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UDI invia lettera a Merkel Tusk Juncker Renzi

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Care,

in seguito ai gravi fatti accaduti in Germania a Capodanno,  abbiamo inviato oggi alla Cancelliera Merkel, ai Presidenti del consiglio e della Commissione Europea e al Presidente Matteo Renzi la lettera che vi alleghiamo.

Un caro saluto

Vittoria Tola e il Coordinamento nazionale

 

 

 udi                           Alla Cancelliera Angela Merkel

                                                            Al Presidente Donald Tusk

                                                            Al Presidente Jean-Claude Juncker

                                                            Al Presidente del Consiglio Matteo Renzi

Le violenze avvenute tra la notte di S. Silvestro e Capodanno 2016 a Colonia e in altre città tedesche hanno provocato indignazione e dolore nelle donne di tutta Europa.

Per tutti i fenomeni riconducibili alla violenza maschile sulle donne, dolore e indignazione sono sentimenti che conosciamo bene. Il femminicidio è un’esperienza che unisce le donne di tutto il mondo, come le unisce la solitudine di fronte ai responsabili istituzionali, che nonostante gli impegni assunti negli organismi internazionali, persistono in un atteggiamento omissivo e parziale.

La Convenzione di Istanbul, fortemente voluta dal Consiglio d’Europa e purtroppo non sottoscritta e ratificata dalla Germania e dalla UE, prescrive interventi non solo di sostegno alle vittime, ma dà indicazioni chiare sul piano squisitamente politico. Su questo, e ciò ci lascia sgomente, la reazione complessiva in sede Europea di fronte al gravissimo attacco subito da centinaia di donne il 31 dicembre 2015, è stata tardiva, imbarazzata e, purtroppo, occasione per dirigere il giusto disgusto per l’accaduto a finalità estranee alle priorità avvertite, ormai storicamente, dalle donne. Prima fra tutte il perseguimento della piena libertà.

Noi crediamo che gli Stati europei, prima ancora di essere inadeguati nell’accoglienza delle persone, siano fortemente in contraddizione, in quanto a dichiarazioni e fatti, di fronte alla prima delle differenze: quella tra donne e uomini.

Lo spirito solidale manifestato di fronte agli attacchi criminali, in più occasioni e coralmente, dai massimi rappresentati degli Stati, dalle comunità religiose di ogni confessione, fino ai massimi esponenti della cultura, è mancato nell’occasione della strage di libertà perpetrata a Capodanno.

Ancora una volta abbiamo visto l’impreparazione, l’incertezza e l’usuale tolleranza verso le espressioni muscolari della dominanza machista.

Noi, pur consapevoli dell’essere tuttora e da sempre in lotta per la nostra liberazione dalla violenza maschile, riteniamo insopportabile che alcuni obiettivi, anche i più parziali, in materia di libertà femminile, conquistati con fatica, siano elusi da paesi autorevoli in Europa e dall’Europa stessa e che queste elusioni costituiscano il segnale allarmante di un disimpegno.

Disimpegno nell’applicazione di norme minime e non negoziabili, come quelle sulla violenza, che bene o male tutti i paesi hanno approvato. Lasciate sulla carta, vengono nominate per diffondere un falso senso comune della parità e, con il linguaggio dei media forti e manipolatori della realtà, si danno per anacronistici i termini che descrivono la condizione imposta alle donne. La violenza sessuata tra le pareti domestiche, nei rapporti di lavoro dipendente, nelle istituzioni scolastiche, viene suggerita come male inarginabile, quella subita per le strade, o nei luoghi del tempo libero dal lavoro e degli impegni quotidiani, come male procurato dalle vittime stesse.

Nelle forze di polizia, nei responsabili politici, è radicata la convinzione che la violenza perpetrata da sconosciuti, da bande criminali o da branchi di maschi di qualunque colore o religione, che da sempre avanzano il diritto di proprietà sulla notte, sia conseguenza di un naturale rischio che le donne si assumono, per quella specie di binomio tanto radicato nella cultura occidentale: rischio-colpa.

