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Udi Catania – giugno 2013

Paese – Turchia – Muore un albero – nasce una nazione

Paese – Siria Donne nella guerra

Un ricordo per Barbara De Anna

Paese – Tunisia e Marocco – Iniziative delle attiviste ‘Femen’

Paese – Mali – ‘Chato’ corre per la Presidenza della Repubblica: “è un vantaggio essere donna”

Paese – MaroccoQandisha: la nuova rivista per le donne

Da un anno la giornalista Fedoua Miski pubblica da Casablanca una nuova webzine per le donne, che esce dal tradizionale modello con riferimento, anche in Marocco, agli argomenti bellezza/moda/cucina e si propone di incoraggiare le donne a informarsi, a esprimersi anche in pubblico, far valere i propri diritti.

Paese – Qatar – Donne qatarine: non solo mogli, figlie o sorelle degli emiri

Paese – Egitto – No all’islamizzazione della cultura

Paese – Libia – Il punto sulla situazione delle donne nel Paese

Paese – Francia – Progetto di legge quadro sui diritti delle donne

Allegato. Persone, Libri, Film…

La svolta – Donne contro l’ILVA  documentario di Valentina D’Amico che racconta la vita e la lotta delle donne di Taranto

The New Feminism è il titolo della raccolta di saggi che apre l’ultimo numero di Dissent

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Udi Catania – maggio 2013

Paese – Tunisia Amina non è sola

Paese – Kuwait  (e altri del Golfo) – Il primo campionato femminile di pallacanestro e atletica

Paese – Afghanistan – La maggioranza del Parlamento contro le libertà femminili

Paese – Turchia – Incontro internazionale “Le donne nella nuova stagione del

Mediterraneo”

Continente AFRICA – Una donna alla testa dell’Unione Africana

La sudafricana Nkosazana Dlamini Zuma è la Presidente dell’Unione Africana

(UA), l’organizzazione panafricana nata 50 anni fa.

E’ la prima Presidente donna, già ministra della salute e degli esteri del suo

Paese.

Allegato. Persone – Libri, Film…

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Udi Catania – gennaio 2013

Svegliati! Balla! Partecipa!

Un’azione globale per fermare la violenza contro le donne, le bambine e le ragazze nel mondo. Perché, come sostiene Eve Ensler, che ha lanciato l’iniziativa: miliardo di donne violate è un’atrocità, un miliardo di donne che ballano è una rivoluzione”. L’invito di Eve Ensler è quello di creare attraverso il ballo una forma di protesta celebrativa e non violenta, con la volontà di trasformare il 14 febbraio 2013 in una giornata di riscatto universale contro le ingiustizie che le donne sopportano. http://www.onebillionrising.org

PaeseMali – Appello di Save the Children Mali: ‘salviamo donne e bambini’.

Paese – Pakistan – Ancora una strage di volontarie

Paese – Francia – Assassinate tre dirigenti del popolo curdo

Paese – Grecia – Insieme in Europa per la democrazia, contro il razzismo l’antisemitismo e il neonazismo

Paese – Italia – Ragusa – La CGIL contro lo sfruttamento sessuale delle immigrate

Paese – Israele – ‘Donne del Muro’ per la preghiera paritaria

Paese – Marocco – Via l’art. 475 del Codice Penale

Paese – Arabia Saudita – Donne nel Consiglio del Re

Mondo – Comitato Olimpico Internazionale – Una donna (africana e mussulmana) corre per la Presidenza

Allegato. Persone – Libri, Film…

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V-Day 14 febbraio 2013

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1 Billion Rising

Uno sciopero globale
Un invito alla danza
Una chiamata a uomini e donne per il rifiuto di sostenere lo status quo finché lo stupro e la cultura dello stupro non finiscano
Un atto di solidarietà, per dimostrare alle donne la comunanza delle loro lotte e il loro potere in numero
Un rifiuto dell’accettazione della violenza contro donne e bambine come un dato
Un nuovo tempo e un nuovo modo di essere

V-DAY 

Non sopporto

di Eve Ensler

Non sopporto lo stupro.

Non sopporto la cultura dello stupro, la mentalità dello stupro, certe pagine di Facebook sullo stupro.

Non sopporto le migliaia di persone che firmano quelle pagine con i loro veri nomi senza vergogna.

Non sopporto che persone richiedano come loro diritto quelle pagine, invocando la libertà di parola o giustificandolo come uno scherzo. 

Non sopporto le persone che non capiscono che lo stupro non è un gioco, e non sopporto di sentirmi dire che non ho senso dell’umorismo, che le donne non hanno senso dell’umorismo, quando invece la maggior parte delle donne che conosco (e ne conosco un sacco) cavolo se sono divertenti. Semplicemente non crediamo che un pene non invitato dentro al nostro ano o alla nostra vagina faccia rotolare dal ridere.

