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Tosca

Il numero delle vittime è ben oltre la stima ufficiale, lo è sempre stato, e non si tratta solo di chi viene uccisa.

Le ultime vittime, e l’ultima che i medici cercano di salvare, hanno subito violenza mentre il contrasto al femminicidio è diventato termine politico: nel governo, nelle amministrazioni e perfino in alcuni media. Nella convivenza e dentro le  teste delle persone le cose sono cambiate, intanto, in un modo che poco o niente influisce sul pericolo costante che avvolge le vite delle donne e sullo stile di vita di chi è minacciata.

Il femminicidio è diventato un nuovo argomento politico, ma inutilmente per le vittime.

Il femminicidio è ormai anche un banco propagandistico, un altro modo di occupare posti e di distribuirli nella politica, mentre l’ideologia che lo sostiene è però quella arcaica di sempre.

Una spia di questo sono gli spot del governo che differiscono di poco da una maggioranza all’altra e tutti insistono crudelmente sulla millantata presenza di aiuti e possibili difese pubbliche, ma soprattutto sul “coraggio di denunciare”

La querela di parte è un’arma in mano agli assassini e ai torturatori, e le donne ne sanno molto di più di quanto non ne sappiano i governanti, che continuano a celarsi dietro le vittime e alla loro presunta stupidità nel fidarsi “dell’amore”.

Loro ora si chiedono cosa potrebbero dover dire di voler fare, c’è chi lo sa ma nessuno ascolta.

Gli assassini invece ascoltano e si sentono incoraggiati da parole ed immagini che parlano di amore assassino, di delitti sentimentali, ed hanno perfino nelle orecchie una suggestione: quella che per condannare davvero un assassino è necessario che la vittima sia buona e bella. Chi uccide lo fa perché la “cosa femmina” non è per loro più utile, buona, né piacevole, bella. Quella cosa femmina si può sopprimere. Alcuni si uccidono, pochi, molti andranno in galera per poco, “il dolore sarà la loro pena”. Non è vero che il dolore se c’è in questi casi redime, perché gli assassini tornano a picchiare e uccidere.

Le donne che si sono salvate dalla morte durante la violenza, sono salve grazie alla denuncia  di un vicino, di un passante, di un’amica o di un amico. Loro, le vittime, non potevano averlo il coraggio, perché mentre alzavano la testa qualcuno cercava di rompergliela.

Nel 2013 il diritto dice ancora che la violenza sulle donne è un fatto privato, che la vita di una donna è affidata alla beneficenza, alla carità all’arbitrio di un padrone.

La cultura è cambiata, la politica no e neanche la comunicazione.

La giovane donna albanese ridotta in fin di vita “da un  uomo che difendeva la sua donna”, sua amica, non è solo una delle vittime della furia, ma anche dello sfruttamento della prostituzione, vero focolaio di uccisioni, stupri e ritorsioni sui bambini. Nello schiavismo che prostituisce ci sono capi che ti fanno rimanere viva solo se collabori. Dalle prime indagini sembra che la vittima collaborasse a mantenere nel giro la sua amica, e le sue prospettive sembrano divise nella scelta di una morte piuttosto che un’altra. Quella prostituzione che uccide e fa uccidere è la stessa di cui si servono gli uomini che “non picchierebbero mai una donna”.

 Noi speriamo che Tosca viva, anche se un uomo ha fatto di tutto per “punirla” ed ucciderla, ma pensiamo anche alla sua amica che per uscire dalla schiavitù non ha potuto contare su nessun altro che non fosse un uomo capace di uccidere, massacrare e per il quale rappresenta una proprietà.

Se qualcuno pensa ancora che si tratti di condannare e nominare il femminicidio, sbaglia e sbaglia perché da un’altra parte pensa che siano le vittime a dover avere il coraggio, sbaglia magari anche perché pensa la prostituzione sia il mestiere più antico del mondo, forse solo da legalizzare. Sbaglia perché non vede i legami contraddittori tra le parole che pronuncia  contro l’uccisione di donne e quelle che usa per nominare il loro corpo a pezzi come dal macellaio.

Domani nel piazzale di fronte al Loreto Mare a Napoli ci sarà un sit in alle 18, per Tosca che deve vivere, ma anche per la sua amica perché viva davvero senza protezioni.

UDI di Napoli

Napoli 14 Maggio 2013

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Provocazione e scaldaletto

Rientrare nella materia oscura dopo la piccola pausa festiva è duro, persino doloroso. Perché è dolore per tutte le donne lo stupro, il massacro e la morte della ragazza avvenuta giorni fa in India (non se ne conosce il nome perché la legge indiana vieta la divulgazione per le vittime di stupro).

A poche ore dal funerale si sono avute notizie di altri stupri, quelli approdati ai media, ma centinaia quelli quotidiani subiti nel chiuso delle case, del posto di lavoro, per strada o su un autobus. In India risultano denunciati  circa 24.000 stupri nel 2011, ma l’incidenza reale è sconosciuta e certamente altissima su una popolazione di 1,2 miliardi di persone.

Lo stupro in India è un codice comportamentale maschile legato anche alla concezione per caste della società, e dentro ogni casta la donna occupa la parte più bassa, ma ha soprattutto alla base la concezione planetaria che il corpo della donna è di dominio dell’uomo, gli spetta, uno ius naturale.

Lo stupro si ripete con le stesse modalità e intenzionalità sotto ogni latitudine, in India diventa un codice d’onore diversificato. Da quello domestico per sottomissione della donna, suppellettile di proprietà, a quello di casta, a quello di offesa etnica militare, a quello punitivo per le donne che vestono o hanno modi all’occidentale.

Le donne indiane per quanto possano occidentalizzarsi vestono comunque in lungo, sari o pantaloni, e mussulmane col velo. Ciò nonostante molti stupratori si difendono asserendo che sono stati provocati, unica difesa possibile.

C’entrano poco i centimetri di pelle scoperta, è una cultura.

Una cultura che è possibile sradicare, qui da noi come altrove. Basta provarci, cioè investire in contro-cultura, in programmi educativi e di socializzazione tra i generi, certo più di due, per sconfiggere sullo stesso piano omofobie, stereotipi e rapporto violento. Non servono ergastoli, pene inasprite, censure e divieti da neobigottismo.

Pochi accenni indicativi dello stato sociale delle donne indiane. Il numero di donne rispetto agli uomini sulla popolazione è inferiore per la soppressione delle femmine alla nascita o da piccole (aree rurali più interne e fasce più povere), per evitare la tassa sempre più esosa della dote al futuro marito (pratica tuttavia illegale), causa anche di femminicidio se non riscossa  (donna come costo da rimuovere, Armellini). Lo sfregio sul viso con l’acido può essere la terribile punizione per un rifiuto o insubordinazione (un campionario scioccante su internet). Maltrattamenti e umiliazioni tra le mura domestiche hanno frequenza quotidiana (secondo Amnesty per il 45% delle donne sposate). I movimenti delle donne per contro sono molto attivi per operatività e ricchezza di dibattito. (fonte ISPI

Un rapper indiano, tuttora in hit parade, esalta l’amore violento e di possesso (un suo pezzo è titolato Prostituta), si è visto annullare un concerto il 26 dicembre sull’onda delle proteste dilaganti di donne, ancora in corso.