La rimozione di uno o più responsabili è non solo insufficiente, ma fuorviante, perché non si sono uditi né visti ripensamenti sul linguaggio e sui modi di porsi verso le cittadine, sia europee che provenienti da altri paesi. Noi ci chiediamo quale sia il tipo di formazione richiesto al mondo dell’informazione, alle forze di polizia e agli operatori dei servizi nel nostro continente.

Teniamo a ricordare, come prescrive la Convenzione di Istanbul, che le donne danneggiate hanno diritto al risarcimento del danno subito, ed è naturale che sia l’amministrazione competente a provvedere, in attesa di una possibile rivalsa sui responsabili. C’è poi un altro risarcimento ed è quello dovuto a tutte le donne presenti nel nostro paese, che consiste nella vera attenzione dei politici alla salvaguardia delle libertà conquistate dal femminismo per tutte.

Il senso di disuguaglianza che noi tutte subiamo dai nostri governi, indipendentemente dal loro colore, ci spinge a dichiararci tutte tedesche e tutte migranti in attesa di giustizia.  

 

UDIUnione Donne in Italia

 

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Alcuni titoli di giornali italiani: Colonia, decine di donne violentate da branco di 1000 islamici … Notte di orrore a Colonia. Stupri di massa a Capodanno

Qualche autorevole giornale fa immediata dietro-antropologia: … Da dove viene il branco di Coloniafra chi arriva vi sono portatori di usi e costumi che si originano dalle lotte ataviche per pozzi d’acqua, donne e bestiame. Le conseguenze sono nelle cronache di questi giorni …

La polizia tedesca per giorni tergiversa, appare quasi svogliata, cade qualche testa, tuttora non sono ben definiti i tratti reali e l’estensione del “vergognoso episodio”: … le donne, accompagnate o meno, sono rimaste in balìa di folle di uomini sbronzi …

C’è comunque una tacita conventio: sono loro, loro che … erano organizzati … era premeditato … ll capro espiatorio simbolico ostentato o timidamente indicato come autore delle violenze è l’islamico.

Ma d’altra parte sono le stesse violenze che avvengono durante le ricorrenze dell’Oktoberfest, 7,5 milioni di boccali di birra, Maßkrug da un litro, con una decina di denunce di stupri in media, come rilevano da tempo osservatrici e osservatori. Ma si calcola che possano arrivare fino a 200 e più non denunciati, dal momento che l’articolo 177 del codice penale tedesco richiede l’indagine e l’onere della prova della “resistenza oppositiva” da parte della vittima.

“Il solo tragitto verso il bagno diventa una sfida. Uomini sconosciuti che cercano di abbracciarti, pacche sul sedere, tentativi di alzarti la gonna e una pinta versata di proposito nella scollatura sono il bilancio di soli 30 metri,” scrivevano Karoline Beisel e Beate Wild nel 2011 sulla Suddeutschen Zeitung. E continuavano, “Se reagisci in modo scontroso, ti danno della ‘troia’ o peggio.” [Vice.com]

Senza minimamente voler attenuare le responsabilità sia individuali che collettive sul piano penale, anche ammettendo la premeditazione come potrebbe dimostrare il frasario offensivo sequestrato a qualche arrestato, il discorso di fondo solo da poche parti è tracciato con forza. Ed è quello di sempre, quello delle “infinite volte” in particolare quando viene inflitta una umiliazione o violenza o morte ad una donna.

È un discorso universale sulla condizione della donna che non ha latitudine, etnia, che da migliaia di anni perseguita le donne: l’assoggettamento, il senso di proprietà fisica e mentale da parte degli uomini. È diffuso in ogni paese, ha radice in ogni mente maschile e purtroppo si auto-semina.

Le democrazie “avanzate” non riescono a mascherare questo dato di fatto. Non si spiega come i paesi scandinavi per esempio siano ai primi posti in Europa per stupro.

“… è veramente carente l’assunzione di responsabilità da parte degli Stati nell’agire con la dovuta diligenza per la promozione e protezione dei diritti delle donne..”

“Le donne sono discriminate e subordinate non solo sulla base del sesso, ma per altri motivi, come casta, classe, abilità, orientamento sessuale, tradizione e altre realtà che espongono molte di loro a una violenza continua nel corso di tutta la vita, dal grembo materno alla tomba” [Rashida Manjoo, relatrice speciale ONU per la violenza sulle donne, 2012]

L’UDI vuole rivolgere oggi alle personalità politiche di cui sopra non una lezione etica ma un accorato appello perché le cose cambino per quanto nella loro disponibilità.