Non sopporto il lungo tempo che occorre perché qualcuno dia una risposta contro lo stupro.

Non sopporto che Facebook impieghi settimane per eliminare le pagine sullo stupro.

Non sopporto che centinaia di migliaia di donne in Congo stiano ancora aspettando che finiscano gli stupri e che i loro violentatori siano incriminati.

Non sopporto che migliaia di donne in Bosnia, Burma, Pakistan, Sud Africa, Guatemala, Sierra Leone, Haiti, Afghanistan, Libia, puoi dire in un luogo qualsiasi, siano ancora in attesa di giustizia.

Non ne posso più degli stupri che avvengono in pieno giorno.

Non sopporto che in Ecuador 207 cliniche supportate dal governo facciano catturare, violentare e torturare le donne lesbiche per renderle etero.

Non sopporto che una donna su tre nell’esercito americano (Happy Veterans Day!) venga stuprata dai suoi cosiddetti “compagni”.

Non sopporto che le forze neghino ad una donna che è stata stuprata il diritto all’aborto.

Non sopporto il fatto che quattro donne abbiano dichiarato di essere state palpeggiate, costrette e umiliate da Herman Cain e lui stia ancora correndo per la carica di Presidente degli Stati Uniti. E non sopporto che a un dibattito della CNBC Maria Bartimoro, quando gli ha chiesto una spiegazione, abbia ricevuto fischi. E’ stata fischiata lei, non Herman Cain!

Questo mi ricorda anche di non poter sopportare che gli studenti, a Penn State, abbiano protestato contro il sistema giudiziario invece che contro il pedofilo presunto violentatore di almeno 8 bambini, o il suo capo Joe Paterno, il quale non ha fatto nulla per proteggere quei bambini dopo aver saputo cos’era successo loro.

Non sopporto che le vittime di stupro siano ri-stuprate ogni volta che il fatto lo rendono pubblico.

Non sopporto che le affamate donne somale siano stuprate nei campi profughi di Dadaab in Kenya, e non sopporto che le donne che hanno subito stupro durante l’Occupy a Wall Street siano state messe a tacere su questo per il fatto che sostenevano un movimento che si batte contro la devastazione e la rapina dell’economia e del pianeta… Come se lo stupro dei loro corpi fosse qualcosa a parte.

Non sopporto che le donne ancora tacciano riguardo allo stupro perchè si fa credere che sia colpa loro o che abbiano fatto qualcosa per farlo accadere.

Non sopporto che la violenza sulle donne non abbia il primo posto nelle priorità internazionali nonostante che una donna su tre sarà stuprata o picchiata durante la sua vita – distruggere ma anche mettere a tacere e soggiogare le donne è distruggere la vita stessa.

Niente donne, niente futuro, chiaro.

Non ne posso più di questa cultura dello stupro in cui i privilegiati che dispongono di potere politico fisico economico  possono appropriarsi di quello che vogliono, quando lo vogliono, nella quantità che vogliono, tutte le volte che lo vogliono.

Non sopporto la continua rivivificazione delle carriere degli stupratori e degli sfruttatori della prostituzione – registi, leader mondiali, dirigenti d’azienda, star del cinema, atleti – mentre le vite delle donne che loro hanno violato sono per sempre distrutte, spesso obbligate a vivere in un esilio sociale e affettivo.

Non sopporto la passività degli uomini per bene. Dove diavolo siete?

Vivete con noi, fate l’amore con noi, siete nostri padri, nostri amici, siete nostri fratelli, generati, amati e da sempre sostenuti da noi, e dunque perchè non vi sollevate insieme a noi? Perchè non puntate contro la follia e l’azione che ci violenta e ci umilia?

Non sopporto che sono anni e anni che sto a non sopportare stupri.

E di pensare allo stupro ogni giorno della mia vita da quando avevo 5 anni.

E di star male per lo stupro, e depressa per lo stupro e arrabbiata per lo stupro.

E di leggere nella mia casella di posta dannatamente piena orribili storie di stupro ad ogni ora di ogni singolo giorno.

Non sopporto di essere educata nei confronti dello stupro. E’ passato troppo tempo adesso, siamo state troppo a lungo comprensive.

Abbiamo bisogno di un OCCUPYRAPE [protesta contro lo stupro] in ogni scuola, parco, radio, rete televisiva, casa, ufficio, fabbrica, campo profughi, base militare, retrobottega, nightclub, vicolo, aula di tribunale, ufficio delle Nazioni Unite. Abbiamo bisogno che la gente provi davvero ad immaginare, una volta per tutte, cosa si prova ad avere il proprio corpo invaso, la propria mente dissociata, la propria anima distrutta. Abbiamo bisogno che la nostra rabbia e la nostra compassione ci unisca tutte così che possiamo rovesciare il sistema globale dello stupro.

