errore. Come possiamo non fare fronte comune tra noi? E poi chi è stata vittima, chi ha respirato violenza sin da bambina, spesso si trasforma a sua volta in carnefice. Per spezzare questa catena ci vuole aiuto. E credo che chi ne ha la possibilità non possa sottrarsi. Io per esempio faccio un lavoro che mi appassiona, ho potuto studiare, ho degli affetti, mi ritengo fortunata: sento che è mio dovere dare una mano. Ecco perché non solo ho difeso Anna Maria Scarfò (la malanova) ma l’ho anche ospitata in casa mia per un certo periodo, quando la pressione su di lei si era fatta troppo forte.

… «Avvocato, ma voi vi prendete in casa la puttana di San Martino?», me lo sono sentita chiedere da un’altra signora che stavo difendendo da un marito violento, che con lei usava proprio lo stesso insulto. Ho dovuto ricordarle che il tribunale stava dando ragione alla ragazza, che la carità cristiana vuole che si difendano gli ultimi, ma la risposta è stata: «Chilla è davvero ultima, tutto il paese se l’è fatta…». Ecco, il lavoro che trovo più difficile è quello contro i pregiudizi. Ma, nonostante tutto, le donne che hanno il coraggio di denunciare stanno crescendo. E dopo, nessuna vuole tornare indietro…

… il prezzo che sta pagando è davvero alto: dopo otto anni dalla sua prima denuncia e quattro processi, le minacce contro di lei non si sono placate. Tanto che da questa estate ha dovuto accettare il programma di protezione che la legge sullo stalking mette a disposizione in questi casi. Se n’è dovuta andare da San Martino, dalla sua casa, dalla sua famiglia. Oggi ha 24 anni e neanche uno straccio di vita privata. Ma prima di partire me l’ha ripetuto: «Ne valeva la pena. Di sentirsi liberi non ci si stanca mai». (Testimonianza raccolta da Anna Alberti per Marie Claire)

Per il 25 Novembre 2010, Anna Maria, non potendo intervenire ad una presentazione del suo libro, scrisse una lettera alle donne, piena di consapevolezza e dolore, quel dolore che può annientare, distruggere, ma che può anche far scatenare un coraggio disperato e far rinascere. Giacché disonore è avere tensione distruttiva dentro e tenerla stretta, nascosta, non liberarsene, non assumersi reponsabilità specie quando si apporta danno in modo grave e irreversibile. E l’adolescenza di Anna Maria è stata per sempre distrutta.

… Non è stato facile, credetemi. Ma ce l’ho fatta, grazie alle forze dell’ordine e al mio avvocato, Rosalba Sciarrone, che da quel giorno mi è stata sempre vicina.
Come vi dicevo, dal giorno in cui ho fatto la denuncia non è stato facile, ma da quel momento una cosa è sicura qualcosa è cambiato, la mia vita è cambiata.

Ho ritrovato anche qualcosa che avevo perso da anni, ho ritrovato il mio corpo. E proprio quando l’ho ritrovato non sono riuscita ad accettarlo, perchè ormai lo sentivo rubato e sfruttato.

… Spero di non deludere nessuno… 

Grazie Anna Maria per la grande forza civile che ti costa immensamente. Grazie Cristina, grazie Rosalba per averla amata da subito come una sorella. E agli uomini in divisa che l’hanno creduta e protetta.

***

Ieri.

REGGIO CALABRIA – La porta degli uffici giudiziari di Cinquefrondi l’ha varcata, ieri mattina, con Nadia alla sua destra e Natalia alla sua sinistra. Lei, Anna Maria Scarfò, piccola e stretta in mezzo, per la prima volta protetta da una scorta che non è quella assegnatale dallo Stato italiano nel febbraio 2010. All’udienza dell’ennesimo processo scaturito dalla sua atroce vicenda, Anna Maria si è ritrovata al fianco una ventina di rappresentanti di associazioni siciliane e calabresi. E ha capito, restandone un po’ incredula, che la battaglia solitaria durata otto anni era finita. Francesca Chirico.

Leggi il resto: http://www.linkiesta.it/anna-maria-scarfo#ixzz1n1x0X1X4

Ogni pensiero, affettuosità, attestato di solidarietà che vorremo dedicare ad Anna Maria alimenterà la sua determinazione a proseguire e la aiuterà a ricostruire un suo rapporto col mondo (perduto).

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Appello per Anna Maria Scarfò

Lunedì 20 febbraio 2012, alle ore 9:00, presso la sezione distaccata del Tribunale di Palmi, a Cinquefrondi (RC), si terrà l’udienza per discutere la causa di uno dei processi partiti dalle denunce di Anna Maria Scarfò.

Anna Maria aveva 13 anni quando un branco di “belve” ha iniziato ad abusare di lei, con violenze di ogni genere, nel paesino in cui è nata e cresciuta, San Martino di Taurianova. Le violenze sono proseguite per due anni, finché Anna non ha trovato il coraggio di denunciare, spinta dall’amore verso la sorellina, su cui il branco aveva deciso di accanirsi di lì a poco.

Appena quindicenne, dunque, Anna Maria ha iniziato la sua battaglia per riappropriarsi della sua vita. E l’ha iniziata da sola e contro tutti: contro i suoi stupratori, ma anche contro il suo paese, che l’ha emarginata e giudicata e condannata, anziché riconoscerne il coraggio e starle vicino. Come fosse lei la colpevole. Come fosse una “malanova” da tenere lontana…

Quella vicinanza ora vorremmo regalargliela noi. Partendo da una presenza fisica in aula lunedì mattina e stringendoci attorno a lei, per non farla sentire sola di fronte al branco e di fronte a quei concittadini che l’hanno maltrattata. Sarebbe un bel gesto di civiltà della parte pulita della nostra Calabria e, insieme, un segnale forte proprio nei confronti della parte marcia, l’unica che andrebbe veramente e definitivamente emarginata e allontanata.

Da dieci anni Anna Maria combatte la sua lotta ed è riuscita a far condannare, con sentenza definitiva in rito abbreviato, sei dei suoi dodici stupratori. Per gli altri sei è in corso il processo d’appello con rito ordinario (in primo grado sono stati condannati anche loro). Inoltre è riuscita a fare ammonire una decina di persone per stalking.

Le “belve” e i loro “sostenitori” hanno ucciso l’adolescenza e la giovinezza di questa ragazza sfortunata e coraggiosa, ma non la sua dignità e la sua forza.

Due anni fa Anna Maria è stata però costretta a “scappare” da San Martino, ad abbandonare la sua terra a causa delle minacce e persecuzioni che continua a subire dalla “sua” gente.. Vive in località protetta, in una terra che non le appartiene, lontana dai suoi affetti, estirpata dalle sue radici per la sola colpa di essersi ribellata all’ingiustizia, alla violenza, a una mentalità mafiosa e retrograda che troppo spesso al Sud prende il sopravvento su tutto il resto.

Noi tutti abbiamo il dovere di agire, di ribellarci, di resistere contro il destino di migrazione ed emarginazione cui sembra condannato chi, in questo territorio, vuole vivere secondo giustizia, onestà, correttezza, legalità.

Aiutare Anna Maria a riprendersi la sua vita significa aiutare i calabresi onesti a riprendersi la loro terra. A far capire, alle “belve” di ogni tempo e spazio e a chi le protegge e sostiene, che le vere “malanove” sono proprio loro e che sono loro a dover essere estirpate, come una gramigna che rovina i raccolti.