La struggente voce di Mia Martini canta: Gli uomini non cambiano … No. Devono cambiare.

UDIrc

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mediterranea

 

mediterranea

No al sessismo No al razzismo

A poche settimane di distanza dalla notte di violenze contro le donne in Germania che ha suscitato il dibattito anche sui media italiani, ci sembra interessante proporre un articolo ‘decentrato’ – abbiamo scelto e tradotto l’analisi di una giovane studiosa di scienze sociali, Salimata Sali, originaria del Senegal che vive e lavora in Canada. Si autodefinisce femminista e impegnata sul terreno dei diritti civili.  

Carla Pecis, UDI Catania

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MEDITERRANEA 2016

pagine di lettura verso il Congresso dell’UDI gennaio 2016

Salimata Sali – Nude o vestite, le donne non sono prede sessuali

Centinaia di donne hanno presentato denuncia alle autorità tedesche per aggressioni sessuali durante la notte di San Silvestro a carico di uomini descritti come “arabi” o “nord-africani”. Il fenomeno di grande impatto è stato messo sotto silenzio per evitare di stigmatizzare o colpevolizzare una determinata componente sociale. È stato un grave errore. Una ingiustizia rimane sempre tale e nominarla non vuol dire generalizzare. È un fatto.

Nessuna sorpresa, sono colpita, non è la prima volta che le violenze contro le donne mi lasciano in uno stato d’animo di pena profonda, dolore profondo che spinge all’azione contro l’ingiustizia. D’altro canto, le aggressioni sessuali commesse in terra tedesca mi riportano verso altri luoghi,soprattutto in Africa nelle zone di guerra o in quelle devastate dalle ingiustizie e dalle diseguaglianze, dove tutte le forme di violenza sono costantemente rivolte contro le donne.

L’esempio più duro che mi umilia mi viene dal Congo. In quell’area assistiamo al totale disimpegno delle autorità locali e della comunità internazionale, assuefatte alla non azione e alla banalizzazione che finisce per normalizzare un fenomeno crudele a cui invece non ci si dovrebbe assuefare. Donne e bambine vivono una vita d’inferno sotto scacco di maschi aggressori e di una società che le rifiuta, che sempre riporta sulle vittime la colpa delle aggressioni sessuali considerandole esseri senza valore, quindi oggetti sporchi da abbandonare, che sono causa della loro stessa mala sorte…

Colpevolizzare le vittime: questa inumana scorciatoia priva di giustizia e partecipazione è stato l’atteggiamento assunto dalla sindaca di Colonia Henriette Reker, che consigliava alle donne “di tenersi ad una certa distanza dagli sconosciuti per proteggersi dalle aggressioni”: no, non sono le donne che devono tenersi alla larga dagli uomini, sconosciuti o conosciuti. Le donne non devono cambiare il loro modo di vestire per non eccitare la libido di uomini incapaci di controllo. No.

Dopo lo choc, la lucidità mi impone di sottolineare alcune evidenti differenze tra la Germania e il Congo. La sofferenza dei migranti non ha lasciato quasi nessuno indifferente. Malgrado la partecipazione umana alcuni hanno presentato la priorità della sicurezza come condizione per l’accoglienza. È una scelta molto razionale. Tuttavia la Germania, che ha dato prova di disponibilità e generosità nei confronti del flusso migratorio rispetto alle altre grandi potenze occidentali, ha trascurato lo scontro di culture e l’esperienza d’ineguaglianza basata sul genere, il sessismo. Lo scontro dei rapporti tra generi è quindi più forte. Di grande portata. Le statistiche parlano di centinaia di aggressioni e non di casi isolati. I presunti colpevoli condividono caratteristiche comuni riferibili al patriarcato, cioè il potere e l’abuso degli uomini sulle donne. Il patriarcato è ingiustizia comune a quasi tutte le società nel corso della storia. L’Occidente non vi è sfuggito. Ma alcune società soprattutto occidentali se ne sono sbarazzate grazie alle lotte femministe e all’affermazione di una domanda di giustizia sociale che ha ancora passi da fare, mentre altre società ancora sono immerse nel patriarcato e lo coltivano con la religione e la cultura È un fatto.