Ma più di altre, la scena atroce di un fratello che punisce una sorella con una decapitazione pubblica è emblematica di una mentalità. La sorella, riferisce l’Hindustan Times, era fuggita con l’ex fidanzato per sottrarsi alle «torture quotidiane subite nella casa dei famigliari del marito». Il fratello scova i due amanti: «Ha trascinato per i capelli la sorella in strada e l’ha decapitata sotto gli occhi dei passanti. “Avrei ucciso anche l’amante se l’avessi trovato in casa”, ha giurato il 29enne». (AGI). Ma la cosa più terrificante è che percorre alcuni chilometri con la spada in una mano e la testa della sorella nell’altra per andare a costituirsi alla stazione di polizia. Spiega agli agenti di essere stato costretto al gesto «per salvare l’onore della famiglia».

Su questo filo, tre preti che hanno capito poco delle donne.

Uno le vuole ingravidare per vedere l’effetto che fa, uno le striglia perché provocano: il femminicidio se lo sono cercato, uno intervistato sullo stupro in India dice che solo il cristianesimo ha liberato la donna.

E che dire allora degli abusi sessuali su minori, della pedofilia ecclesiastica nelle ombre delle sacrestie? Le bambine e i bambini provocano, vestono in modo provocante? Se lo sono cercato? Fenomeno tutt’altro che trascurabile se l’avvocato Jeff Anderson riesce ad ottenere per i suoi assistiti 30 milioni di dollari di risarcimento dalle diocesi americane, e se alla Corte internazionale dell’Aja è stata tentata una denuncia contro il Vaticano dalle associazioni delle vittime, con un dossier di 20.000 pagine che documentano i reati per violenza sessuale di ecclesiastici nei cinque continenti. L’atto è stato prodotto probabilmente anche per risonanza mediatica, la denuncia è stata ritirata nel febbraio 2012 e il caso archiviato, ma i fatti restano.

E le povere ragazze, dette maggies, delle Magdalene Laundries nella cattolicissima Irlanda? Tutte provocatrici. L’ultima casa-lavanderia fu chiusa nel 1996 (non per ragioni etiche ma per l’arrivo massiccio delle lavatrici elettromeccaniche) dopo 150 anni dall’istituzione. Quasi 30.000 donne vi sono passate, sfruttate e abusate sia da suore che da preti, confessori e direttori spirituali. Sex in a Cold Climate, documentario con interviste dirette, e Magdalene, film di Peter Mullen, ne hanno raccontato le storie. Le denunce risalenti anche fino agli anni ’40 del secolo scorso sono state 3.000, fu istituita una commissione d’inchiesta governativa nel 2000 e nel 2004 suor Breeg O’Neill, superiora dell’ordine che aveva gestito le case Magdalene, chiese scusa pubblicamente: «Senza alcuna riserva e incondizionatamente noi ci scusiamo di fronte a ciascuno di voi per la sofferenza che abbiamo potuto causare. Noi esprimiamo il nostro sincero dolore e domandiamo il vostro perdono». L’associazione Justice for Magdalenes fondata prevalentemente da figlie di quelle donne lotta ancora per il diritto al risarcimento.

magdalene hausesWomen inside one of the original Magdalene laundries, circa 1940s. Photograph: Roz Sinclair/Testimony Films

Se la notizia è inestinguibile e si muovono i tribunali e la storia irreversibile e le risultanze scietifiche inconfutabili, restano le scuse.

Ammettere e riconoscere pubblicamente colpe storiche non è facile per la chiesa cattolica. Una di queste è la concezione della donna ricorrente nei testi teologici e dottrinali, insostenibile alla luce dell’evoluzione storica culturale e scientifica di oggi.

Perché il parroco di S. Terenzo-Lerici, Piero Corsi, fa suo un pessimo editoriale di un web-fogliaccio fondamentalista-integralista misogino e lo espone nella bacheca della sua chiesa? Così tuona:

«Una stampa fanatica e deviata attribuisce all’uomo che non accetterebbe la separazione la spinta alla violenza. Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni. Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici. Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (forma di violenza da condannare e punire con fermezza) spesso le responsabilità sono condivise».

«… Quante volte vediamo ragazze e signore mature circolare per strada con vestiti provocanti e succinti? Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre e nei cinema? Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e poi si arriva alla violenza o abuso sessuale (lo ribadiamo. Roba da mascalzoni). Facciano un sano esame di coscienza: forse questo ce lo siamo cercate anche noi?»

E perché il parroco di Condera-Reggio Calabria, Nuccio Cannizzaro, cerimoniere della Curia e cappellano della polizia municipale, in una intercettazione sui suoi intrighi, e resa pubblica, così si esprime sulle donne? «A noi preti ci dovrebbero autorizzare almeno una volta nella vita a mettere incinta una donna “per vedere l’effetto che fa”, senza sposarla, qualche prete e qualche vescovo lo ha fatto» … «questo religioso è diventato vescovo nonostante le porcate che ha fatto».

Qualcosa come un semplice tiro al pallone per godersi il gol. O piuttosto fa pensare al piromane malato che appiccato l’incendio poi si gode la terribilità dello spettacolo, incurante della tragedia procurata a piante animali case persone. Il corpo femminile in queste parole è inerte, una bambola gonfiabile, senza volto, solo l’apparato riproduttivo come un’escrescenza alien di godimento, ma anche di punizione.

Chi autorizza cosa? Tanta sensibilità e profondità di pensiero in che rapporto sta con la professione teologica?  Lo ius naturale sul corpo delle donne, la cultura planetaria maschile dell’appropriazione, della rapina sessuale tocca anche il profondo ecclesiastico?

Gli stereotipi sociali correnti assorbiti fin dall’infanzia sono corrosivi e indelebili senza un buon lavoro di conoscenza e di consapevolezza. Un prete non ne è esentato. Ed è ovvio che ci sono uomini e preti meravigliosi.

Quanto al paesaggio culturale dove abitano e convivono le figure teologiche e quelle reali, come quella della donna, studiato e vissuto dall’uomo di chiesa se ne può dare un campionario sterminato. E capire come venga da lontano una certa sostanza strutturante. Se ne sono accorte da un po’ anche le donne ecclesiastiche e ne discutono, con voce più forte oltreoceano.

Levitico, 15

19 Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera. 20 Ogni giaciglio sul quale si sarà messa a dormire durante la sua immondezza sarà immondo; ogni mobile sul quale si sarà seduta sarà immondo. 21 Chiunque toccherà il suo giaciglio, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà immondo fino alla sera. 22 Chi toccherà qualunque mobile sul quale essa si sarà seduta, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà immondo fino alla sera. 23 Se l’uomo si trova sul giaciglio o sul mobile mentre essa vi siede, per tale contatto sarà immondo fino alla sera. 24 Se un uomo ha rapporto intimo con essa, l’immondezza di lei lo contamina: egli sarà immondo per sette giorni e ogni giaciglio sul quale si coricherà sarà immondo.

Dunque occorreva scomparire dalla faccia della terra come appestate o lebbrose, colpevoli per danni personali, sociali e all’ambiente. Lo sbigottimento e la paura dell’uomo arcaico davanti all’affioramento misterioso del sangue sul corpo della donna si codifica con l’isolamento e la punizione, poi la riammissione con la purificazione. Una volta al mese la donna fertile è un essere immondo che turba la collettività e contamina tutto.

Paolo riprende e amplia un precetto del Levitico:

«Di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza» (Prima lettera ai Corinzi, XI).