Porsi al fianco di Anna Maria significa porsi al fianco di tutte quelle donne che rivendicano il diritto di vivere e di non subire. Non solo in Calabria.

Significa far sentire loro che non sono sole.

Significa premiare il coraggio della denuncia e invogliare altre persone a non tacere.

Incontriamoci, dunque, lunedì mattina a Cinquefrondi.

Mai più casi come quello di Anna Maria, mai più casi come quello di Maria Concetta Cacciola, mai più silenzio e connivenza.

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Associazione Antimafie “Rita Atria”

Fondazione Giovanni Filianoti

Le Siciliane – Casablanca

Libera – Reggio Calabria

Se non ora quando? – Reggio Calabria

UDI- Unione Donne in Italia – Reggio calabria

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Otto marzo e donne suicidate

 

Quell’imprevisto della libertà femminile

GENTILE  direttore ho accolto con convinzione il suggerimento che lei ha avanzato alle donne calabresi di dedicare la Giornata Internazione della Donna a Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola e Lea Garofalo, perché dimostra, da parte sua, un’attenzione particolare per quanto, in quest’ultimi anni, si muove nel mondo della ‘ndrangheta, che sta facendo i conti con l’imprevisto della libertà femminile. Pur facendo mia la sua proposta, mi permetta, però, di avanzare alcune osservazioni, per evitare alcuni rischi, che ho intravisto in alcuni interventi.

Queste tre donne non vanno separate da tutte le altre, non sono donne eccezionali, ma donne “comuni” in un mondo in cui la libertà femminile fa paura a tanti uomini, anche e ancor di più ai mafiosi. Vanno, pertanto, ricordate e riconosciute tutte le donne che con le loro scelte stanno erodendo sin dalle  fondamenta la forza della ‘ndrangheta.

Mi riferisco a Tina Buccafusca,  moglie del boss Panteleone Mancuso di Nicotera, “suicidata” prima che iniziasse la collaborazione con i magistrati, a Ilaria La Torre, ex moglie di Francesco Pesce, che sta testimoniando contro il marito al processo “All Inside”, alle sindache Elisabetta Tripodi  di Rosarno e Carolina Girasole di Isola Capo Rizzuto, che quotidianamente difendono il loro desiderio di governare con libertà la propria Comunità. Mi riferisco ad Annamaria Molé e Roberta Bellocco, appartenenti a due delle più potenti famiglie mafiose della Piana di Gioia Tauro, studentesse del Liceo scientifico di Rosarno, che in un convegno sulla legalità hanno dato testimonianza del loro desiderio di essere libere di poter vivere la propria vita, nonostante il nome che portano.                        

Mi riferisco alla figlia di Lea Garofalo, Desirè che si è costituita parte civile contro il padre, in nome della madre. Mi riferisco ad Anna Maria Scarfò di Taurianova, che ha denunciato e mandato in carcere i suoi violentatori. Mi riferisco a tutte le donne che, in ogni luogo, a partire dalla casa, lottano quotidianamente per affermare la loro libertà. Mi riferisco alle donne che nelle scuole, frequentate anche dalle figlie dei mafiosi, insegnano alle più giovani l’autorizzazione ad essere  libere, contribuendo così alla fine della ‘ndrangheta. Insomma, anche in Calabria c’è tutto un mondo femminile che sta cambiando, e Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola, Lea Garofalo sono parte di esso. 

Gli strumenti di queste donne, come di tutte quelle che hanno distrutto il patriarcato, togliendo ad esso la propria credibilità, sono la consapevolezza di sé e l’amore per la libertà propria  e delle proprie figlie e figli. La loro non è “resistenza civile”, ma affermazione di sé e del proprio desiderio, a costo anche della propria vita. E questo, ne sono convinta, ha un valore molto più alto di mille manifestazioni. La vera lotta alla ‘ndrangheta, come lei stesso direttore ha scritto, è “ fatta di piccoli e grandi gesti quotidiani”. Molte donne, in  questa regione, lo stanno facendo. La ‘ndrangheta che uccide le proprie donne perché l’”abbandonano” e la “tradiscono”, dopo che generazioni di donne, come la madre di Maria Concetta Cacciola o di Giuseppina Pesce, le hanno garantito omertà e complicità, non è  diversa dai tanti uomini che ogni giorno, in ogni parte del mondo uccidono le donne (mogli, fidanzate, ex, figlie, sorelle), quando tentano di riappropriarsi della propria vita e li abbandonano.

Quello a cui stiamo assistendo è la fine del patriarcato mafioso. Alto è il prezzo che molte, troppe, stanno pagando. Separare Giuseppina Pesce, Maria Concetta Cacciola  e Lea Garofalo dalle loro simili, significa indebolire la forza delle loro scelte e le ragioni che le sostengono. Mi auguro che l’8 marzo non venga trasformato in una manifestazione di tutti contro la ‘ndrangheta. In prima linea troveremmo magari molti di quegli intellettuali e di quei docenti universitari, che saranno d’accordo con la sua proposta, pronti a firmare e a “partecipare” purché siano “visti”, che a Cosenza hanno disertato la “lezione” del procuratore Pignatone, che aveva capito la forza delle donne nella lotta alla ‘ndrangheta. Lei c’era a quella manifestazione e con lei c’erano non più di dieci docenti Unical. 

Gentile direttore apprezzo la sua proposta e spero che venga lasciato alle donne, e solo alle donne, perché a loro appartiene l’8 marzo, di farla propria, nei modi in cui ognuna, individualmente o assieme ad altre, deciderà.

Franca Fortunato

***

Riceviamo da Franca una lettera aperta al direttore del Quotidiano della Calabria, giornale su cui scrive e su cui è stata pubblicata giorni fa.

E’ da un po’ che traboccano termini che celebrano la retorica dell’eroe. E non è in questo senso che va percepito il profondo mutamento che sta avvenendo in molte donne legate al mondo mafioso. Tante madri hanno ripudiato figli definiti ‘nfami che hanno deciso di collaborare con la giustizia, ma molte altre colpite nel profondo degli affetti e dei sentimenti hanno deciso di rompere ogni legame coi loro uomini mafiosi, con estremo coraggio e rischio.

Quando una donna viene colpita negli affetti più cari non ragiona più, non c’è omertà che tenga, racconta il pentito Calderone a Pino Arlacchi, (Dacia Maraini ne farà un testo teatrale: Mi chiamo Antonino Calderone).   

L’esplosione dell’affettività ferita a morte è una delle componenti che spinge  le donne a rompere i legami nel mondo mafioso. Ma bisogna riflettere che senza la spinta evolutiva dei movimenti delle donne verso l’emancipazione, sul piano della comunicazione sociale, e in particolare di quelle associazioni – in prevalenza femminili – che contrastano le mafie e che offrono sostegno alle donne vittime, il fenomeno della loro ribellione a un mondo chiuso e ferocemente patriarcale sarebbe impossibile. E’ anche il timore di essere fatta fuori comunque.

All’interno la donna è ritenuta inaffidabile e di proprietà. Ha solo compiti di servizio e di comunicazione con l’esterno, non deve discutere gli ordini. Affetti e sentimenti all’esterno sono vietati all’uomo del clan, la donna non deve chiedere mai, deve essere tenuta lontana e all’oscuro, se la donna sa qualcosa finisce che o la deve ammazzare lui o la deve far ammazzare da qualcun altro (Renate Siebert). Anche se nel tempo sono emerse donne al comando.