Nel pianeta ci sono approssimativamente un miliardo di donne che sono state violate.

UN MILIARDO DI DONNE.

Adesso è il momento. Preparati per l’escalation.

Comincia oggi, fino ad arrivare al 14 febbraio 2013 quando un miliardo di donne si solleveranno per mettere fine agli stupri.

Perchè noi non lo sopportiamo più.

(Uffington Post 11/11/11)

(trad. UDIrc)

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Udi Catania – dicembre 2012

Orribile Dicembre 2012

Nelle ultime settimane di questo anno che sta finendo registriamo il susseguirsi di fosche notizie di morte e di violenza su donne e bambini: in Siria, in Afghanistan, in Pakistan, in India, in Mali, negli Stati Uniti. E nella nostra europeissima Italia le vittime di femminicidio superano l’incredibile cifra di 120 donne assassinate. “Quando le donne stanno bene, il mondo sta bene” sostiene Amartya Sen. Quando le donne e i bambini muoiono e subiscono violenza, il ‘mondo’ è malato. E le donne devono continuare a lottare.

Paese – Siria  / Strage di donne e bambini in fila per il pane

Paese – Pakistan  / Uccise dai talebani 5 operatrici sanitarie, vaccinavano contro la polio.

Paese – India / Milioni di giovani indiani in piazza da giorni contro lo stupro

Paese – Mondo / Una bella notizia in questa tetra fine d’anno!

Paese – Palestina-Gaza / Madlen continua ad andare per mare…

Paese – Francia / Appuntamento per le amministratrici locali

ALLEGATO: Persone/Libri/Film…

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0,10 % di colpa, bastava toccare mani e piedi

bapi asharam(Bapi Asaram nel video mentre commenta lo stupro della donna)

Nirmala Carvalho (premio Staines International Award per l’armonia religiosa, 2009) giornalista indiana corrispondente di Asia News, molto attiva con denunce coraggiose per i diritti delle donne, riferisce del folle commento di un guru hindu molto seguito, Asaram Bapu, sullo stupro della ragazza, poi morta per le sevizie, avvenuto a New Delhi.

Bapu (padre) ha spiegato che la ragazza è “ugualmente responsabile” del crimine quanto i suoi carnefici. “Avrebbe dovuto chiamare i suoi aggressori “fratelli” toccare le loro mani e i loro piedi, e pregarli di fermarsi … ella avrebbe salvato la sua dignità e la sua vita. Si può applaudire con una sola mano? Non credo”.

Una valanga di proteste si sta muovendo per le folli dichiarazioni del bapu nel paese ancora sotto shock: irresponsabili, vergognose, lesive della dignità umana. E cosa dire allora alle donne indiane che muoiono di dote uccise arse o suicide (una ogni quattro ore) per non aver assolto alla completa corresponsione.

Nei fatti è risultata una spietata quanto vile esecuzione con stupro della ragazza, di cui non è stato per legge rivelato il nome (il Daily Mirror però lo ha  pubblicato domenica). Ma Asaram nonostante le proteste e il biasimo di personalità politiche e religiose e della società si è rifiutato di chiedere scusa. Anzi ha pure affermato che non va inflitta ai colpevoli una condanna troppo severa, perché «spesso le leggi esistenti sono mal utilizzate».

La sua portavoce ha cercato di correggere il tiro con la solita formula di rito del fraintendimento dell’estrapolazione dal contesto.

“Voleva dire che gli uomini sono responsabili, ma la ragazza ha uno 0,1% di colpa per essere salita su quell’autobus. Se avesse scelto un autobus pieno o con altri uomini, non sarebbe incappata in questa situazione. Se avesse pregato, allora qualcosa le avrebbe impedito di prendere il mezzo, e avrebbe fermato gli uomini”.

Tragedia e ridicolaggine si mescolano nel determinare il microdosaggio decimale della colpa della donna. Colpa di tornare a casa – era insieme al fidanzato -, di aver preso un autobus con solo sette persone a bordo, colpa di non aver previsto, colpa solo di essere donna più chiaramente. Avrebbe dovuto chiamarli “fratelli”, umiliarsi, supplicare remissiva, toccando quattordici mani e, chinandosi, quattordici piedi.

E poi  in nome di un qualcosa di superiore, dio dea o sostanza divina che dicono essere infinitamente dolce e tenera, ma che non ispira loro stessi che ne professano i precetti. Anche per la religione o meglio insieme di correnti religiose indicate come induismo ciò che viene professato non è conoscenza terrena ma verità rivelate.