Ecco lo ius naturale di cui deve godere l’uomo, non due persone pari e responsabili ma una dominante e l’altra subordinata come figurante di utilità, servizio, abnegazione. Figurante di piacere o di curiosità riproduttiva: il mettere incinta senza sposarla, per vedere l’effetto che fa. Il corpo nella sua diversità e bellezza goduto per effrazione senza alcuna responsabilità e insieme negato e punito.

In quanto peccatrice per natura (diaboli ianua) e istigatrice al peccato, anzi origine del peccato primordiale la donna è così descritta da Tertulliano, dottore della Chiesa (De cultu feminarum, 1,1):

«Ogni donna dovrebbe camminare come Eva nel lutto e nella penitenza, di modo che con la veste della penitenza essa possa espiare pienamente ciò che le deriva da Eva, l’ignominia, io dico, del primo peccato, e l’odio insito in lei, causa dell’umana perdizione.

“Nel dolore e nella inquietudine partorirai, donna; verso tuo marito sarà il tuo desiderio, ed egli sarà il tuo padrone”. Cita Genesi 3,16, riproponendo l’inizio della rappresentazione femminile biblica, e continua «Tu sei la porta del demonio!…».

Robert L. Wilken  sull’Enciclopedia Britannica indica Tertulliano come «iniziatore della ecclesiastica latina, determinante nel plasmare il vocabolario e il pensiero del cristianesimo occidentale».

La violazione corporale come punizione interiore profonda (non è così anche lo stupro?) che la donna deve accettare, anche ringraziando:

«Allora il sacerdote farà giurare alla donna con un’imprecazione; poi dirà alla donna: Il Signore faccia di te un oggetto di maledizione e di imprecazione in mezzo al tuo popolo, facendoti avvizzire i fianchi e gonfiare il ventre; quest’acqua che porta maledizione ti entri nelle viscere per farti gonfiare il ventre e avvizzire i fianchi! E la donna dirà: Amen, Amen!» (Numeri 5, 21). Era un rituale (offerta della gelosia) cui poteva ricorrere  il marito sospettoso portando la donna davanti al sacerdote: se la donna era pura, la maledizione per quella volta non avrebbe avuto effetto.

Paolo, senza mezzi termini:

«Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto» (Lettera agli Efesini 5, 22).

La donna provoca anche quando sceglie la vita consacrata? Con doppi sai e coperture integrali? Nei conventi?

Scipione de’ Ricci, vescovo di Prato, riferisce nelle sue Memorie (1°, pg 113) vicende del convento di S. Caterina di Pistoia (ultimo sorcio ’700) dove «quasi tutte le monache erano state in vari modi tentate, e non poche anche sedotte, come apparisce dai loro deposti…» la stessa priora del convento Flavia Peraccini in una lettera riferisce che la situazione è estesa a tanti altri conventi più di quanto non si immagini.

Si dirà che erano altri tempi, ma il rapporto di Maria O’Donohue, suora incaricata dalla Congregazione vaticana per la vita consacrata dietro le molte denunce di violenze sessuali in ambienti ecclesiastici, riferisce che “gli abusi sono diffusi” e perfino del caso di un “prete che spinge una suora ad abortire, lei muore e lui celebra ufficialmente la messa requiem” (Repubblica, 20/3/2011). Una perfetta sceneggiatura horror.

Fino agli anni ’50 – ’60 del secolo passato si usavano i bracieri per scaldarsi. Prima di andare a letto poteva essere infilato sotto le coperte posto in un’armatura a castelletto, convessa. Curioso il modo popolare regionale di indicare questo scaldaletto che ormai non si usa più: il monaco, il frate, il prete, la monaca. Altre dizioni e appellativi, proverbi, filastrocche, fiabe, pietanze, che da sempre richiamano frati, preti, monache, con l’arguzia e il malizioso humor popolare forse ci spiegano molto.

 scaldaletto monaco

Un terzo prete, Piero Gheddo, missionario, scrive per l’Avvenire, Famiglia Cristiana, in un’intervista sugli stupri indiani con una certa deformazione professionale afferma che solo il cristianesimo ha liberato la donna.

«Le femministe dovrebbero ricordarsi del fatto che il cristianesimo ha portato il riscatto della donna molto prima del movimento delle suffragette. Gesù è stato il primo ad affermare l’uguaglianza delle donne dando loro l’opportunità di conoscere i loro diritti, 19 secoli prima del femminismo che risale solo ai primi del novecento».

Padre Gheddo però avanza subito delle riserve:

«In molte attaccano la Chiesa perché non permette il sacerdozio alle donne, ma questo è un altro problema: il fatto che la donna abbia gli stessi diritti dell’uomo non significa che debba fare tutto, in quanto fa ciò per cui è stata creata da Dio…».

La visione modernista della gerarchia riconosce cioè pieni diritti tra uomo e donna, ma con riserva. Altre riserve per persone che di fatto formano generi: gay, lesbiche, transgender…

L’assunto dottrinale del subordine femminile nelle gerarchie ecclesiastiche è perpetuato oggi con strumenti moderni, non più per fortuna via tortura, inquisizione e rogo (l’ultima strega fu arsa in Italia intorno ai primi dell’ottocento), ma per esempio tramite commissariamento delle suore americane impertinenti, con supervisione della gerarchia maschile.

La Leadership Conference of Women Religious (LCWR) è un’organizzazione che accoglie le 1.500 madri superiore degli ordini religiosi americani  cui fa capo la gran parte delle 60-70.000 religiose. Ha espresso una grande vivacità operativa e culturale per aver innescato intensi dibattiti su come coniugare religione e contemporaneità e per aver fatto emergere la soggettività della componente femminile nello sfondo del magistero ecclesiale. Temi come l’ordinazione sacerdotale femminile e la disponibilità pastorale verso l’omosessualità sono quelli che più hanno disturbato la gerarchia, e poi i temi bioetici, la pena di morte, non ultimo il sostegno alla riforma sanitaria dato a Barak Obama.

W. J. Levada, cardinale statunitense, successore di Ratzinger  come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio) condusse un’inchiesta sulla LCWR da cui emersero “seri problemi dottrinali”: vi  sono raccolti comportamenti e affermazioni pubbliche che «sfidano i vescovi autentici maestri della Chiesa, della fede e della morale … temi da femministe radicali incompatibili con la dottrina cattolica». Un arcivescovo è stato preposto a seguire e supervisionare l’operato ed è stato istituito un progetto di riforma della stessa LCWR. Per contro le religiose si sono definite «sbalordite dalle conclusioni della valutazione dottrinale» e dalla poca trasparenza del procedimento. In conclusione ad agosto 2012 nell’udienza consuntiva con 900 delegate presenti ha vinto la diplomazia nel senso del dialogo, pur vigilato dalla gerarchia. Una frattura scismatica di 60-70mila donne religiose accusate di radical feminism, con tutto il loro seguito, oggi sarebbe molto temibile.

Il termine femminismo ricorre spesso come accusa virale nei media di massa come classifica negativa di pensiero e operato femminile ribelle, provocatorio, eversivo. E’ dunque incluso anche tra le riserve confessionali delle categorie dell’essere donna…

Cosa sia femminismo vivo e costruttivo si può vedere dal brano riportato più avanti. Qualcosa per cui ogni donna può comunicare, creare, lavorare per se stessa e per le altre con l’obiettivo di opporsi ad una condizione collettiva subita di sopruso, sfruttamento, privazione.