Ma… è venuto il momento di comunicare in proprio con l’esterno e di porsi delle domande. Non è più disposta a trascorrere la sua vita in un buio labirinto dove è stata assegnata prima dal destino e poi dagli uomini del clan.

Ecco quell’imprevisto della libertà femminile. Ed ecco il senso del manifesto per l’8 Marzo che l’UDI dedica a tutte le donne e ai loro diritti, per la costruzione del futuro. E, d’accordo con Franca, a tutte le donne che decidono di vivere la libertà della propria persona nei diritti, soprattutto quelli da recuperare, che spezzano catene umilianti e rischiano la propria vita. 

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25 novembre

Ogni cinque donne in Europa, una è vittima di violenze (fonte Amnesty I.). Dovunque: in casa, sul lavoro, per strada, al parco, in discoteca… E se allarghiamo lo sguardo incontriamo le più assurde e feroci negazioni dei diritti sanciti come universali.

La violenza esercitata ha una graduazione che va dalle forme più sottili, psicologiche, di linguaggio, di subordinazione, ai maltrattamenti fisici, alla morte.

Anche impedire alle donne di decidere del proprio corpo di fatto o con leggi istituzionalizzate è violenza, come in casa nostra, o negare le medicine come in Sierra Leone.

Le infermiere ti trattano male, non si capisce quello che dicono. Ho provato a spiegare, le ho scongiurate. Mi hanno detto che stavo facendo perdere tempo e mi hanno cacciata via. Ho pregato e pregato, ma niente soldi, niente medicine. Parlano di cure gratuite, ma non se ne vedono qui. (Hawa, 28 anni incinta, Sierra Leone).

La violenza sottile, quotidiana è statisticamente enorme, ce la ritroviamo in casa e sul pianerottolo nella porta accanto sotto forma di divieti, contrasti, asprezze, tutele non richieste e non dovute, sottostima, che normalmente non si esercitano nella cerchia maschile. Fino alle più dolorose ed estreme: percosse, stalking, stupri, morte: una donna è uccisa ogni due giorni e mezzo. Se questa media è più o meno stabile non c’è casualità, è un costume, una cultura. I giornali e i media, nella grande maggioranza, continuano a non riconoscere e non indicare come femminicidio l’uccisione sistematica delle donne per mano maschile.

Un genere incapace di gestire il conflitto ricorre alla soluzione estrema della soppressione come soluzione finale.

Non se ne esce se non con una presa di coscienza individuale, che moltiplicata diventa consapevolezza e forza collettiva. Così ogni atto individuale consapevole diventa politico. Così si può parlare di politica delle donne senza in realtà praticare la politica attiva o essere iscritte a un partito. La fase successiva della conversione in legge va perseguita poi con tenacia, diversamente le proposte di legge giacciono nel sonno eterno.

Lo scambio, la partecipazione, l’opposizione motivata, la negoziazione… sono gli strumenti che dobbiamo utilizzare in forme interpersonali e collettive.

Molto è cambiato grazie ai movimenti delle donne. Nulla è stato regalato in termini di riconoscimento dei diritti. E nulla verrà regalato. Il corso verso una società più aperta e paritaria tra i generi è presumibilmente inarrestabile. Perché le tecnologie sebbene studiate e prodotte dalle tecnocrazie ancora patriarcali, diventano un’arma a doppio taglio: sanno utilizzarle anche le donne sempre di più. E la comunicazione è un’arma micidiale. E’ anche vero che contemporaneamente soffriamo di lunghe pause o processi involutivi. Ne abbiamo appena trascorso un ventennio.

Ma qualcosa cambia e cambierà con effetto domino. E non è detto che quel battito d’ala laggiù non produca un uragano proprio qui. O viceversa.

Manal e le altre hanno sfidato la monarchia saudita con un gesto privato e personale, ma che si è fatto politico: guidare l’auto, per loro vietata. Re Abdullah ha promesso qualcosa per il 2013.

Le donne egiziane sono appena uscite dalla dura forma del governo Mubarak anche per merito loro, nel movimento della Rivoluzione del 25 Gennaio. I militari ora al potere hanno fatto finta di non vedere e non sentire, ma loro sono tornate all’attacco e chiedono oggi uguaglianza di diritti e compartecipazione decisionale di governo.

La mortalità per maternità in Sierra Leone è fra le maggiori del mondo. Negare le medicine alle donne nel loro atto riproduttivo, è una violenza e una violazione dei diritti fondamentali. Dietro le pressioni di Amnesty I. e altri fronti, dal 27 aprile 2010 il governo concede a parole “Cure mediche gratuite” (Fhci), ma non di fatto.

Donne yemenite: protestano contro la fatwa favorevole alla repressione e cantano per le strade l’inno nazionale, persino nei villaggi contro i tagli all’elettricità e all’erogazione dell’acqua, alcune avrebbero bruciato il velo davanti ai militari del regime presidenziale.

Si potrebbe continuare con le donne di Plaza de Mayo, che gridano la mancanza di lavoro è un crimine e una violenza, le donne di Ciudad Juarez, le donne per il diritto all’acqua, alle sementi…, le donne che si ribellano alla legge feroce delle mafie e sono sciolte o suicidate con l’acido, tutte le donne che nel privato e in pubblico strappano a forza pezzi di dignità per ricostituirla nella propria persona e nella persona di tutte.

E in casa europea molti sforzi si stanno compiendo sul piano istituzionale, con risultati a volte confortanti a volte deludenti. Il Consiglio dell’Unione e la Commissione hanno adottato una Carta delle Donne con una dichiarazione d’intenti per combattere la violenza nei confronti delle donne e stabilire la parità di genere attraverso una disegno politico. Tuttavia sono trascorsi già due anni e gli impegni concreti tra gli Stati tardano ad arrivare.

Il 10 e 11 maggio 2011, nella sessione a presidenza turca del Consiglio d’Europa tenuto a Istambul, 13 paesi del Consiglio d’Europa hanno firmato una Convenzione per prevenire e combattere la violenza di genere. Rispetto alle consimili precedenti deliberazioni si propone come un vero e proprio trattato internazionale vincolante. Ogni stato ha l’obbligo di fornire servizi specializzati alle donne vittime di violenza e di adottare delle procedure unificate dalla prevenzione alla pena. Il Trattato si configura come diritto internazionale, ma avrà valore di legge solo dietro ratifica del Parlamento nazionale.

La violenza di genere ha raggiunto un livello intollerabile ed è purtroppo un fenomeno in continuo aumento: una donna su quattro in Europa subisce violenza durante la sua vita, a scuola, in ufficio e soprattutto in casa, poiché il pericolo maggiore viene da persone conosciute, quindi di cui la donna si fida, principalmente il partner … Le denunce continuano ad essere molto rare,  così come le condanne, pur in presenza di arresti immediati dei criminali da parte della polizia, e che però, in assenza di prove certe, fa sì che questi continuino a girare liberamente.

Sono quattro le fasi determinanti contenute nella Convenzione: prevenzione del reato, protezione delle vittime, azione giudiziaria sui colpevoli e politiche più coordinate, che, attingendo all’esperienza di ogni paese, formeranno un’unica struttura di diritto internazionale (Thorbjorn Jagland, segretario generale, nel presentare la Convenzione a Istambul).