All’altro capo del mondo insomma c’è un altro che dice se l’è cercato. Zelatori estremi che credono molto nei comandamenti punitivi specie se applicati al connubio donna-sesso.

Perché tanto universale questo atteggiamento di condanna delle donne vittime di sesso violento, insinuando sempre che se lo sono cercato, o andando a vedere se hanno provocato? Al contrario perché tolleranza e tante giustificazioni per gli uomini che abusano e uccidono, descrivendoli come presi da raptus o follia d’amore o incontinenza ormonale. Quasi sempre dette brave persone, nessun segno

Da diversi decenni molto è emerso sul piano storico e della ricerca, ma ancora difficile da fare accettare definitivamente alla totalità della conoscenza scientifica. Al di là delle pulsioni e della dinamica psichiatrica.

Quando vivevamo in comunità aperte in epoca preistorica antecedente il neolitico, nessuno/nessuna sapeva di chi fosse la figlia o il figlio avuto che in ogni caso restava, sì, presso la madre, ma in una comunità di madri, per forza di cose unite sia per la cura che per il procacciamento del cibo in comune. I maschi, frenando gli impulsi predatori e sessuali, avevano imparato a convivere  in un rapporto paritario collaborante, non violento e di venerazione per la femmina capace dell’atto procreativo inspiegabile e quindi divinizzato. Una mole imponente di tracce e reperti archeologici e soprattutto studi comparati, integrati e multidisciplinari lo dimostrano abbondantemente. Erano le società pacifiche né matriarcali né patriarcali, studiate e chiamate gilaniche da Rian Esler, matristiche o matrilineari. Marija Gimbutas, archeologa, ha scavato centinaia di siti e portato alla luce migliaia di reperti sistematizzando la mappatura dell’Europa protostorica in relazione alla struttura sociale e alle credenze.

La cultura androcentrica non ha considerato nel suo peso storico e antropologico queste risultanze per aver schematizzato il corso della civilizzazione con l’inizio delle civiltà guerriere, della prima scrittura, e delle tecnologie meno arcaiche.

La pratica della guerra, del possesso violento, la gerarchizzazione, l’aggregazione in nuclei di proprietà comprendenti terra-donne-animali-acqua, non sono modelli originari, comportamenti innati, ma sopraggiunti nella storia della specie. Anzi imposti. L’uomo è cacciatore (razziatore) e al cuore non si comanda (nel senso che se mi piace me la/lo prendo), come innatismo, potrebbero essere l’estrema semplificazione del processo.

Nel corso della nostra evoluzione orde di nomadi indo-eurpei (ipotesi Kurgan)ben equipaggiati di cavalli e strumenti di guerra efficaci, compiono razzie, stabiliscono marcature di territorio, detengono come proprietà donne e animali, e avanzando distruggono facilmente le società pacifiche gilaniche assumendo il controllo del corpo delle donne. Una formazione più utilitaristica e di accumulo che funziona sotto comando, per strati obbedienti, con punizioni ed esecuzioni, e che può essere stanziale e soprattutto nomadica.

Ora gli uomini capi sanno quali e quanti figli o figlie posseggono: i maschi sono la forza del gruppo, del clan, della tribù, le femmine si occupano totalmente dell’accudimento interno, servono per gli scambi e le alleanze, gli apparentamenti di rafforzamento. E per godimento esclusivo.

La guerra di Troia è la grande epopea storica della perdita o dell’ appropriazione di un corpo di donna.

Da allora fino ad oggi il controllo maschile si è fatto società, si è molto perfezionato e complicato, più sottile anche invisibile, ma esteso e compatto, o dichiarato e violento più vicino a certi primordi, quasi immutato.

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Provocazione e scaldaletto

Rientrare nella materia oscura dopo la piccola pausa festiva è duro, persino doloroso. Perché è dolore per tutte le donne lo stupro, il massacro e la morte della ragazza avvenuta giorni fa in India (non se ne conosce il nome perché la legge indiana vieta la divulgazione per le vittime di stupro).

A poche ore dal funerale si sono avute notizie di altri stupri, quelli approdati ai media, ma centinaia quelli quotidiani subiti nel chiuso delle case, del posto di lavoro, per strada o su un autobus. In India risultano denunciati  circa 24.000 stupri nel 2011, ma l’incidenza reale è sconosciuta e certamente altissima su una popolazione di 1,2 miliardi di persone.

Lo stupro in India è un codice comportamentale maschile legato anche alla concezione per caste della società, e dentro ogni casta la donna occupa la parte più bassa, ma ha soprattutto alla base la concezione planetaria che il corpo della donna è di dominio dell’uomo, gli spetta, uno ius naturale.