«Una singolare forma di ribellione al femminile si è verificata in questi anni proprio nelle zone rurali dell’India, dove più arretrate sono le condizioni di vita e minori le speranze delle donne di “emanciparsi”, di sfuggire al loro destino di oggetti di proprietà del marito. Nello Stato settentrionale dell’ Haryana è iniziata una campagna intitolata: “No WC, No Bride”: molte giovani donne  si sono rifiutate di sposarsi  a meno che il pretendente non fornisse la loro  futura casa di un bagno. Stufe di utilizzare servizi igienici comuni, di accovacciarsi nei campi, e di soffrire per infezioni genitali divenute spesso croniche a causa della carenza d’igiene personale,  queste donne hanno dato voce al loro disagio utilizzando l’unica arma a loro disposizione: la loro verginità, il loro essere donne e mogli…(Silvia Carena).

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UDI Catania parte civile

Unione Donne in Italia. UDI Catania

Tre mesi fa a Enna Vanessa Scialfa, 20 anni, veniva assassinata e il suo corpo buttato in un burrone dal suo convivente. Questo femminicidio, l’ennesimo di una serie troppo lunga, ha colpito profondamente la comunità in cui Vanessa viveva e da subito si sono mobilitate le donne della città, dell’UDI e l’Amministrazione Comunale. E’ partita una riflessione comune: a partire dalle donne tutti devono fare i conti e contrastare la violenza di genere; l’Amministrazione comunale in questo caso ha voluto segnare la sua presenza, un suo specifico impegno per schierare le istituzioni a fianco della lotta delle donne, a sostegno di pratiche che concretamente contrastino la violenza.

L’UDI di Catania ha deciso di sperimentare, a partire da Enna, un laboratorio politico che individui modalità e azioni concrete da replicare nelle città macchiate di femminicidio.

La prima iniziativa è la giornata di Studio organizzata dall’Amministrazione comunale con il supporto dell’UDI e patrocinio dell’Ordine degli Avvocati di Enna:

Violenza sulle donne: il dramma invisibile

25 giugno, alle ore 16

Tribunale di Enna, Aula Falcone Borsellino

Sono state invitate le autorità locali, la Regione e l’Università. Avranno la parola le donne delle associazioni locali. L’obiettivo della giornata è quello di impostare il lavoro di medio/lungo periodo che da ottobre partirà sul territorio, rivolto soprattutto alle scuole e ai giovani, che privilegerà l’aspetto della formazione, della lotta contro gli stereotipi e i modelli comportamentali che non rispettano il valore della diversità di genere e della dignità delle donne, e della realizzazione di strutture e competenze al servizio delle vittime.

Il “dramma invisibile” della violenza sulle donne viene portato alla luce, esplode in tutta la sua drammaticità, mostra i volti delle ragazze, delle donne che subiscono le violenze: nessuna si deve sentire sola.

L’UDI di Catania annuncerà la sua costituzione di parte civile nel processo contro l’assassino di Vanessa.

Unione Donne in Italia. UDI Catania

Le Responsabili di sede

Giovanna Crivelli – Adriana Laudani

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Enza Cappuccio, 33 anni

Uccisa a Marano di Napoli, 16/01/2012


Strangolata dal marito, cui è stato fornito un tentativo di alibi dalla piena collaborazione della famiglia.
Enza è giunta cadavere al Cardarelli di Napoli, con la messa in scena di un tentativo di soccorso.
Enza era cieca, aveva sei figli, soprattutto aveva solo 33 anni, tutti di maltrattamenti e sofferenze.
Nessuno si è accorto prima, nessuno poteva denunciare grazie ad un legge che demanda alla querela il perseguimento di un reato contro la persona.
Forse Enza avrebbe voluto, ma era materialmente cieca: la sua morte è il solito epilogo (l’ottavo in famiglia, e il decimo femminicidio tra i casi “riportati” dalla stampa nella prima metà del gennaio 2012), in un paese che ancora considera un’ opinione il male fatto alle donne. Enza era cieca davvero, ma molte donne continuano ad essere accecate dalla promessa di altre percosse, ammutolite dall’irrisione e dal ricatto dell’indigenza. Sono accecate non da se stesse ma dalla mancanza di sostegno, tacciono sperando di cavarsela di nuovo, e considerare il male meglio del peggio che si prospetta, in un paese che le vuole comunque a casa. Le botte e gli stupri sono il preludio alla morte, ma in qualche modo appaiono come un’alternativa.. Anche chi sta per essere rapinato tace sperando di scamparla. Ma in quel caso chi altro vede e non interviene, anche per la legge e non solo umanamente, commette un reato.
Nessuno nega più, a parole, la diretta responsabilità della politica nel reiterarsi del crimine che in assoluto uccide ed invalida le donne più di ogni malattia. Ormai nessuno più sostine, a parole, il carattere privato dei delitti come quello dell’uccisione di Enza.
Nei fatti, invece, il femminicidio è ancora trattato come un delitto di scarsa pericolosità sociale, come un elemento fisiologico inevitabile nei rapporti umani, come un incidente o una colpa della vittima. È vero finchè le cose stanno così, con nessun contrasto efficace, con la delega completa alla discrezionalità dei capi famiglia, con nessuna attenzione all’occupazione femminile, con lo sbandieramento di immagini femminili inventate e denigratorie, il femminicidio sarà normale ed inevitabile per lo Stato. Per noi, invece, ogni vita di donna persa è un universo stappato al futuro e all’armonia della convivenza possibile.
Dire basta è ormai retorica, non lo facciamo più noi femministe, smetta di dirlo qualche parlamentare o ministro e faccia piuttosto quel qualcosa che indichiamo da anni.
Il potere politico, anche al minimo storico del suo prestigio, è quello chiamato a fare gesti concreti: dai comuini fino al Governo centrale. Noi non aspettiamo, le nostre reti fanno già più del possibile, ma pretendiamo la nostra parte di cittadinanza, libere dai ricatti e dalle leggi mal fatte tese a zittire noi tutte e a farci sentire la sopravvivenza come un dono.
Le donne dell’UDI di Napoli
N.B.-Il TG Regionale della Campania, prima di parlare della vittima, ha parlato del degrado nel quale viveva. Alla facile retorica giornalistica opponiamo la nostra “cronaca vera”: il benesse come il degrado possono essere parte dei diversi contesti dei delitti, ma la costante del femminicidio è quella degli autori. Gli assassini sono tutti uomini che nel commettere il delitto sono certi di essere padroni della vita delle donne.


Ilaria Palummieri 21 anni, uccisa a Milano dall’ex fidanzato a Luglio 2011, era un’allieva modello
Annunziata Romeo, 66 anni, uccisa materialmente dal figlio(che aveva un decreto di allontanamento dalla madre) con l’aiuto del padre il 22 Luglio 2011, era una normale anziana pensionata
Grazyna Tarkowska, 40 anni uccisa il 9 dicembre 2011 dal marito, era una donna normale
Antonella Riotino,20 anni, uccisa dal fidanzato a Putignano il 5 Gennaio, era una donna con un dignitoso tenore di vita
Stefania Mighali, uccisa il 12 gennaio a coltellate dal marito, che ha poi incendiato l’appartamento sterminando l’intera famiglia, viveva in un ambiente normale
S
iharna, 18 ann e uccisa il 13 gennaio, voleva costruirsi un futuro in Italia.