La Convenzione è anche aperta ad altri stati oltre a quelli dell’Unione. Ad oggi 17 paesi hanno controfirmato ma non è stata ancora ratificata da nessuno. L’Italia, il governo di Berlusconi, non l’ha nemmeno firmata.

Qualora riuscissimo a far scomparire le forme di violenza esercitate nei confronti delle donne avremmo raggiunto una pienezza di sensibilità, che si riverserebbe anche sugli uomini, sugli animali, sugli ecosistemi. Su ciò che genera la nostra vita.

 

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mediterranea

UDI Catania – novembre 2011

Mediterranea_nov11

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Avevo 15 anni quando conobbi mio marito …

Scavalcando ogni incombenza, non possiamo fare a meno di pubblicare questa straziante lettera di Giorgia (nome fittizio), che ripete un dolorosissimo copione, e pregando chiunque possa darle un aiuto anche di conforto di farlo contattandoci. Anche noi faremo quanto possibile per le nostre piccole forze. Giorgia sa usare da sé le parole giuste che le vengono dal profondo, e pone problemi legislativi-giudiziari della massima importanza per la difesa dei diritti e della dignità delle donne.   

Lettera di Giorgia

Salve, sto leggendo da un po’ il vostro interessante ed importante link e per quanto io abbia raccontato la mia storia tante volte a vari corpi la cui istituzione dovrebbe essere di aiuto a tutte le donne in difficoltà, personalmente, mi sento davvero delusa dai provvedimenti mai seriamente presi o presi per niente.

La mia brutta storia risale a qualche anno fa, dopo la separazione che decido di attuare per violenze psicofisiche da parte del mio ex marito durante il matrimonio. Quindi materiale porno, proposte al limite della decenza umana, umiliazioni di varia natura dietro i miei rifiuti, proposte di presenza di altre persone o la pretesa di rinchiudermi nell’armadio per assistere ad atti con altre persone etc…

Avevo 15 anni quando conobbi mio marito ma niente mi lasciava immaginare che in quel soggetto si nascondesse un vile mostro. Tutto inizia a venir fuori dopo averlo sposato. A 21 anni. Le mie perplessità diventano man mano che il tempo passa, una realtà dura da affrontare, ma arriva il mio primo figlio a 22 anni e la mancanza di coraggio mi induce a sopportare.

Le proposte oscene continuano sebbene io mi rifiuti ed il mostro continua imperterrito. Iniziai a fare il possibile per evitare mi toccasse, magari mi addormentavo insieme al bambino nella cameretta, ma non sempre riuscivo a sottrarmi. Arriva intanto la mia secondogenita, le cose sono sempre piu’ difficili ed io non faccio altro che pensare a come fare per andar via. Purtroppo paese piccolo, mentalità retrograda, pregiudizi, etc….

Apriamo un’ attività di ristorazione, la situazione precipita perchè le sue proposte da pervertito vengono rivolte anche al fornitore di turno. GLI ESPERTI LO HANNO DEFINITO UN BORDERLINE SESSUALE SOLO ASCOLTANDO LA MIA STORIA. Dopo una dura giornata di lavoro al ristorante che io stessa gestivo, compreso la cucina, le pulizie, la pulizia del pesce, due bambini piccoli, la seconda la allattavo ancora, arrivavo a casa a notte fonda, anche le 4 del mattino. Forse e’ umano che succedesse mi addormentassi per la stanchezza…. Mi svegliavo di soprassalto e trovavo lui nel letto con video porno che ” sbrigava da solo le sue faccende”.

Schifata e inorridita riuscivo a dire solo NON HAI RISPETTO NENCHE PER I TUOI FIGLI CHE POTREBBERO SVEGLIARSI E VEDERTI. Sapete come mi rispondeva? SE TU NON SEI CAPACE, FACCIO DA ME. Allora mi alzavo e me ne andavo dai miei figli. Lo so, è proprio per il bene dei miei figli che sarei dovuta andar via molto prima, ma non sempre si riesce ad imboccare la strada giusta in queste situazioni. Comunque, arriva il momento in cui decido per la separazione, sebbene lui sia convinto che la mia decisione dipenda da altro. (E’ troppo comodo per un vigliacco credere che si venga lasciati per la presenza di qualcun altro. La presenza di qualcun altro e’ vero c’è stata , ma dopo essermene andata).

Da circa sei mesi dormivo in camera con i miei figli perchè non sopportavo più niente ormai, così un giorno lo chiamai sul lavoro e gli dissi di tornare perchè dovevamo assolutamente parlare. Faccio venire a casa mia i miei genitori per rimanere con i bambini e noi usciamo. Vuole mangiare una pizza, mentre la mangiamo parlo dei problemi che ci sono e all’improvviso senza che io parlassi di divorzio, lui mi dice di aver gia’ contattato un legale per la separazione. Lì mi rendo conto che tutto da parte sua era stato programmato. Dall’ inizio. Forse dal fidanzamento. Sì perche’ poi mi e’ stato spiegato che questi soggetti sono grandi e meschini manipolatori e calcolatori. Comunque a quel punto non resta che iniziare le pratiche per la separazione. Dico che voglio tornare a casa dai bambini. Usciamo dal ristorante e la mia percezione che sarebbe successo qualcosa di brutto si rivelo’ fondata. Mi dice di volersi fermare un po’ sulla spiaggia, ma lo prego di portarmi a casa. Niente, imbocca una strada sterrata ed arriva in un parcheggio su una spiaggia. La paura è tantissima mentre gli dico che non voglio fare niente e che voglio solo tornare dai miei bambini. Blocca le portiere della macchina, mi volta con forza di spalle, mi gira le braccia indietro per bloccarmi e sebbene io ci abbia messo tutta la forza possibile per divincolarmi, gridando fino a perdere quasi la voce, mi violenta. Una violenza animalesca durata più di un’ora che mi terrorizzò al punto da pensare che quella sera non sarei tornata a casa viva.

Quando mi lasciò stremata dopo aver finito, le sue parole furono: QUESTA E’ LA PUNIZIONE CHE MERITI PER QUELLO CHE MI HAI FATTO. Mi rivestii a fatica perchè il dolore DIETRO, sì perchè la violenza carnale la subii dietro, era tale da farmi muovere molto a fatica. Dissi solo di riportarmi a casa. Arrivata a casa mia madre si accorse che non stavo bene, le raccontai, mi credette. Lo raccontai a mio padre, mi disse che non era possibile mi avesse fatto ciò. NON mi credette.

Per una settimana dovetti sedermi sui lati senza potermi appoggiare. Mia madre continuava a chiedermi cosa volessi fare in merito all’accaduto, ma riuscivo solo a rispondere aspetta, ci sono i bambini, ho paura possa fare qualcosa di più brutto se parlo. Mi crollò il mondo addosso, ero stata privata del mio essere donna, del mio intimo in maniera spregevole ed irriparabile. La mancanza di autostima non tardò ad arrivare, anche se da lì a poco lasciai quell’ essere immondo definitivamente. Questo nel 2003. Non lo denunciai. Il trascorrere del tempo non rimarginava le mie ferite, anzi, ma c’erano i bambini e dovevo farmi forza. Dovevo riprendermi perchè lui doveva essere punito per ciò che aveva fatto.