Lo stupro si ripete con le stesse modalità e intenzionalità sotto ogni latitudine, in India diventa un codice d’onore diversificato. Da quello domestico per sottomissione della donna, suppellettile di proprietà, a quello di casta, a quello di offesa etnica militare, a quello punitivo per le donne che vestono o hanno modi all’occidentale.

Le donne indiane per quanto possano occidentalizzarsi vestono comunque in lungo, sari o pantaloni, e mussulmane col velo. Ciò nonostante molti stupratori si difendono asserendo che sono stati provocati, unica difesa possibile.

C’entrano poco i centimetri di pelle scoperta, è una cultura.

Una cultura che è possibile sradicare, qui da noi come altrove. Basta provarci, cioè investire in contro-cultura, in programmi educativi e di socializzazione tra i generi, certo più di due, per sconfiggere sullo stesso piano omofobie, stereotipi e rapporto violento. Non servono ergastoli, pene inasprite, censure e divieti da neobigottismo.

Pochi accenni indicativi dello stato sociale delle donne indiane. Il numero di donne rispetto agli uomini sulla popolazione è inferiore per la soppressione delle femmine alla nascita o da piccole (aree rurali più interne e fasce più povere), per evitare la tassa sempre più esosa della dote al futuro marito (pratica tuttavia illegale), causa anche di femminicidio se non riscossa  (donna come costo da rimuovere, Armellini). Lo sfregio sul viso con l’acido può essere la terribile punizione per un rifiuto o insubordinazione (un campionario scioccante su internet). Maltrattamenti e umiliazioni tra le mura domestiche hanno frequenza quotidiana (secondo Amnesty per il 45% delle donne sposate). I movimenti delle donne per contro sono molto attivi per operatività e ricchezza di dibattito. (fonte ISPI

Un rapper indiano, tuttora in hit parade, esalta l’amore violento e di possesso (un suo pezzo è titolato Prostituta), si è visto annullare un concerto il 26 dicembre sull’onda delle proteste dilaganti di donne, ancora in corso.

Ma più di altre, la scena atroce di un fratello che punisce una sorella con una decapitazione pubblica è emblematica di una mentalità. La sorella, riferisce l’Hindustan Times, era fuggita con l’ex fidanzato per sottrarsi alle «torture quotidiane subite nella casa dei famigliari del marito». Il fratello scova i due amanti: «Ha trascinato per i capelli la sorella in strada e l’ha decapitata sotto gli occhi dei passanti. “Avrei ucciso anche l’amante se l’avessi trovato in casa”, ha giurato il 29enne». (AGI). Ma la cosa più terrificante è che percorre alcuni chilometri con la spada in una mano e la testa della sorella nell’altra per andare a costituirsi alla stazione di polizia. Spiega agli agenti di essere stato costretto al gesto «per salvare l’onore della famiglia».

Su questo filo, tre preti che hanno capito poco delle donne.

Uno le vuole ingravidare per vedere l’effetto che fa, uno le striglia perché provocano: il femminicidio se lo sono cercato, uno intervistato sullo stupro in India dice che solo il cristianesimo ha liberato la donna.

E che dire allora degli abusi sessuali su minori, della pedofilia ecclesiastica nelle ombre delle sacrestie? Le bambine e i bambini provocano, vestono in modo provocante? Se lo sono cercato? Fenomeno tutt’altro che trascurabile se l’avvocato Jeff Anderson riesce ad ottenere per i suoi assistiti 30 milioni di dollari di risarcimento dalle diocesi americane, e se alla Corte internazionale dell’Aja è stata tentata una denuncia contro il Vaticano dalle associazioni delle vittime, con un dossier di 20.000 pagine che documentano i reati per violenza sessuale di ecclesiastici nei cinque continenti. L’atto è stato prodotto probabilmente anche per risonanza mediatica, la denuncia è stata ritirata nel febbraio 2012 e il caso archiviato, ma i fatti restano.

E le povere ragazze, dette maggies, delle Magdalene Laundries nella cattolicissima Irlanda? Tutte provocatrici. L’ultima casa-lavanderia fu chiusa nel 1996 (non per ragioni etiche ma per l’arrivo massiccio delle lavatrici elettromeccaniche) dopo 150 anni dall’istituzione. Quasi 30.000 donne vi sono passate, sfruttate e abusate sia da suore che da preti, confessori e direttori spirituali. Sex in a Cold Climate, documentario con interviste dirette, e Magdalene, film di Peter Mullen, ne hanno raccontato le storie. Le denunce risalenti anche fino agli anni ’40 del secolo scorso sono state 3.000, fu istituita una commissione d’inchiesta governativa nel 2000 e nel 2004 suor Breeg O’Neill, superiora dell’ordine che aveva gestito le case Magdalene, chiese scusa pubblicamente: «Senza alcuna riserva e incondizionatamente noi ci scusiamo di fronte a ciascuno di voi per la sofferenza che abbiamo potuto causare. Noi esprimiamo il nostro sincero dolore e domandiamo il vostro perdono». L’associazione Justice for Magdalenes fondata prevalentemente da figlie di quelle donne lotta ancora per il diritto al risarcimento.

magdalene hausesWomen inside one of the original Magdalene laundries, circa 1940s. Photograph: Roz Sinclair/Testimony Films

Se la notizia è inestinguibile e si muovono i tribunali e la storia irreversibile e le risultanze scietifiche inconfutabili, restano le scuse.