Ci fermiamo qui e le prime storie del 2012, di cui sappiamo, sono di più, e sono certamente di più quelle che non conosciamo e quelle che ancora si stanno preparando nel silenzio del ricatto e nella disperazione della mancanza di sostegno e prospettive.

UDI di Napoli, 16 Gennaio 2012

*** 

I militari ritengono che l’omicidio sia maturato in un ambiente di profondo degrado sociale. La frase tratta da uno degli infiniti articoli farebbe intendere che se non ci fosse stato il degrado il delitto non sarebbe avvenuto. A parte che di femminicidio si tratta e non di omicidio. Batti e ribatti il termine femminicidio deve entrare nell’uso comune tanto per chiamare le cose in modo appropriato. Ma soprattutto per la consapevolezza che è la mostruosità di un modo di pensare e di un comportamento. Non occorrono complicate statistiche per rendersi conto che anche in ambienti con ottime condizioni sociali le donne vengono ammazzate. Siamo tristemente costrette a ripetere all’infinito che è un costume, una cultura tipica che si trasmette e crea uomini che reputano proprietà privata il corpo e i sentimenti delle donne. La stragrande maggioranza del giornalismo continua a rimanere ottusamente ancorato allo stereotipato fraseggio delle vecchie veline della cronaca nera, ignorando che se ogni due giorni e mezzo viene uccisa una donna qualcosa di enorme lo produce. Se ogni due giorni e mezzo venisse ucciso un benzinaio o un direttore di banca o un fornaio, l’allarme sociale sarebbe altissimo. Ma per una donna no.

Bollettino di guerra e Femminismo a sud possono essere ben definiti un osservatorio instancabile nel monitoraggio del feroce susseguirsi del femminicidio.

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Dimissioni Sacconi

               

E’ passato qualche giorno dalla triste, infelice, barzelletta sulle donne-suore violentate meno una, detta da Sacconi, ministro della Repubblica, quello dei bastardi anni 70, chi è quel cretino che mi dà del fascista.

Doveva essere un argomento tecnico per giustificare i rappezzi della finanziaria.

Ma su, era solo ironia!

Ironia sulle donne-suore stuprate? Nel senso che a tutte è piaciuto, meno una che ha detto no e quindi è stata rispettata.

Senza parole, con un tuffo al cuore.

Ad oggi nel 2011 le vittime donne  sono 101, una ogni 2,47 giorni. La violenza sulle donne, che culmina nel femmicidio (suore o meno è ininfluente), è una cosa troppo seria, troppo grave per poter tollerare una qualsiasi frivola battuta sull’argomento. Ma qui non è soltanto questione di frivolezza, vi è l’abstract di una scuola di pensiero ben impartita e imparata che si è fatta sistema di governo e di affari con transazioni di corpi femminili. Ostentata, difesa ad oltranza dai giullari di corte, fatta passare per normalità perché l’italiano è così.

A partire da una iniziativa di Monica Lanfranco, le donne di puntoG 2011 propongono una mail bomging all’indirizzo di Sacconi:

segreteriaMinistroSacconi@lavoro.gov.it

con il seguente testo o personale:

CHIEDIAMO A GRAN VOCE E SENZA APPELLO NE’ SCUSE LE DIMISSIONI DI SACCONI DA UN MINISTERO DOVE NON CI RAPPRESENTA COME DONNE E COME LAVORATRICI.

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Magalli, il delitto dell’Olgiata e quei poveri uomini


” Io penso anche a quei poveri uomini, che lasciati dalla donna che amavano disperatamente cercano il chiarimento non per ammazzarla, ma per ricucire un rapporto e magari si sentono dire ‘io ti ho sempre tradito, perché tu sei uno scemo, impotente e mi fai schifo e in quel momento perdono la brocca e l’ammazzano. E vabbè, che gli vuoi di’? […] esiste l’attenuante della provocazione… tante volte questo crinale si supera non perché uno è cattivo, ma perché te ce portano e quindi poi quello paga il suo debito, per carità… lo paga… però…”

(trasmissione Se… a casa di Paola – trascritto da Lorenza Valentini qui e qui)

In questa circostanza ci sarebbe piaciuto che fosse stato preciso e informato e non smussone e bonario-piacione. Anzi di più, evasore di conoscenza.  Conosce le statistiche delle uccisioni di donne? Altissime. Una ogni tre giorni. E non si dica che c’è un complotto di donne per far saltare la brocca agli uomini in Italia e nel mondo. Non sarà che se la passano e te ce portano…  Il 75% delle violenze sulle donne avvengono in famiglia, in Italia. La Svezia sta ai primi posti in Europa per stupro. Ciudad Juarez cos’è? Essere sfigurate con l’acido cos’è?  Il fenomeno della violenza sulle donne è mondiale. E’ un filo rosso che ci lega ancora alle culture arcaiche della gerarchia, del capo, del patriarca, del clan.

Per dire soltanto una frase appropriata e competente su un problema grave occorrerebbe aver già percorso una vita.

Nel conflitto tante ne dice lui e tante sicuramente ne dice lei. E se tradisce lei non è detto che non abbia già tradito lui.

E allora si potrebbe dire di quelle povere donne umiliate e fracassate di botte durante tutta una vita, assoggettate ad un uomo-padre-marito-amante-fratello che esercita un padronato. Forse decidono di dire basta o di denunciare. Il massimo dell’affronto per un capo. Ed ecco la soluzione finale: allora non sarai di nessuno! La soluzione finale è tipica sia del capo, che punisce definitivamente chi ha osato, sia del fragile, del debole, che dalla povertà o impossibilità di relazione sbalza e si sublima nello strumento ultimo e definitivo della soppressione.

Amore e odio. Il fattore molesto della civiltà. E’ fresco di stampa e di Lea Melandri.

Lo legga signor Magalli, per piacere.

Ha già chiesto scusa, ma, sa, purtoppo oggi a rovescio scripta volant, verba manent.

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Fiaccolate separate in casa e mulino bianco

 

Non abbiamo avuto nemmeno il tempo di una pausa di silenzio dopo l’ultimo shock dello strangolamento e dell’abuso post mortem di Sarah Scazzi che un altro femminicidio ci obbliga alla stessa fatica di Sisifo.  A spingere in salita questo pesantissimo masso, delle riflessioni, delle fiaccolate, delle parole, della rabbia al vento.

Passano venti quattro-quarant’otto ore, a volte solo un’ora, cinque minuti, e il masso ci rotola addosso, ci travolge, torna di nuovo in fondo dove sono gli altri massi degli stereotipi, dell’indifferenza, della sprovvedutezza, della disattenzione colpevole, della malafede culturale. Nei confronti delle donne.

E’ certo che se lo sdegno rimane isolato, se resta su facebook, tra le amiche, su un testo, produce poco. La prospettiva di lotta è durissima per cambiare una mentalità, quel fondo torbido e melmoso dove le donne che ci capitano affondano senza scampo e senza aiuto.

La mentalità della proprietà maschile del corpo della donna. Il possesso esclusivo  dei suoi affetti.

Occorre crearsi una motivazione profonda della necessità della lotta (termine che in fondo non ci piace), del lavoro intenso che ci aspetta per incidere nella società che ruba i nostri corpi e le nostre immagini e non ci rispetta. Ci è contro nella sostanza e nei fatti.