Ma trascorse il tempo e tutti gli avvocati a cui raccontavo la mia vicenda, dicevano che ormai era scaduto il tempo per la denucia e che ci volevano le prove della violenza subita. E’ vero, io sbagliai quella sera a non andare in ospedale o dai carabinieri, ma qualcuno mi dica per favore, perchè su cose di questo genere ci sono dei termini, delle prescrizioni? Perchè esiste una scadenza per denunciare uno stupratore e lo stesso stupratore deve camminare a piede libero anche se una donna che subisce trova il coraggio per parlare dopo tempo?

Dopo cinque anni, mio figlio una sera di giugno ha la febbre molto alta, telefono al padre, gli dico della situazione e che nonostante le medicine la febbre non scende, che dall’ospedale mi dicono di fare impacchi con alcool . Quell’alcool in casa non ce l’ho, così chiedo se ce l’ha lui. Mi dice: VIENI A PRENDERTELO NON POSSO USCIRE ORA CON LA MACCHINA. Io, presa dalla preoccupazione per mio figlio, mi metto in macchina e corro a prendere l’alcool. CREDETEMI, NON HO RIFLETTUTO SULLA PERICOLOSITA’ DELLA COSA. NON SAREI DOVUTA ANDARE, ALMENO NON DA SOLA. Arrivo a casa sua, mi fermo sulla soglia senza entrare e lui esce dalla porta ubriaco, mi tira dentro, mi fa cadere sul divano, usa la stessa metodologia di allora. Lo prego di lasciarmi andare e di pensare solo al figlio che sta male. Niente. Mi tappa la bocca questa volta, perche’ qualcuno potrebbe sentire, Mi minaccia dicendo: STAI ZITTA E NON GRIDARE SE NO’ TI FACCIO LO STESSO SERVIZIO DELL’ALTRA VOLTA E SE DICI A QUALCUNO ED AI TUOI FIGLI QUELLO CHE TI HO FATTO, NON SO COSA FACCIO.

Questa volta crollo davvero, perché se non mi avesse minacciata di fare qualcosa ai mie cari, SICURAMENTE sarei andata a denunciarlo. Passa un po’ di tempo prima che io racconti l’accaduto. I tempi? SCADUTI. Il procuratore capo conosce la mia storia, i carabinieri conoscono la mia storia e sapete cosa mi hanno risposto dopo essermi rivolta a loro in seguito a problemi che lo stesso soggetto mi sta arrecando ancora oggi, raccontando della violenza subita? SIGNORA…. MA TANTO E’ SUCCESSO SOLO UNA VOLTA…! Qualcuno mi faccia capire…. C’è un numero di volte stabilito dalla legge, per cui una donna dopo aver subito violenza carnale, può essere difesa? E quale diritto ha, un’arma dei carabinieri, di dire con quel tono cio che dice? Dov’è la legge che difende i diritti di donne vittime di violenza? Allora è vero gli omertosi ci sono anche in Procura…! Poi arrestano coloro la cui giustizia se la fanno da soli……………!!!!!!!!!!!!!! Oppure altre cose che mi hanno chiesto… SIGNORA, CI SERVONO DEI TESTIMONI DELL’ACCADUTO. Ma stiamo scherzando o cosa ??????????? Ma ditemi voi? Uno stupratore, violenta una donna in pubblico per cui è possibile avere testimoni oculari? DOVE SI NASCONDE LA LEGGE? NOI CHE SUBIAMO E NON VENIAMO CONSIDERATE E DIFESE NEL GIUSTO MODO, SIAMO TESTIMONI DI UNA SOCIETA’ LA CUI UNICA DIFESA A VOLTE E QUANDO CI RESTANO LE FORZE, SIAMO NOI STESSE PER NOI. Oppure chiudiamo un occhio…. TANTO…!!!! QUANTI OCCHI DI DONNE E BAMBINI CHE SI CHIUDONO PER SEMPRE DOBBIAMO ANCORA VEDERE PRIMA CHE LA LEGGE SI SVEGLI DA UN LETARGO QUASI SEMPRE VOLUTO????????????? I BAMBINI SOPRATTUTTO SONO IL CUORE DEL MONDO IN CUI VIVIAMO TUTTI, COSA SI STA ASPETTANDO? RINGRAZIO CHI HA AVUTO LA PAZIENZA DI LEGGERE TUTTO CIO’ CHE HO SCRITTO E SPERO CHE CHIUNQUE SUBISCA, ABBIA LA FORZA ED IL CORAGGIO DI PARLARE. ABBIAMO IL DIRITTO DI VIVERE LIBERI DALLA VIOLENZA….

Giorgia

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Campane contro 194

E’ L’ANNUNCIO DELLA MORTE DELLA SUA CHIESA

SU QUESTO giornale leggo che a San Giovanni in Fiore c’ è un certo don Emilio Salatino, parroco della chiesa di Santa Lucia, che ogni volta che nel locale ospedale c’è una donna che sceglie di non portare a termine la gravidanza, lui suona le campane a morto e lo fa fuori dagli orari usuali dei funerali, forse per attirare di più l’attenzione sulla donna che ha abortito, esponendola così a pubblico ludibrio.

Non conosco quest’uomo, questo novello inquisitore che pensa di avere l’autorità di giudicare, condannare e punire, come se fosse Dio in terra, ma sono certa che le donne di quel paese, a me noto per la sua storia di lotte e battaglie di civiltà e di progresso, sapranno rispondere alla sua arroganza misogina, che non ha nulla di cristiano e di evangelico.

Quest’uomo non ha ancora capito di essere solo un uomo, nient’altro che un uomo, l’essere prete non gli dà niente di più e niente di meno di un qualsiasi uomo. Nessun uomo ha più l’autorità  di giudicare e condannare la scelta di una donna di abortire, né di stabilire quello che una donna deve o non deve fare. Anche i preti sono soggetti al riconoscimento d’autorità da parte delle donne, senza nascondersi dietro il divino, che non ha niente a che vedere con le loro scelte, i loro giudizi e pregiudizi.

Sono finiti i tempi in cui la parola maschile era autorità per una donna. L’autorità un uomo, se la vuole, se la deve conquistare nel rapporto e nella relazione, nel rispetto e nell’amore.

Quando, gli uomini di chiesa, come don Emilio, si convinceranno di essere uomini, nient’altro che uomini?

Quando abbandoneranno arroganza e supponenza nel parlare di cose che non conoscono e non capiscono, rifugiandosi dietro ideologie che generano violenza?

La storia è piena della violenza ideologica. Usare le campane di una chiesa per annunciare a tutti che da qualche parte una donna ha abortito, non è certamente segno di amore cristiano. Fare la guerra alle donne non è certamente segno di pace, per chi predica la pace. Quel suono di campane non è meno violento della distruzione,  da parte di giovani uomini violenti, della statua della Madonna a Roma il 15 ottobre. Calpestare la dignità e la libertà di una donna ed esporla a pubblico ludibrio non è meno violento di quel gesto iconoclasta che, ne sono certa, anche don Emilio ha condannato. Ma quei violenti saranno pure figli di qualcuno?