Per governare i problemi aperti dalle migrazioni di massa generate dalle ingiustizie planetarie bisogna riconoscere che l’arrivo di persone provenienti da altre culture, da altri valori e religioni possono creare tensioni. Questo non vuole assolutamente dire che si devono chiudere le porte ai migranti. Ma occorre trovare mezzi efficaci che precedono l’accoglienza e proporre loro un aggiornamento/adeguamento con la popolazione locale sull’eguaglianza dei uomini e donne nella dignità e nei diritti, sulla laicità e la libertà d’espressione. Bisogna riconoscere che i paesi occidentali, con tutti i loro difetti, al loro interno sono avanti sui rapporti di genere. In questo senso sono dei modelli per alcuni paesi come per il mio paese d’origine, il Senegal, ma anche e maggiormente per i paesi islamici. Le statistiche ci dicono che esiste una forte correlazione tra ingiustizie e diseguaglianze nei paesi islamici governati dalla Sharia diversamente che nei paesi laici. È un fatto.

In Occidente le donne hanno abbandonato i ruoli secondari per prendere il loro posto a pieno titolo nella società. La minigonna non sarà barattata con la gonna lunga. I capelli al vento non saranno imprigionati da un velo per un sedicente pudore compiacente con l’atteggiamento degli uomini. Il pudore è nella civiltà, nei rapporti giusti e paritari tra donne e uomini a prescindere dagli abiti che si indossano. Consiste nel rispetto assoluto e incondizionato della donna e del suo corpo, vestito o nudo. Per questo il valore occidentale più invidiabile e degno di essere copiato ovunque sulla terra dove vivono esseri umani è l’eguaglianza in dignità e diritti tra uomini e donne. Non è barattata a fronte di qualsiasi religione, cultura; non si deve piegare, non si piega. Prima di concludere, a quelli che si chiedono perché parlo del Congo rispondo che ho scelto l’occasione di una ingiustizia per denunciare questa e insieme altre che si compiono altrove. Troppe donne nel mondo soffrono di ingiustizie religiose, culturali, sociali, politiche ed economiche. Ci vuole tolleranza zero, bisogna denunciare a piena voce chi aggredisce le donne, essere dalla loro parte senza guardare a fatti particolari che sembrano poter giustificare i comportamenti aggressivi. I colpevoli devono essere individuati e condannati severamente. Devono essere assunte iniziative per prevenire altri abusi e aggressioni. Come le persone, le ingiustizie viaggiano, prendono l’aereo e le navi, entrano in contatto con altre culture e civiltà, con stili di vita completamente diversi. Questo scontro deve farci ricordare e praticare che che l’eguaglianza tra uomini e donne è superiore a tutto.

Mediterranea UDI Catania
a cura di Carla Pecis – carlapecis@tiscali

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DUE VIGNETTE

Una vignetta di Charlie Hebdo: per commentare la notte di violenza contro le donne in Germania si riprende la morte sulla spiaggia di Aylan (migrante di 6 anni), e si inserisce in un contesto di ‘uomini’ (?) che rincorrono donne con la bava alla bocca.

Il titolo della vignetta è ‘MIGRANTI’.

La domanda è “Cosa sarebbe diventato il piccolo Aylan se fosse cresciuto?”

Il nostro commento è: vergognoso, inaccettabile. Lasciate stare i bambini.

 

A distanza di qualche giorno una risposta che condividiamo: una vignetta pubblicata sul blog della regina Rania di Giordania, il 15 gennaio.

La domanda è la stessa: “Cosa sarebbe diventato il piccolo Aylan se fosse cresciuto?  