Non c’è lotta o lavoro che possa avere un risultato allargato se non vi è unione, associazione. La miriade di associazioni femminili resta frammentata, forse soffre anche di una sorta di campanilismo, nella prospettiva velleitaria di dire la parola nuova e diversa. Poco o nulla c’è da dire di nuovo, bisogna unirsi, entrare nella cosa pubblica e amministrare, incidere nella comunicazione, ampliare le consapevolezze. 

 

Petronilla Sanfilippo è l’ultima, ma non l’ultima. A chi toccherà nelle prossime ore? 

Una relazione burrascosa – l’uomo, tossicodipendente e senza lavoro, ha sfondato il cranio della donna nella sua stanza da letto. Un omicidio d’impeto, secondo il colonnello Roberto Fabiani, del Gruppo carabinieri Monza, titolare dell’indagine” (Corriere, 7/10/2010).

Le indagini si sono concentrate da subito su quel compagno difficile, la scena del delitto lasciava pochi dubbi: quasi una firma per un delitto passionale, non premeditato, frutto di un’esplosione di ira furiosa,  aggravata dall’improvvisa irreperibilità del disoccupato  (Repubblica-Milano, 7/10/2010).

Coltellate al fianco e il cranio fracassato dal ferro da stiro in camera da letto. Un simbolo beffardo il ferro da stiro, si direbbe pensato con estrema perfidia dalla casualità se non dallo stesso femminicida. E il luogo, la camera da letto dice più di una trattazione sistematica.

Un serial killer virtuale sceglie i luoghi, le donne, le situazioni. Non è il raptus, diamine! E’ una forma di educazione, un comportamento appreso, un modo di conoscere, un modo “tipico” di percepire l’altro sesso con egocentrismo.

Ancora il cronista e l’ufficiale usano il linguaggio di rito del mattinale di nera. Il delitto è omicidio, non viene avvertita l’esigenza almeno di adeguare il termine. Delitto passionale, non premeditatoira furiosa … Il delitto passionale fa pensare che, poverino, voleva troppo bene e non ricambiato, poi a un certo punto non ha capito più niente… ed è successo …! Tossicodipendente e disoccupato. Insomma attenuanti formali.

 

Lo zio di Sarah adesso è mostro. Il profilo dato da conoscenti e amici è quello che prevale: nessuno avrebbe mai sospettato (sugli insospettabili1/2 vedi post 11 agosto), normalissimo lavoratore, brava persona dalla mattina alla sera in campagna … 

Secondo l’ufficiale, «il profilo psicologico di chi compie un delitto d’impeto è compatibile con quello di un soggetto che poi simula il ritrovamento casuale del cellulare della vittima e che sa gestire lo stress».

Adesso viene descritto l’orco, il mostro, con grande dovizia di particolari, ma senza un minimo di chiave di lettura né criminologica ne sociologica. Se avvengono delle rapine con determinate modalità ricorrenti in tutto il territorio nazionale, anche il meno dotato degli appuntati capisce che è la stessa banda. Per una così violenta mattanza che ha per soggetto le donne da nord a sud, per restare in casa, non si riescono a indicare cause e affrontarle a livello istituzionale. E mica possiamo mettere un carabiniere in ogni famiglia, qualcuno direbbe …

Salvo se l’omicida, pardon, il femminicida non sia pakistano. Allora la ministra delle Pari Opportunità  con grande clamore dice di costituirsi parte civile e che non verranno tollerati usi e costumi contrari alle leggi italiane e quindi chi non si integra va buttato fuori dall’Italia.

 “Chi compie violenze e abusi contro le donne, chi addirittura pensa di disporre della loro vita, non può e non deve trovare accoglienza nel nostro Paese”  ritorcendo il problema sull’etnia. Sul suo sito grondano le approvazioni, non saremo tanto ingenue da cercarvi voci critiche.

 Ma il grosso dei violenti sta in Italia, come la mettiamo …  Anche i liceali che svolgono il temino di attualità sulla violenza alle donne sanno che le violenze per il 70-70-70-70-70-70-70% (non è errore di tasto) si svolgono in famiglia. Sono i buoni padri, fidanzati, mariti, conviventi, nonni, fratelli, figli, gli zii grandi faticatori. Lo zio di Sarah non è un lampo a ciel sereno, proviene da un cielo perennemente gonfio di tempesta.

Se non vi va di chiamarli femminicidi, fatevi almeno la domanda elementare: ma che cos’è questa catena quasi giornaliera di morte ammazzate? Uno straccio di chiave topografica-criminologica-sociologica dovrà pure esistere da qualche parte …

 

Così oggi 8 ottobre, fiaccolata indetta dalle Istituzioni a Novi di Modena promossa dall’Unione dei Comuni delle Terre d’Argine per l‘uccisione di Bègm Shnez a colpi di pietra.

Domani 9 ottobre fiaccolata di Donne a Novi, indetta fin dalle prime ore dopo l’uccisione di Bègm da un’altra Unione: delle Donne in Italia. Due fiaccolate separate in casa. UDI Novi, Carpi, Modena, UDI Nazionale, scrivono alla Sindaca con rammarico … ci saremmo aspettate dalle istituzioni sostegno e riconoscimentoLa Commissione Pari Opportunità dell’Ente, poi, trova più naturale stare con gli enti locali che con le donne … 

Mi meraviglio e mi rammarico del fatto che, anziché trovare un accordo con le Donne dell’UDI, che già avevano organizzato una fiaccolata, abbiate voluto farne il doppione il giorno prima. Che senso ha? Scrive Ernestina Galimberti dell’UDI di Cernusco alla sindaca di Novi.

E Stefania Cantatore, UDI Napoli: Mi rendo conto leggendo, l’uno e l’altro comunicato, che se la proposta “estetica” è la stessa, le motivazioni sono differenti, quindi assolutamente non concorrenti.

La fiaccolata dell’8 è per l’integrazione, mentre quella del 9 è contro il femminicidio

Se potrà, io l’aspetterò a Novi, che non è la mia città ma è più che mai il mio Paese.

 

Un comunicato stampa del CIF, Centro Italiano Femminile, della Presidenza di Roma e diramato da CIF Carpi (6/10/2010) gronda un fraseggio maldestro che spiace definire razzista:

Immigrazione: un SOS per la questione femminile   

 “E’ davvero inaccettabile che si possano giustificare comportamenti violenti nei confronti delle donne perché espressione di usi e costumi dei paesi dai quali si proviene, usi e costumi comunque primitivi e violenti. Chi vive in Italia ha l’obbligo di rispettare la nostra Carta Costituzionale, posta a fondamento della convivenza civile.

Segue apprezzamento alla  ministra Carfagna per la volontà di costituirsi parte civile contro l’uccisore marito di Bègm Shnez. E siccome il problema è solo di barbarie etnica il comunicato suggerisce il farmaco:

… auspica in tal senso una campagna di promozione culturale e sociale a favore delle comunità di immigrati: spot televisivi, corsi nelle scuole, corsi di formazione da svolgersi anche nei posti di lavoro e indirizzati a tutti, donne e uomini immigrati …

La chiusa:

… ripropone con forza modelli  culturali e familiari, basati sull’educazione e sulla reciprocità di coppia.

Un grande passo avanti sulla conoscenza del problema, per il resto ci pensa già il Mulino bianco.