Il suono di quelle campane non è altro che una delle troppe manifestazioni di miseria maschile di cui siamo testimoni in quest’epoca. Non ci sono parole che possano giustificare la violenza, come ogni altra, di quelle campane. Di fronte al suono a morto di quelle campane  ogni altro sentimento, che non sia di sdegno e di rabbia, ammutolisce e la violenza ha il sopravvento. Non mi sembra il massimo per chi dovrebbe praticare e non solo predicare la nonviolenza.

Tacciano le campane e si lasci parlare la lingua dell’amore. Ma non credo che quel prete, nel suo furore ideologico, voglia questo. Così non credo che, in questa occasione, serva argomentare quanto noi donne scriviamo da anni sull’aborto, che è uno scacco, una violenza che subiamo sul nostro corpo, e non un diritto, sulla legge 194 che tutela la salute della donna solo negli ospedali pubblici, lasciando il reato di aborto fuori da quelle strutture, sulla libertà di ogni donna di scegliere se, quando, come e con chi diventare madre.

Quando un prete fa suonare le campane a morto contro una donna, il suo gesto parla da sé e mostra tutta la miseria umana e spirituale di cui è capace. Quel prete non si accorge che, in realtà, sta annunciando la morte della sua chiesa.

Franca Fortunato        (articolo sul Quotidiano della Calabria, 20/10/2011)

*** 

Non c’è limite alla fantasia punitiva. Una volta le donne ritenute capaci di maleficio venivano bruciate vive nelle pubbliche piazze. Oggi additate al pubblico disprezzo dalle campane se sofferenti di un disagio che è e deve rimanere privatissimo, nell’intimo segreto del proprio corpo (e della propria cartella clinica). Nella dis-logica opposta il parroco dovrebbe andare in giro e intercettare … chi ha concepito, per suonare le campane a festa. Non è nuovo a scampanate fuori ordinanza. Nel 2005 vi fu una certa eco sulla stampa, don Salatino tuonò dal pulpito contro il diavolo venuto da Torino. Fu durante la campagna elettorale comunale, il filosofo Gianni Vattimo (torinese di nascita, da piccolo botte dai compagni perché parlava calabrese, padre originario di Cetraro) era stato proposto come candidato a sindaco di San Giovanni in Fiore dal gruppo di intellettuali intorno alla Voce di Fiore, agguerrito giornale locale on-line.  

 

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Dimissioni Sacconi

               

E’ passato qualche giorno dalla triste, infelice, barzelletta sulle donne-suore violentate meno una, detta da Sacconi, ministro della Repubblica, quello dei bastardi anni 70, chi è quel cretino che mi dà del fascista.

Doveva essere un argomento tecnico per giustificare i rappezzi della finanziaria.

Ma su, era solo ironia!

Ironia sulle donne-suore stuprate? Nel senso che a tutte è piaciuto, meno una che ha detto no e quindi è stata rispettata.

Senza parole, con un tuffo al cuore.

Ad oggi nel 2011 le vittime donne  sono 101, una ogni 2,47 giorni. La violenza sulle donne, che culmina nel femmicidio (suore o meno è ininfluente), è una cosa troppo seria, troppo grave per poter tollerare una qualsiasi frivola battuta sull’argomento. Ma qui non è soltanto questione di frivolezza, vi è l’abstract di una scuola di pensiero ben impartita e imparata che si è fatta sistema di governo e di affari con transazioni di corpi femminili. Ostentata, difesa ad oltranza dai giullari di corte, fatta passare per normalità perché l’italiano è così.

A partire da una iniziativa di Monica Lanfranco, le donne di puntoG 2011 propongono una mail bomging all’indirizzo di Sacconi:

segreteriaMinistroSacconi@lavoro.gov.it

con il seguente testo o personale:

CHIEDIAMO A GRAN VOCE E SENZA APPELLO NE’ SCUSE LE DIMISSIONI DI SACCONI DA UN MINISTERO DOVE NON CI RAPPRESENTA COME DONNE E COME LAVORATRICI.

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Rischio chiusura del Centro Antiviolenza Erinna di Viterbo

Come per il Centro Lanzino di Cosenza un altro grave rishio di chiusura incombe sul Centro Antiviolenza Erinna di Viterbo.

Ecco gli indirizzi per action mail alla Presidenza e alle Pari Opportunita della Provincia di Viterbo:

presidente@provincia.vt.it

serep@pariopportunita.gov.it

Antiviolenza / Comitato provinciale di Viterbo SE NON ORA QUANDO – SNOQ

Dopo Siena il movimento Se non ora quando riparte da Viterbo per sostenere il Centro Antiviolenza Erinna. La provincia di Viterbo ha deciso di recedere dalla convenzione con l’associazione Erinna prima della scadenza naturale, viene meno, così, la possibilità di continuare a gestire il centro antiviolenza con la conseguenza di non poter più sostenere le donne maltrattate, che provengono dalla provincia di Viterbo e dalle regioni confinanti. L’Associazione Erinna è un’associazione di volontarie che coordina il centro da anni; è l’unico centro contro la violenza alle donne presente nel territorio viterbese che adotta la metodologia di accoglienza secondo le indicazioni europee e internazionali.

In seguito a questa decisione si sono manifestate numerose proteste che anche su Facebook hanno visto aderire più di 2000 persone. Nella riunione del 15 luglio numerose cittadine e cittadini hanno espresso la volontà di far scendere la protesta da facebook in piazza per il diritto delle donne ad avere un luogo di riferimento dove la cultura di genere restituisce dignità e autodeterminazione.
La manifestazione di piazza si terrà a Viterbo il 28 luglio.

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Mostruoso, folle, lucido.

essenza della nostra lotta

fase 1. Lanceremo campagne di informazione per creare consapevolezza utilizzando qualsiasi mezzo necessario, compresa la distribuzione dei nostri messaggi usando attacchi-shock letali contro le concentrazioni dei traditori di classe A e B in un pan-Contesto europeo. L’obiettivo primario degli attacchi d’urto non è l’immediata manifestazione fisica dell’attacco (distruggendo alcuni edifici, uccidendo un centinaio di traditori), ma piuttosto gli effetti indiretti. Attacchi-shock avranno la potenza di penetrare il rigoroso regime di censura dei marxisti culturali/multiculturalisti. Ogni sostanziale attacco-shock avrà dunque il potenziale per fare enormi danni ideologici sull’ideologia multiculturale e sui suoi propagatori in vari modi (come il sogno multiculturale diventerà mai così distante) …

***

1. Prendiamo il nemico di sorpresa.
2. Conosciamo il terreno dello scontro.
3. Abbiamo una maggiore mobilità e velocità rispetto alla polizia.
4. Siamo al comando della situazione e dimostriamo grande decisione, ciò comporta che il nostro nemico è stordito e incapace di agire.                  5. Siamo pronti a morire per portare a termine i nostri obiettivi.

***

1. Finanziamento dalla tua operazione
2. Ricerca e raccolta di informazioni sicure
3. Acquisizione di armi, giubbotti antiproiettile e altre attrezzature
4. Trasporti (con un’auto / scooter disponibile o contare su un’espropriazione)
5. Stoccaggio sicuro in cache remota (eliminazione di elementi di prova)
6. Ricognizione o esplorazione del terreno
7. Studio e cronometraggio dei percorsi
8. Simulare l’operazione più e più volte (studio e pratica)
9. successo

***

Sono estratti dal documento farneticante di 1550 pagine, pubblicato sul web (un anno di lavoro) dove l’attentatore di Oslo teorizza la Rivoluzione d’Europa entro il 2083 contro i traditori, i sostenitori del multiculturalismo. Una crociata militare permanente anti-islamica e contro tutti i soggetti che sporcano l’Europa templare bianca e cristiana. Neppure il Papa ne è esente.