Ammettere e riconoscere pubblicamente colpe storiche non è facile per la chiesa cattolica. Una di queste è la concezione della donna ricorrente nei testi teologici e dottrinali, insostenibile alla luce dell’evoluzione storica culturale e scientifica di oggi.

Perché il parroco di S. Terenzo-Lerici, Piero Corsi, fa suo un pessimo editoriale di un web-fogliaccio fondamentalista-integralista misogino e lo espone nella bacheca della sua chiesa? Così tuona:

«Una stampa fanatica e deviata attribuisce all’uomo che non accetterebbe la separazione la spinta alla violenza. Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni. Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici. Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (forma di violenza da condannare e punire con fermezza) spesso le responsabilità sono condivise».

«… Quante volte vediamo ragazze e signore mature circolare per strada con vestiti provocanti e succinti? Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre e nei cinema? Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e poi si arriva alla violenza o abuso sessuale (lo ribadiamo. Roba da mascalzoni). Facciano un sano esame di coscienza: forse questo ce lo siamo cercate anche noi?»

E perché il parroco di Condera-Reggio Calabria, Nuccio Cannizzaro, cerimoniere della Curia e cappellano della polizia municipale, in una intercettazione sui suoi intrighi, e resa pubblica, così si esprime sulle donne? «A noi preti ci dovrebbero autorizzare almeno una volta nella vita a mettere incinta una donna “per vedere l’effetto che fa”, senza sposarla, qualche prete e qualche vescovo lo ha fatto» … «questo religioso è diventato vescovo nonostante le porcate che ha fatto».

Qualcosa come un semplice tiro al pallone per godersi il gol. O piuttosto fa pensare al piromane malato che appiccato l’incendio poi si gode la terribilità dello spettacolo, incurante della tragedia procurata a piante animali case persone. Il corpo femminile in queste parole è inerte, una bambola gonfiabile, senza volto, solo l’apparato riproduttivo come un’escrescenza alien di godimento, ma anche di punizione.

Chi autorizza cosa? Tanta sensibilità e profondità di pensiero in che rapporto sta con la professione teologica?  Lo ius naturale sul corpo delle donne, la cultura planetaria maschile dell’appropriazione, della rapina sessuale tocca anche il profondo ecclesiastico?

Gli stereotipi sociali correnti assorbiti fin dall’infanzia sono corrosivi e indelebili senza un buon lavoro di conoscenza e di consapevolezza. Un prete non ne è esentato. Ed è ovvio che ci sono uomini e preti meravigliosi.

Quanto al paesaggio culturale dove abitano e convivono le figure teologiche e quelle reali, come quella della donna, studiato e vissuto dall’uomo di chiesa se ne può dare un campionario sterminato. E capire come venga da lontano una certa sostanza strutturante. Se ne sono accorte da un po’ anche le donne ecclesiastiche e ne discutono, con voce più forte oltreoceano.

Levitico, 15

19 Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera. 20 Ogni giaciglio sul quale si sarà messa a dormire durante la sua immondezza sarà immondo; ogni mobile sul quale si sarà seduta sarà immondo. 21 Chiunque toccherà il suo giaciglio, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà immondo fino alla sera. 22 Chi toccherà qualunque mobile sul quale essa si sarà seduta, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà immondo fino alla sera. 23 Se l’uomo si trova sul giaciglio o sul mobile mentre essa vi siede, per tale contatto sarà immondo fino alla sera. 24 Se un uomo ha rapporto intimo con essa, l’immondezza di lei lo contamina: egli sarà immondo per sette giorni e ogni giaciglio sul quale si coricherà sarà immondo.

Dunque occorreva scomparire dalla faccia della terra come appestate o lebbrose, colpevoli per danni personali, sociali e all’ambiente. Lo sbigottimento e la paura dell’uomo arcaico davanti all’affioramento misterioso del sangue sul corpo della donna si codifica con l’isolamento e la punizione, poi la riammissione con la purificazione. Una volta al mese la donna fertile è un essere immondo che turba la collettività e contamina tutto.

Paolo riprende e amplia un precetto del Levitico:

«Di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza» (Prima lettera ai Corinzi, XI).