Il popolo di Facebook intanto si esprime.

Due gruppi maschilisti misogini americani sono stati prontamente rimossi dalla polizia postale di Catania: “Michele Misseri e’ un eroe” e “Fans di Michele Misseri”, chiedevano “giustizia per questo povero uomo…” invitando a “non difendere la mocciosa”, perché, scrivevano, Michele Misseri “ha fatto la cosa giusta”. (Italiainformazioni.com – 105348 )

E un pensiero di Alyssa sulla povera Sarah raccolto su  fb :

Sei morta in un modo bruttissimo, nn dovrebbe accadere a nessuno. per questi bastardi ke stanno in giro nn basta stare attenti agli estranei ora anche hai parenti. cmq addio ora sarai in pace“.

Bisogna informare Alyssa: ai parenti molto di più che agli estranei.   

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In ricordo di Teresa Buonocore e Bègm Shnez

 Portici, 2 ottobre, ore 18,30

Il lupo, cappuccetto rosso lo incontra nel bosco, ma le bambine lo possono incontrare tra i propri cari, sul pianerottolo di casa, un pomeriggio nella casa dell’amichetta accanto… Non soltanto le bambine, è chiaro.

Teresa vive nelle nostre menti e nei nostri comportamenti, e vivrà nel ricordo come una madre che con coraggio civile ha denunciato il molestatore di una delle sue figlie, otto anni.

La sua esecuzione per commissione alla manovalanza criminale non può avere l’effetto di impaurire, ma al contrario quello di rafforzarci nella determinazione di approdare ad una società più giusta.

Questo femminicidio non nasce nella povertà e nell’ignoranza, ma nella media borghesia che ha studiato. L’ipocrisia del buon nome vale più della vita di due bambine e della loro madre. E la punizione mortale è pur sempre inflitta a quel soggetto ultimo, in questo caso una donna, che non conta nulla nell’insieme della retorica di potere/rappresentanza e che osa ribellarsi frantumando le stratificazioni omertose consuete.

A Portici l’UDI di Napoli organizza una fiaccolata con moltissime adesioni, quasi tutta la cittadina e cinquemila fiaccole salutano Teresa. L’UDI di Reggio è virtualmente presente con la sua.

Una fiaccola anche in Campidoglio a Roma. Le donne dell’UDI sfilano in contemporanea a Bologna e Polignano a Mare.  Moltissime le adesioni da tutta Italia.

 

 

***

Bègm Shnez

9 ottobre 2010 –  A Novi per Bègm ancora fiaccole parole rabbia

Chiediamo all’UDI di Novi di considerarci presenti e di accendere una fiaccola  per noi.

A Novi un’altra donna uccisa, Bègm Shnez, madre che difende la figlia.

Il rifiuto di una frequentazione in funzione del matrimonio imposto scatena l’aggressione dei maschi di famiglia: il fratello riduce in coma la  sorella Nosheen, studentessa di vent’anni, il padre uccide la moglie Bègm protesa a difendere la figlia.

Non può non venire in mente il caso di Hiina ragazza pakistana uccisa a Brescia parché legata ad un ragazzo non scelto dal capofamiglia (la Staffetta UDI contro la violenza sulle donne si concluse proprio per questo a Brescia).

Nel caso dell’uccisione di Hiina vi è l’appoggio e la giustificazione della madre, nel caso di  Nosheen la madre si oppone e difende la figlia pagando con la vita.

Bègm e Teresa e tante altre, straniere o no, ingrossano il bollettino di guerra giornaliero delle vittime per un riscatto di dignità femminile. Non possono essere visti come scontati casi di cronaca nera. Vanno invece articolati ogni volta nel loro contesto. E il contesto non piace perché è riferibile sempre alla supremazia maschile planetaria, alla stratificazione nel profondo maschile del senso di proprietà fisica dell’altro genere.

Da informazioni UDInaz.  sappiamo: 

“L’8 marzo di quest’anno le donne di Novi, tra cui alcune dell’UDI, sono andate ad invitare le famiglie di stranieri residenti nel loro paese ad un pranzo multiculturale, organizzato dal Comune, pranzo preparato da una pakistana, una cinese, una marocchina e un’italiana.

Quando hanno bussato alla casa di Begm Shnez per invitare tutti, anche gli uomini, il marito avrebbe  detto: Signora non si avvicini mai più alla mia casa perché noi le ragazze e le donne le teniamo in casa. “

Ahmad Ejaz, direttore a Roma della rivista in lingua urdu “Azad” (Libertà) -.” Non c’entra l’Islam, questi comportamenti dei capifamiglia affondano le radici nel sistema delle caste chiuse indiane, in un mondo rurale in cui far sposare la figlia al primo cugino significa preservare la proprietà delle terre“. (Repubblica, 4 ottobre 2010).

E’ la conferma del concetto arcaico di proprietà della donna come bene materiale assimilato a quello delle mandrie, degli animali domestici, delle terre possedute, dell’acqua e delle vettovaglie. Una realtà amara che affonda nella notte dei tempi. La donna era, è proprietà. Nella società più “evoluta” questa realtà sembra scomparsa, ma osservando comportamenti, statistiche, forme di comunicazione, mondo del lavoro, se ne scopre il residuo vivo anche negli ambienti più benevoli, un residuo denso, al fondo di una botte che si vede solo svuotandola.

I matrimoni combinati, certo per ragioni di convenienza materiale, sono stati attuati in Italia fino agli anni ’70. Se ne occupavano il mezzano o l’ambasciatore, diversamente chiamati in questa o quella regione. La verginità costituiva trofeo e motivo d’onore nel senso del primo possesso del corpo della donna e del possesso a vita. Solo nel 1981 fu abrogata la normativa sul delitto detto d’onore: tre anni era il minimo della pena. In Italia. Dunque di cosa parliamo? 

Occorre considerare il femminicidio un grave problema culturale da affrontare alle radici. Prima di tutto a scuola e nell’ambito della comunicazione pubblica. Altro che profusione e spreco di simboli per tronfiezze e vanità pseudoetniche o infiltrazioni di cultura paramilitare per essere “allenati alla vita“… A scuola.

In un paese dove vengono ammazzate almeno due donne alla settimana e senza elencare le loro altre pene da vive, la soluzione educativa per affrontare la vita è infiltrare la scuola con la cultura paramilitare! La furberia spiega che così si educano i ragazzi ai valori, anzi è il vero antidoto al bullismo crescente recita il protocollo tra Ministero Pubblica Istruzione e Ministero Difesa.

Basterebbe ricordare che nel cuore della cultura militare, dove i giovani la vivono e la praticano cioè nell’esercito, vive il padre sempre giovane (al contrario del nome) di tutti i bullismi chiamato nonnismo. Chi non ricorda la morte del parà Scieri? La scuola della prepotenza del più forte verso il più debole o l’inferiore. Chi ha l’arma in mano è dentro l’apoteosi del più forte. Un micro modello metaforico da rivivere poi in società e in famiglia.

I ragazzi devono confrontarsi e socializzare? Ma a scuola sono già nella migliore condizione di socializzazione ragazzi e ragazze attraverso lo scambio dei saperi e delle abilità inventive e espressive. Resta troppo mal coperto il ricordo nostalgico dello stato etico, dello scontro come culto, mascherato da pratica sportiva. Pattuglie, tiro con l’arco e con la pistola, giocare a colpire.