La strage di Oslo ci ricorda e ci sbatte sotto gli occhi molte cose disgraziate.

Per prima cosa quella parte di giornalismo codardo che non affronta la notizia ma la mistifica in mala fede o trova sempre il modo di infilare cose care. O quel giornalismo lumaca che diventa gazzella, ma sempre un passo indietro (sulla verità) o avanti (sul cicaleccio), quando l’evidenza della realtà esplode. Le testate più accorte in Europa (ma anche in Italia) erano state molto caute o avevano abbandonato la pista islamica venerdì a tarda sera a chiusura delle edizioni, ma i portabandiera a servizio nostrani hanno voluto insistere con la pista islamica ricominciando da Adamo ed Eva con tanto di esperti. Ridicola disonorevole marcia indietro del giorno dopo. Le edizioni televisive realtime non hanno nemmeno brillato.

Il mostro è nel nostro armadio. Anders Behrin Breivik.

L’esecutore della strage mostra un profilo che ha delle concatenazioni obbligate. Passione per i giochi di guerra. Dunque ama le armi, la caccia, la guerra, le divise, la pulizia etnica. Estrema destra politica. Odia il mondo islamico con quella commistione ecstasy di templarismo, cristianesimo, cavalieri-fantasy del bene contro il male assoluti. E non poteva che odiare anche le donne. Il circolo di questo profilo si chiude. Ce lo conferma un particolare.

Aveva pubblicato un video De Laude novae militiae, prendendo il titolo del libro del monaco Bernardo di Chiaravalle, con l’asse ideologico ben elaborato in titolazione:

Cavalieri templari d’Europa

Unità non diversità

Monoculturalismo non multiculturalismo

Patriarcato non matriarcato

Isolazionismo europeo non imperialismo europeo.

In questo atroce miscuglio di arcaismi che nega il mondo, spacciato come radici culturali, la donna non può osare di sottrarsi all’assoggettamento millenario, fisico psicologico e sociale. Lo esclude la struttura gerarchica e del comando monoculturale appunto, maschilista, patriarcale. Qualcosa sottocenere brucia nei paesi felici del nord Europa, ai primi posti per stupro. [] []

Dopo la caduta del muro di Berlino le realtà scandinave vanno mutando profondamente. Il pericolo più grosso è la mafia russa, molto infiltrata, che ha trovato pascoli facili e vicini. Curioso indicatore: il 60% dei libri che si comprano a Stoccolma, Copenaghen, Oslo sono gialli.

Il tradizionale Stato sociale e dei servizi e della buona politica estera mediatrice si va appannando. Crisi economica. Immigrazione più o meno intorno al 10% in Svezia, Norvegia, Danimarca. Le destre xenofobe cominciano ad essere consistenti, anche se un po’ meno in Norvegia. E quasi metà dei paesi europei hanno mandato almeno un loro rappresentante di estrema destra al Parlamento europeo.

II potere della razza ariana bianca era il tema su cui 22.000 iscritti e iscritte (purtroppo anche donne)  discutevano nel 2009 su Nordisk, un forum neo-nazi  sul web a cui Breivik era approdato. Lo aveva poi lasciato perché troppo moderato.

Tra le annotazioni scritte della sua tragica spazzatura mentale aveva stabilito, prima del martirio (il suo, non avvenuto) e della strage, di festeggiare con vino rosso pregiato e due prostitute di alto bordo. Un classico del decadentismo della vigilia di morte. Eros (impossibile o pagato) e thanatos (facile, basta premere un grilletto).

Il fenomeno delle formazioni neo-nazi (e misogine-maschiliste) è preoccupante nel senso che dispongono ora di un comodo e facile strumento di comunicazione e aggregazione: il web. Creano reti, scambiano, si incontrano in raduni segreti. Altro mezzo di attrazione per veicolare messaggi e per fare adepti e adepte sono i concerti, white power music. (La Stampa 24/7/2011)

Una metamorfosi: negli anni passati il look, ostentato, era riconoscibile dalle teste rasate, anfibi, borchie, nero e altri dettagli ricorrenti. Oggi il mimetico delle tute, che pure amano, è passato al look: capi di abbigliamento di tendenza senza particolari segnali di gruppo codificato. La mimetica sociale facilita i rapporti e non allarma.

Ma il mezzo più pericoloso è l’uso delle donne. Utilizzarle come piattaforma di consenso e come veicolo virale per l’infezione ideologica della società. Una tecnica ben riscontrata ormai, ma poco conosciuta dalla maggior parte su fb. I gruppi maschilisti o segnatamente antifemministi (mariti e padri separati che la devono far pagare cara o semplici odiatori di donne, della loro libertà e autonomia) creano account-cloni o fake con profili di donna o fantomatiche associazioni contro la violenza sulle donne. O siti sulla QM, questione maschile. In uno di questi, il problema posto era: quali motivi hanno tutti i mariti a cui la moglie rovina la vita per sempre, per non ammazzarla?

Marcel Gleffe

In ultimo un po’ di commozione e gioia. Marcel Gleffe è un tedesco, da qualche anno fa il riparatore di tetti in Norvegia. Venerdì si trovava in campeggio davanti all’isola di Utoya, luogo dell’eccidio. Ai primi spari guarda col binocolo, intuisce la carneficina e con grande rapidità fa la spola con una barca recuperando i ragazzi e le ragazze ancora in vita, in fuga a nuoto  per scampare agli spari. Forse una trentina ne è riuscito a portare fuori tiro. E tutte le persone in campeggio hanno collaborato. Intorno a 150 le giovani vite salve.

La maggioranza della specie avrà pure questo istinto, ma basta un solo folle per produrre danni irreparabili alla specie stessa e questa non sempre si accorge e previene. Spesso perde la memoria.

Un centinaio le vittime del massacro tra la sparatoria a Utoya e l’eplosione preparata a Oslo. Breivik ha chiesto di presentarsi a un processo pubblico e in divisa.

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Centro Roberta Lanzino su condanna all’ex frate Bisceglia

Riceviamo dal Centro Roberta Lanzino di Cosenza e pubblichiamo.

COMUNICATO STAMPA

E’ con l’immagine di Francesco Bisceglia con la bianca veste, sulle scale del Tribunale di Cosenza che urla rivolgendosi minacciosamente alle suore, esortandole a vergognarsi e a pentirsi, che oggi 6 Luglio 2011 alle ore 14 vogliamo commentare la sentenza.

Con la soddisfazione di chi ha creduto nelle verità denunciate dalla suora affermiamo che è stata resa giustizia e la sentenza di condanna a 9 anni e 3 mesi a Francesco  Bisceglia e 6 anni e tre mesi ad Antonio Gaudio deve necessariamente contribuire a restituire equilibrio e misura ad una città tutta che durante questi lunghi 5 anni troppe volte ha abusato della dignità della religiosa e di quanti a lei si sono affiancati per sostenerla.

In primo luogo noi, donne del Centro antiviolenza “Roberta Lanzino”, che abbiamo vissuto il difficile percorso giudiziario al suo fianco subendo l’onta dei media e di una comunità ancorata alla figura istrionica e narcisistica di un uomo che ancora oggi, a sentenza emessa, ha continuato ad offendere. Su questo continueremo a vigilare attente a che ad altre donne non accada quello che è già accaduto, pronte a prevenire e a denunciare qualsiasi altro atto lesivo della nostra dignità.