Ecco lo ius naturale di cui deve godere l’uomo, non due persone pari e responsabili ma una dominante e l’altra subordinata come figurante di utilità, servizio, abnegazione. Figurante di piacere o di curiosità riproduttiva: il mettere incinta senza sposarla, per vedere l’effetto che fa. Il corpo nella sua diversità e bellezza goduto per effrazione senza alcuna responsabilità e insieme negato e punito.

In quanto peccatrice per natura (diaboli ianua) e istigatrice al peccato, anzi origine del peccato primordiale la donna è così descritta da Tertulliano, dottore della Chiesa (De cultu feminarum, 1,1):

«Ogni donna dovrebbe camminare come Eva nel lutto e nella penitenza, di modo che con la veste della penitenza essa possa espiare pienamente ciò che le deriva da Eva, l’ignominia, io dico, del primo peccato, e l’odio insito in lei, causa dell’umana perdizione.

“Nel dolore e nella inquietudine partorirai, donna; verso tuo marito sarà il tuo desiderio, ed egli sarà il tuo padrone”. Cita Genesi 3,16, riproponendo l’inizio della rappresentazione femminile biblica, e continua «Tu sei la porta del demonio!…».

Robert L. Wilken  sull’Enciclopedia Britannica indica Tertulliano come «iniziatore della ecclesiastica latina, determinante nel plasmare il vocabolario e il pensiero del cristianesimo occidentale».

La violazione corporale come punizione interiore profonda (non è così anche lo stupro?) che la donna deve accettare, anche ringraziando:

«Allora il sacerdote farà giurare alla donna con un’imprecazione; poi dirà alla donna: Il Signore faccia di te un oggetto di maledizione e di imprecazione in mezzo al tuo popolo, facendoti avvizzire i fianchi e gonfiare il ventre; quest’acqua che porta maledizione ti entri nelle viscere per farti gonfiare il ventre e avvizzire i fianchi! E la donna dirà: Amen, Amen!» (Numeri 5, 21). Era un rituale (offerta della gelosia) cui poteva ricorrere  il marito sospettoso portando la donna davanti al sacerdote: se la donna era pura, la maledizione per quella volta non avrebbe avuto effetto.

Paolo, senza mezzi termini:

«Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto» (Lettera agli Efesini 5, 22).

La donna provoca anche quando sceglie la vita consacrata? Con doppi sai e coperture integrali? Nei conventi?

Scipione de’ Ricci, vescovo di Prato, riferisce nelle sue Memorie (1°, pg 113) vicende del convento di S. Caterina di Pistoia (ultimo sorcio ’700) dove «quasi tutte le monache erano state in vari modi tentate, e non poche anche sedotte, come apparisce dai loro deposti…» la stessa priora del convento Flavia Peraccini in una lettera riferisce che la situazione è estesa a tanti altri conventi più di quanto non si immagini.

Si dirà che erano altri tempi, ma il rapporto di Maria O’Donohue, suora incaricata dalla Congregazione vaticana per la vita consacrata dietro le molte denunce di violenze sessuali in ambienti ecclesiastici, riferisce che “gli abusi sono diffusi” e perfino del caso di un “prete che spinge una suora ad abortire, lei muore e lui celebra ufficialmente la messa requiem” (Repubblica, 20/3/2011). Una perfetta sceneggiatura horror.

Fino agli anni ’50 – ’60 del secolo passato si usavano i bracieri per scaldarsi. Prima di andare a letto poteva essere infilato sotto le coperte posto in un’armatura a castelletto, convessa. Curioso il modo popolare regionale di indicare questo scaldaletto che ormai non si usa più: il monaco, il frate, il prete, la monaca. Altre dizioni e appellativi, proverbi, filastrocche, fiabe, pietanze, che da sempre richiamano frati, preti, monache, con l’arguzia e il malizioso humor popolare forse ci spiegano molto.

 scaldaletto monaco

Un terzo prete, Piero Gheddo, missionario, scrive per l’Avvenire, Famiglia Cristiana, in un’intervista sugli stupri indiani con una certa deformazione professionale afferma che solo il cristianesimo ha liberato la donna.

«Le femministe dovrebbero ricordarsi del fatto che il cristianesimo ha portato il riscatto della donna molto prima del movimento delle suffragette. Gesù è stato il primo ad affermare l’uguaglianza delle donne dando loro l’opportunità di conoscere i loro diritti, 19 secoli prima del femminismo che risale solo ai primi del novecento».

Padre Gheddo però avanza subito delle riserve:

«In molte attaccano la Chiesa perché non permette il sacerdozio alle donne, ma questo è un altro problema: il fatto che la donna abbia gli stessi diritti dell’uomo non significa che debba fare tutto, in quanto fa ciò per cui è stata creata da Dio…».