La risposta è: “Un ragazzino, uno studente, forse un medico, un padre affettuoso…”

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Mediterranea UDI Catania a cura di Carla Pecis  –  carlapecis@tiscali.it

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Ha pianto Abdullah Kurdi, il padre del piccolo Aylan, vedendo la vignetta in cui Charlie Hebdo ironizza su chi sarebbe diventato da grande il bambino siriano di tre anni trovato morto a inizio settembre sulla spiaggia turca di Bodrum – un “palpeggiatore” in Germania. “Quando ho visto quell’immagine non ho potuto far altro che piangere”, ha raccontato Abdullah all’agenzia di stampa francese Afp. “La mia famiglia è ancora sotto shock”.  [Huffigton Post]

Davanti alla grande tristezza che la tragedia porta con se e al dolore inconsolabile per chi lo ha vissuto e lo vive, il “cinismo” satirico deve restare in silenzio e trovare altri bersagli. Non può muovere nessun riso o sorriso. Il bambino aveva solo il diritto di continuare a vivere.

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ragazze primavaraba

PARLIAMO DELL’ESITO DELLE ELEZION IN EGITTO :   90 DONNE IN PARLAMENTO

Sono state poche le notizie e pochissimi commenti alle elezioni egiziane che hanno eletto il nuovo Parlamento attraverso un percorso elettorale durato sei mesi – per comprendere cosa sta avvenendo e i possibili sviluppi nella realtà del Paese più importante dell’area araba mediterranea sottolineiamo la novità di una notevole presenza di donne elette e leggiamo un articolo di commento più ampio del direttore del quotidiano Asharaq Al Awsat, Ali Ibrahim ( 12 gennaio  – trad. MC. Minniti)  

Sembra che la politica internazionale sia in certa misura governata dalle suggestioni, a prescindere dai fatti sul terreno e senza tentare di comprendere realmente ciò che sta accadendo. Questa impressione deriva dalla posizione assunta da molti in Occidente rispetto agli sviluppi in Egitto post 30 giugno e la deposizione del governo guidato dai Fratelli Musulmani. Si tratta in parte di un atteggiamento comprensibile alla luce della cultura delle democrazie occidentali che si inquietano per l’intervento dell’esercito nell’arena politica. È stata, dunque, assunta una posizione critica verso gli eventi in Egitto, incomprensibile agli occhi di attori arabi e regionali che non riescono a capirne l’origine riconducibile alla cultura delle democrazie politiche.

Il percorso intrapreso dall’Egitto dopo il 30 giugno presentava elementi complicati da capire in Occidente, tra cui il chiaro sostegno popolare con milioni di persone scese in strada a manifestare contro il governo dei Fratelli Musulmani, l’intervento dell’esercito e poi il periodo di transizione caratterizzato dalla road map incentrata su tre fasi, il tutto sullo sfondo di un’ondata di violenza e atti terroristici il cui primo obiettivo era colpire l’economia, riuscendo a centrare una delle sue arterie più importanti, ovvero il turismo. Il percorso politico, tuttavia, non si è fermato: lo Stato si è rimesso in movimento e sono stati inaugurati nuovi progetti che sono fonte di speranza per il futuro. Il percorso, poi, si è completato con la promulgazione della Costituzione e in seguito con le elezioni presidenziali e infine quelle parlamentari.

L’elezione di questo parlamento è stata piuttosto controversa, dal momento che l’affluenza alle urne non è stata elevata e secondo i numeri diffusi si è attestata intorno a un quarto degli elettori registrati. Si tratta, tuttavia, di milioni di elettori che sono stati chiamati alle urne diverse volte in un lasso temporale limitato, ed è comunque una percentuale che si registra anche in molte democrazie occidentali. L’aspetto più importante di questo Parlamento è che per la prima volta sono entrate a farne parte circa 90 donne, un numero senza precedenti che corrisponde a oltre il 15% dei membri. La maggior parte sono state elette in liste di raggruppamenti politici oppure hanno vinto nelle loro circoscrizioni dopo battaglie elettorali. Si tratta di un grande successo rispetto alle passate elezioni in cui le donne potevano entrare in parlamento solo mediante nomina.

Questa percentuale rispecchia, inoltre, la partecipazione politica della donna egiziana nel percorso del 30 giugno e nella road map che ne è scaturita. La presenza delle donne è stata molto forte sia nelle manifestazioni in strada sia nella partecipazione politica alle votazioni che si sono svolte in diverse fasi della road map, così come nel numero di candidate e nella loro partecipazione alle “battaglie” elettorali. Questo ruolo è stato incoraggiato dallo Stato.