Fare la guerra come gioco o il gioco della guerra a scuola (gioco atavico dei maschi) toglie terreno a quella cultura delle relazioni che vuol vedere la società più equilibrata, e dal punto di vista anche femminile. Serve a far accettare le missioni così dette di pace che saranno sempre più permanenti in difesa degli interessi strategici e delle risorse prelevate altrove. Alle donne, alle donne madri l’immaginario della guerra e del colpire non piace.

E ancora.

Su tutte le reti del monolocale TV con una frequenza ossessiva si succedono scene di terrore e di violenza, in qualsiasi serial proveniente da oltreoceano, in qualsiasi fiction nostrana, perfino nei magazin culturali dove si ricostruiscono accuratamente grandi battaglie e torture. Questa enorme olografia del crimine e dell’offesa ai corpi trasmessa in ogni casa, quotidianamente, anche se è la storia dell’uomo, forma quella psicologia della soluzione finale che non è escluso si possa scatenare al sorgere di un qualsiasi conflitto interpersonale.

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Esecuzioni

Riceviamo da UDI Monteverde e immettiamo. 

LE DONNE FANNO STORIA

Vi trasmetto il comunicato che abbiamo inviato oggi.

Saremo presenti anche al sit-in davanti all’Ambasciata iraniana, alle ore 16.30, via Nomentana 363, con il nostro STOP FEMMINICIDIO. Carla Cantatore

 

Sakineh

Condannata a morte Carla Bruni, definita la “ PROSTITUTA ITALIANA” che ha scritto nella lettera a Sakineh «Versare il tuo sangue, privare i tuoi figli di una madre? Perché? Perché hai vissuto, perché hai amato, perché sei una donna, un’iraniana? Ogni parte di me rifiuta di accettare questo».

NO non accettiamo, SI’siamo tutte prostitute.

L’opinione pubblica internazionale si mobilita per salvare la vita a Sakineh Mohammadi-Ashtiani.
L’Italia espone la gigantografia di Sakineh sul Palazzo del Ministero delle Pari Opportunità

Da ogni parte si stanno moltiplicando petizioni e richieste ufficiali a Teheran per salvarla.

La Francia esorta l’Ue a minacciare sanzioni contro l’Iran se Sakineh verrà lapidata, e chiede all’Alto rappresentante dell’Unione Europea Catherine Ashton, che venga inviato un messaggio comune dai 27 Paesi Ue all’Iran per salvare la donna. Stati Uniti e il Brasile, le hanno offerto asilo per tentare di salvarle la vita.

Salvarla, sì il minimo, per quale vita però? Sakineh è stata condannata nel 2006. La pena è stata confermata nel 2007 dalla Corte Suprema iraniana. Sakineh afferma di essere stata costretta a confessare, e frustata, secondo la denuncia di Amnesty International.  Oggi otto donne e tre uomini si trovano attualmente nei bracci della morte del paese, in attesa della lapidazione. La lapidazione resta in vigore, in diversi paesi o regioni, tra cui, oltre all’Iran, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, la Nigeria, il Pakistan, il Sudan e lo Yemen. La lapidazione può anche essere introdotta come è successo in Indonesia nel 2009.

Le pietre non devono essere così grandi da far morire, in questo caso la condannata, lanciandone solo una o due, ma non devono nemmeno essere così piccole da non essere pietre.

Chi scaglia le pietre dunque avrà diritto a tutto il tempo necessario a scegliere la pietra “giusta” per far soffrire tanto e a lungo.

Secondo Amnesty le lapidazioni vengono eseguite anche da attori non statali.

Anche da noi avvengono  esecuzioni private, poiché questo è il femminicidio, esecuzione capitale senza processo, per mano di uomini, per capriccio, in casa o in macchina preferibilmente, per infliggere sofferenza e guardarle.

Dolori d’amore? Tradizione culturale? Atto di fede?

 

STOP FEMMINICIDIO

Il FEMMINICIDIO è la summa teologica delle tante violazioni dei diritti universali dell’umanità, che ovunque alle donne capita di subire.

L’ONU si assume la responsabilità di definire lo stupro crimine di guerra?  E il FEMMINICIDIO?

La dimensione di genere, che nella violazione di questi diritti è da considerarsi cruciale, deve essere considerata punto cardine dei diritti universali dell’umanità.

Nel 2008 il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato all’unanimità la risoluzione 1820 che definisce lo stupro un’arma di guerra, “un crimine di guerra” e “contro l’umanità“. Si impone “l’immediata e completa cessazione” di “tutti gli atti di violenza sessuale contro i civili” e “l’adozione immediata di misure per proteggere i civili, comprese donne e bambine, da tutte le forme di violenza sessuale“.

Ora occorre una analoga risoluzione circa esecuzioni capitali e torture di ogni tipo alle quali vengano sottoposte le donne in quanto tali, sia in condizioni di evidente conflitto bellico, sia in condizione presunte di pace.

Poiché la pace deve valere per tutti, donne e uomini, negli eserciti come nelle case.

Poiché non si potrà più affannarsi per il raggiungimento di un empowerment femminile nascondendo alla vista e alle coscienze il grave pericolo di morte che incombe sulle donne.

Ma la vita delle donne prima di tutto deve essere garantita, come recita l’articolo 3 della dichiarazione: ogni persona ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza.

Ma questo non sarà possibile finché sarà ammesso che la libera scelta di un amore di donna possa  essere considerato delitto, e la pena la morte.

E finché la tortura di una donna sarà concessa perché donna, anche in presunte condizioni di pace, in questo nuovo mondo nel quale le guerre non vengono più dichiarate e la maggior parte delle violenze è diretta contro la popolazione civile, e le peggiori atrocità contro i non combattenti ma soprattutto le non combattenti, e non vi sarà un nuovo patto di rispetto fra donne e uomini in nome della perpetuazione dell’umanità, non si potrà dire o presumere di aver fatto il nostro dovere di esseri umani capaci di amore e giustizia.

Una gigantografia di Sakineh su un palazzo governativo a Roma vuole esporne l’immagine di questa donna per salvarle la vita e per testimoniare l’esecrazione di un paese per chi vuole invece annientarla. Così questa vita o morte di donna entra a pieno diritto nella Storia degli uomini e delle donne, lei, una per tutte, le vittime della Cronaca giornaliera.

Lo stesso paese che vede a braccetto, nello stesso momento, il proprio rappresentante e l’uomo avvolto nel mantello, fra feste sardanapaliche, queste sì spudorate nel mentre che le famiglie vengono cacciate dalle case di cui non riescono più a pagare i mutui, gli uomini perdono il lavoro e le donne ancor di più.

E attraverso la tv assistiamo impotenti e attoniti a presunte e superpromozionate conversioni di giovani donne, prescelte o acquistate da quel tipo d’uomini, coloro che non scherzavano quando si autodefinivano “utenti finali”.

Sempre la tv, quella in cui Sakineh fu costretta a confessare quella che non può essere chiamata colpa.

Anna Maria Spina

UDILab Monteverde

 

La gigantografia di Sakineh in piazza Colonna a Roma (Adnkronos)

E oggi, 2 settembre, l’ennesima dal bollettino delle esecuzioni. Milano. Prima un colpo nel cortile, poi prende la mira dal balcone e uccide Teresa.  Si stavano separando.

 

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