Oggi si scrive una pagina importante per la giustizia italiana: il Tribunale di Cosenza ha aperto una fase nuova che impone ad una città arroccata, durante questi anni, a facili giudizi assolutori in nome della virtuosità e dell’opera meritoria a sostegno dei più deboli,  che di certo non riducono né scalfiscono la gravità dei fatti per i quali Bisceglia è stato condannato.

Accogliendo con soddisfazione la sentenza non ci esimiamo dal riflettere sul fatto che la ricerca di legalità sia emersa all’interno di un’aula di Tribunale più di quanto non abbia saputo esprimere la società civile cosentina e la stampa.

Cosenza, 6 Luglio 2011                         Centro antiviolenza “Roberta Lanzino”

***

Vergognatevi tutti, magistrati, suore e preti, perché è stato condannato un innocente. Avete infangato un sacerdote onesto. È la pagina più dolorosa mai scritta dalla magistratura di Cosenza.

Nei miei confronti è stata commessa un’enorme ingiustizia. Tutti dovranno pentirsi un giorno per quanto mi è stato fatto. Hanno trionfato la menzogna e la calunnia. Pentitevi tutti perchè per tutti voi un giorno, per il male che mi avete fatto, si spalancheranno le porte dell’inferno. Non è giusto condannare un innocente.

E’ quanto aveva gridato dopo la sentenza, malgrado testimonianze e riscontri (vedi dossier), l’ex frate dei Minimi Francesco Bisceglia, conosciuto come padre Fedele. 

La suora vittima della violenza sessuale, dal canto suo ha solo commentato: Grazie, attendevo questo momento da anni.

La condanna riguarda cinque atti di violenza sessuale nei confronti di una suora e altre donne, compiuti individualmente e in gruppo. 

[fonti: Corsera 7/7/’11  – 25/1/’06 – Dossier]

 

 

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A Catania, lezioni di Ateneo

Catania, lunedì 18 Aprile. Alla Facoltà di Scienze della Formazione, Aula Magna, si terrà la 2a Edizione Stop Femminicidio Lezioni di Ateneo. 

FEMMINICIDIO E CULTURE

Ne parlano: Liana Maria Daher, docente di Sociologa generale e Metodologia della ricerca sociale, e Adriana Laudani docente di Teorie della comunicazione (di Udi Cat.).

Organizzano: la Cattedra di sociologia della devianza con la Cattedra di sociologia giuridica, il Comitato Pari Opportunità di Ateneo, l’UDI Catania tramite la responsabile Giovanna Crivelli.

   

Il Comitato Pari Opportunità, in collaborazione con l’UDI di Catania, prende spunto dagli argomenti discussi nel ciclo di lezioni sia per riflettere sulla condizione femminile, sulle discriminazioni e le violenze di cui esse sono ancora fatte oggetto, sia per ricordare le conquiste sociali, politiche ed economiche delle donne.
L’edizione del 2011, ricca di eventi e incontri culturali, prevede un ciclo di lezioni tenute dai docenti dell’Ateneo che si svolgeranno nelle diverse facoltà tra aprile e novembre.
L’iniziativa rende visibile e concreta l’adesione del Comitato Pari Opportunità ad una campagna di denuncia fatta propria dalla società civile siciliana. (da unict.it).

tel 095 7307481           fax 0957307479 
e-mail: cpo@unict.it   www.unict.it/cpo

 

Liana Maria Daher, ricercatrice in Sociologia, è attualmente docente di Sociologia generale e di Metodologia della ricerca sociale presso la Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università di Catania. I suoi interessi di ricerca si situano nell’ambito dei comportamenti collettivi e della metodologia della ricerca sociale. Fra le sue pubblicazioni ricordiamo: Azione collettiva. Teorie e problemi (2002), Comunicazione e Formazione: processi fondamentali per un mutamento evolutivo delle culture organizzative (2004), Ri-concettualizzare strumenti e risorse metodologiche per l’osservazione del pregiudizio in una società multiculturale e multirazziale (2006), Sport e azione collettiva (2006).

 

Adriana Laudani, docente di Teoria e Tecnica della Comunicazione Pubblica presso l’Università di Catania, consulente giuridica dell’Associazione di Comunicazione Pubblica, docente di Semplificazione amministrativa e Organizzazione della P.A. presso i più prestigiosi enti di formazione, autrice di diverse pubblicazioni in materia. E’ stata avvocata di parte civile della famiglia nel processo per l’uccisione del giornalista e scrittore Giuseppe Fava (). Premio Rosa Balestrieri 2010.

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Pubblicità rimossa

E un’altra!

Forza e coraggio: non desistere e incalzare con le segnalazioni delle pubblicità offensive nei confronti del corpo e della figura della donna! 

A proposito della pubblicità che riguardava una ditta produttrice di oli lubrificanti per motori, commentata il 29 marzo al post n. 1, più sotto, UDI rc riceve dall’IAP, Istituto per l’Autodisciplina Pubblicitaria:

Segnalazione messaggio pubblicitario “The no. 1 in friction reducing”, relativo al prodotto ‘Ceramic Power V-Twin Liquid’

rilevato su Moto Special – data copertina Marzo – Aprile 2011

Desideriamo informarVi che, il Comitato di Controllo, esaminato il messaggio pubblicitario in oggetto, ha deliberato di emettere ingiunzione di desistenza per violazione degli artt. 9 – Violenza, volgarità, indecenza e 10 – Convinzioni morali, civili, religiose e dignità della persona – del Codice di Autodisciplina della Comunicazione Commerciale.

A seguito del suddetto provvedimento autodisciplinare l’inserzionista ha comunicato l’intenzione di desistere dall’ulteriore diffusione del messaggio contestato.

Potrete rinvenire il contenuto del provvedimento inibitorio nel nostro sito internet www.iap.it, nella sezione “Le decisioni del Giurì e del Comitato di Controllo”.

 RingraziandoVi per l’apprezzata collaborazione, porgiamo i nostri migliori saluti.

I.A.P.

La Segreteria

Morale: impiego di risorse economiche buttate al vento per la campagna, probabile calo di vendite, essere additate ditte piuttosto con un certo discredito, correre ai ripari per rifarsi la facciata con una nuova campagna … Vale la pena?

I mezzi per contrastare questa spregevole tendenza di offendere le donne in parte ci sono, in parte andrebbero rafforzati. Occorrono un tenace lavoro per una maggiore sensibilità sociale, che spetta a tutte/i, e i codici deontologici dei pubblicitari che dovrebbero essere un protocollo normativo istituzionale. Ma soprattutto  dispositivi e sanzioni molto severe specialmente per le recidive. Per esempio divieto di qualsiasi pubblicità per un anno su ogni canale di comunicazione, stampa, TV, rete, oltre a multe salatissime e disincentivi. Scoraggerebbero decisamente le ditte avventuriere che adottano blitz pubblicitari e clamore piuttosto che la solidità del prodotto, l’intelligente comunicazione delle sue qualità. Non ci stanchiamo di ripetere che non ci devono essere censure, moralismi o bacchettonismi, ma Costituzione, codici e normativa proporzionata al danno sociale.

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