Se guardiamo gli eventi attraverso lenti nere non riusciremo a vedere niente di positivo in tutto ciò che è accaduto e invece non si può ignorare questa presenza femminile nel Parlamento del 30 giugno poiché è da considerarsi un successo storico che compiace il compianto Qasim Amin (giurista dell’Università del Cairo, autore di “I diritti delle donne nell’Islam” in particolare su matrimonio e divorzio, “La liberazione della donna” (1899) – “La donna nuova” (1900). Muore nel 1908.)

Mediterranea UDI Catania
a cura di Carla Pecis – carlapecis@tiscali

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I fatti di Colonia, cioè di sempre

foglietto fatti colonia

 

Un foglio con scritte, in arabo e in tedesco, frasi con espliciti riferimenti sessuali è stato ritrovato nelle mani di due sospettati, nell’ambito delle indagini condotte dalla polizia locale sulle violenze della notte di San Silvestro a Colonia. Lo riporta la Bild on line, che pubblica il biglietto giallo con appunti presi a mano. Tra le frasi segnate, «voglio scopare», «grandi tette», «ti voglio baciare», «sto scherzando con lei», «io la uccido». (Ansa)-Corsera

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Lo stupro è un’arma di guerra: quella del terrore e quella dichiarata ufficialmente. Lo dice l’ONU

A Colonia contro le donne stupri e molestie. La politica, e la polizia, balbettano.

Di fronte alle azioni terroristiche in Europa, perpetrate nell’ultimo anno con armi convenzionali, evolute o rudimentali, la rivolta civile e la solidarietà, nel continente, sono scattate in modo evidente e senza distinguo di nessun genere. Qui, in Italia, il desiderio di mostrarsi contro è stato più forte del timore di dar sponda a ideologie razziste. È stato possibile: abbiamo assistito anche alla mitigazione delle esternazioni xenofobe e razziste da parte di formazioni, altrimenti, connotate sull’enfatizzazione di questo tipo di pulsioni.

Le strumentalizzazioni nella ricerca di consenso spicciolo, da parte delle forze politiche, hanno ceduto il passo a un atteggiamento consono a un palcoscenico meno angusto dei singoli scenari locali. La certezza che ha unito soggetti tanto differenti è stata ed è fondata sul fatto che “nessuno vuole la guerra in casa”. Il trasporto col quale è sembrato a molti doveroso esprimere solidarietà alle vittime è stato, evidentemente, proporzionale al numero di morti causato da quelle azioni, ma anche innegabilmente, soprattutto da parte delle comunità islamiche, misurato dall’esigenza di prendere le distanze dalla matrice integralista di un movimento politico che si caratterizza per volontà di distruzione e per implicito rifiuto della cultura occidentale, accusata di aver innescato meccanismi violenti nel mondo arabo e mediorientale. Chi, come chi parla, in questi anni, e da sempre, ha espresso una critica forte “all’esportazione della democrazia, si è sentito maggiormente chiamato a esprimere il proprio orrore per quanto avvenuto e, purtroppo, promette ancora di avvenire.

L’azione concordata tra criminali, che ha portato all’aggressione di massa su centinaia di donne soprattutto a Colonia, ma anche ad Amburgo, Stoccarda, Düsseldorf, non è stata avvertita, invece, dallo schieramento assemblato dopo gli attacchi di Parigi. Le ragioni risiedono nel fatto che la violenza sulle donne anche quando causa la morte delle vittime, è data per scontata nella fisiologia dei processi sociali ed economici: la condanna è un rito che quasi mai provoca profonde ridiscussioni sulle cause politiche che la violenza generano e impongono.

Nel caso di queste aggressioni, un problema è stato quello di prendere parola nella consapevolezza che non sono solo “quegli uomini” a pensare che le donne siano a disposizione contro la loro volontà, ma che lo sono anche altri, cioè coloro che pensano che l’integrazione tra culture possa avvenire nonostante i diritti delle donne. Su questa questione ritorna il vecchio tema dei due tempi: prima i bisogni di tutti e poi quelli delle donne. Nel 1977 Armanda Guiducci pubblicò un saggio dal titolo “la donna non è gente”, documentando gli elementi che delineavano la qualità monosessuata, al maschile, di ciò che si definisce progresso. Da allora le cose, schiavitù lavorativa e sessuale, segregazione culturale, subordinazione politica, hanno preso altri nomi, definizioni che rendono apparentemente dinamica una società rimasta invece ancorata alla convinzione che le donne “vengono dopo”.

L’agire della polizia tedesca ha dimostrato che il terrorismo verso le donne è, infondo, cosa che va tenuta sotto traccia per non disturbare il piano sull’immigrazione.

Tutto sommato sembra che non sia avvenuta una cosa poi tanto grave, anche per alcune donne autorevoli, ansiose di non interrompere l’unità di un movimento umanitario, che, non si sa perché, sarebbe messo alla prova inutilmente su una questione tutto sommato fisiologica.

Se gli stupri e le aggressioni non fossero stati mostrati dai criminali come atto concordato, se fossero avvenuti in modo più “occidentale”, per così dire sul modello “Tusciano”, se ancora si fossero rivolti a donne “non gente” per eccellenza, se fossero stati rivolti a connazionali, o per assurdo (?) a Prostitute immigrate: “se”, varianti che in questo caso non ci sono state. Ciò che poteva generare i soliti crudeli dubbi è stato sconfitto dall’evidenza. Che evidentemente non è bastata perché i toni dimostrano che, per gli stati, prendere consapevolezza di aver fatto sì che l’immigrazione fosse un fatto da uomini e da concordare tra uomini, è durissimo contraddittorio e destabilizzante. Si fa finta di non vedere la variante, cioè il femminicidio, che comunque perpetrato è lo scoglio su cui si arena ogni proposta che non voglia considerarlo come fenomenologia viva e condizionante.

All’indomani di un dramma vissuto nella notte di capodanno da donne libere, fino a alle ricorrenti prove contrarie, la timidezza di quello che ci si ostina a chiamare movimento in Italia è un riconoscimento implicito dei così detti due tempi della democrazia.

L’analisi fatta da un noto sito di controinformazione, pone l’accento sul fatto che sarebbe stato strumentalizzato il fatto, in quanto le donne “veramente stuprate” erano davvero poche: il resto ragazzate. Davvero non è difficile pensare che il pensiero dell’Arcivescovo di Canterbury, “lasciamo che l’ordine familiare sia governato in autonomia dalle singole religioni”, sia un paradigma per la politica occidentale che forse non vede con sfavore l’eventualità di pagare qualche prezzo, se a farlo sono le donne.

Il silenzio sulle violenze sessuate non è solo un costume, non è solo la copertura della connivenza di chi crede che tutto sommato è un alleato dell’ordine chi tiene le donne sotto schiaffo: la politica ne ha fatto moneta di scambio per quanto di analogo è avvenuto da parte dei propri eserciti “nei paesi da liberare”. Non dobbiamo e non possiamo dimenticare che bambine e bambini sono stati (?) violentati e sedotti in cambio di pane.

Non solo l’Italia ma per esempio in Inghilterra è successo che il silenzio abbia coperto la violenza subito da donne e bambine: nello Yorkshire millequattrocento ragazzine schiavizzate sessualmente tra il 1997 e il 2013.

I fatti di Colonia sono un banco di prova, non per la sicurezza ma per la serietà dell’agire politico, per chi della serietà fa una bandiera.

Lo stupro è terrorismo, è guerra: il tacerne la natura, anche quando è dichiarata, è il frutto dell’arroganza verso tutte le donne.

Stefania Cantatore

Napoli 11, 01, 2016

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I fatti di colonia interessano tutti e tutte noi

Quanto accaduto a molte donne in Germania sera di San Silvestro, per opera di uomini in gran parte stranieri – secondo la polizia – di origine “araba” o nordafricana”, interessa tutte e tutti noi. I fatti sono ormai noti, grazie alle testimonianze di tante delle donne che hanno denunciato le violenze subite. Nella notte di Capodanno, mille uomini a Colonia – ma anche in altre città come Francoforte, Amburgo, Dusseldorf, Bielefeld – centinaia di donne sono state aggredite, derubate, molestate sessualmente e alcune stuprate da un migliaio di uomini ubriachi, davanti alle forze dell’ordine dimostratesi impotenti ed inadeguate ad intervenire e porre fine alle violenze.

Se i 31 uomini arrestati in questi giorni sono rappresentativi dei mille violentatori e molestatori – nove di origine algerina, otto del Marocco, cinque iraniani, quattro siriani, due tedeschi, uno iracheno, uno degli Stati Uniti – è del tutto evidente che si è trattato di maschi, nient’altro che di maschi che, organizzati in branco, si sono scatenati nella caccia alle donne, per afferrarle, dominarle, terrorizzarle, possederle in quanto preda. Maschi, solo maschi, che incarnano quella cultura della violenza e del dominio, della distruzione e dell’odio da cui molti di loro dicono di voler fuggire. Maschi, solo maschi, non importa la loro nazionalità di origine, la religione che professano, non importa come sono arrivati, se a piedi, nei barconi, in aereo o in treno, non importa se sono richiedenti asilo o uomini stranieri residenti, quello che conta è che sono giovani uomini che – come tanti ogni giorno nella nostra civilissima Europa – si sono sentiti autorizzati a terrorizzare donne considerate a loro disposizione, come alcune di loro hanno raccontato.

“Si sentivano onnipotenti e pensavano di poter fare qualsiasi cosa alle donne che stavano festeggiando in strada”. “ A un certo punto della notte ci siamo trovate circondate da una ventina di uomini. Ci hanno preso per le braccia cercando di separarci e di strapparci i vestiti. Poi hanno provato a toccarci tra le gambe e in altre parti. Alla fine ci hanno derubate di tutto quello che avevamo nelle nostre tasche”. “Cercavamo aiuto. Siamo corse verso le macchine della polizia e non c’era nessuno. Gli agenti erano carenti e non potevano affrontare la situazione”.

E’ una storia, questa, non nuova purtroppo e che appartiene agli uomini e alla loro cultura, che diventano feroci ovunque, se si uniscono, molti o pochi che siano. Ogni donna almeno una volta ha sperimentato la paura o quantomeno il disagio di trovarsi sola davanti a un gruppo di uomini. Sentimenti che un uomo non ha mai provato davanti a un gruppo di donne.

“L’intera piazza – ha raccontato una delle testimoni – era gremita di soli uomini. C’erano poche donne isolate, impaurite, che venivano fissate. Non posso descrivere come mi sono sentita a disagio”.

E’ la “questione maschile” che mostra il suo volto globalizzato di uomini incapaci di rapportarsi alla libertà femminile, che sia nelle piazze delle cosiddette “primavere arabe” dove violenze e stupri hanno accompagnato le manifestazioni, dall’Egitto alla Turchia, dalla Siria all’Iran, o che sia nelle piazze tedesche dove le donne si erano riversate per festeggiare la fine dell’anno. Bene ha fatto la cancelliera tedesca Angela Merker a condannare l’accaduto e a chiedere che i colpevoli vengano individuati e condannati per i ”ripugnanti” crimini commessi, tenendo separata la questione della violenza sul corpo delle donne da quella delle immigrazioni, dove si rende visibile – a Rosarno come a Colonia, al Cara di Mineo come al Centro di Sant’Anna di Crotone – che quando si parla di violenza e di stupri si parla sempre e solo di uomini e non di donne, anche loro straniere ed immigrate.

Non si usino le donne per giustificare, ieri le guerre – come in Afghanistan – oggi le violenze di Capodanno, il proprio odio verso gli stranieri e le straniere. A noi donne, ovunque nel mondo, non resta che continuare sulla nostra strada aperta da altre e non rinunciare mai ad arrabbiarci ed indignarci di fronte a uomini – stranieri o meno – che non vogliono e non sanno cambiare il loro rapporto con il loro corpo delle donne. A quanti di noi, donne e uomini, abbiamo la consapevolezza di vivere in un’epoca di passaggio, non resta che continuare a lavorare per quel cambio di civiltà delle relazioni tra i sessi affinché gli uomini non temano più la libertà femminile ma capiscano che questa può essere un’occasione anche per loro per liberarsi di quella cultura patriarcale da cui nasce la violenza maschile sul corpo delle donne.

Franca Fortunato

Quotidiano del Sud – 11.01.2016

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