La visione modernista della gerarchia riconosce cioè pieni diritti tra uomo e donna, ma con riserva. Altre riserve per persone che di fatto formano generi: gay, lesbiche, transgender…

L’assunto dottrinale del subordine femminile nelle gerarchie ecclesiastiche è perpetuato oggi con strumenti moderni, non più per fortuna via tortura, inquisizione e rogo (l’ultima strega fu arsa in Italia intorno ai primi dell’ottocento), ma per esempio tramite commissariamento delle suore americane impertinenti, con supervisione della gerarchia maschile.

La Leadership Conference of Women Religious (LCWR) è un’organizzazione che accoglie le 1.500 madri superiore degli ordini religiosi americani  cui fa capo la gran parte delle 60-70.000 religiose. Ha espresso una grande vivacità operativa e culturale per aver innescato intensi dibattiti su come coniugare religione e contemporaneità e per aver fatto emergere la soggettività della componente femminile nello sfondo del magistero ecclesiale. Temi come l’ordinazione sacerdotale femminile e la disponibilità pastorale verso l’omosessualità sono quelli che più hanno disturbato la gerarchia, e poi i temi bioetici, la pena di morte, non ultimo il sostegno alla riforma sanitaria dato a Barak Obama.

W. J. Levada, cardinale statunitense, successore di Ratzinger  come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio) condusse un’inchiesta sulla LCWR da cui emersero “seri problemi dottrinali”: vi  sono raccolti comportamenti e affermazioni pubbliche che «sfidano i vescovi autentici maestri della Chiesa, della fede e della morale … temi da femministe radicali incompatibili con la dottrina cattolica». Un arcivescovo è stato preposto a seguire e supervisionare l’operato ed è stato istituito un progetto di riforma della stessa LCWR. Per contro le religiose si sono definite «sbalordite dalle conclusioni della valutazione dottrinale» e dalla poca trasparenza del procedimento. In conclusione ad agosto 2012 nell’udienza consuntiva con 900 delegate presenti ha vinto la diplomazia nel senso del dialogo, pur vigilato dalla gerarchia. Una frattura scismatica di 60-70mila donne religiose accusate di radical feminism, con tutto il loro seguito, oggi sarebbe molto temibile.

Il termine femminismo ricorre spesso come accusa virale nei media di massa come classifica negativa di pensiero e operato femminile ribelle, provocatorio, eversivo. E’ dunque incluso anche tra le riserve confessionali delle categorie dell’essere donna…

Cosa sia femminismo vivo e costruttivo si può vedere dal brano riportato più avanti. Qualcosa per cui ogni donna può comunicare, creare, lavorare per se stessa e per le altre con l’obiettivo di opporsi ad una condizione collettiva subita di sopruso, sfruttamento, privazione.

«Una singolare forma di ribellione al femminile si è verificata in questi anni proprio nelle zone rurali dell’India, dove più arretrate sono le condizioni di vita e minori le speranze delle donne di “emanciparsi”, di sfuggire al loro destino di oggetti di proprietà del marito. Nello Stato settentrionale dell’ Haryana è iniziata una campagna intitolata: “No WC, No Bride”: molte giovani donne  si sono rifiutate di sposarsi  a meno che il pretendente non fornisse la loro  futura casa di un bagno. Stufe di utilizzare servizi igienici comuni, di accovacciarsi nei campi, e di soffrire per infezioni genitali divenute spesso croniche a causa della carenza d’igiene personale,  queste donne hanno dato voce al loro disagio utilizzando l’unica arma a loro disposizione: la loro verginità, il loro essere donne e mogli…(Silvia Carena).

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Udi Catania – luglio 2012

Bentornata Rossella – Rossella Urru è a casa.

Paese – Libia/ Le prime elezioni: elette 33 donne (= 16,5% su tot. di 200).

Paese – Palestina / Bashayir, 15 anni, sindaca palestinese (mentre non c’è scuola).

… nei Territori palestinesi: nel villaggio di Illar, a 20 km a nord di Tulkarem una ragazza di 15 anni, Bashayir Uthman, ha assunto l’incarico di sindaco per due mesi, la durata delle sue vacanze scolastiche. Si tratta di un coraggioso esperimento di educazione alla pace, all’amministrazione dell’Autonomia palestinese, alla parità…

Paese – Siria / Donne in armi: siriane di Homs hanno deciso di armarsi contro le violenze del regime di Assad.

Paese – Grecia / Un quinto di donne nel nuovo Parlamento (=20% su 200)

Paese – Mondo / Corte Penale Internazionale – La nuova giudice Fatou Bensouda (giudice del Gambia), inizia il suo mandato

Paese – Mondo / Leila Zerrougui, esperta giuridica algerina, nominata Rappresentante speciale aggiunta all’ONU, a difesa dei bambini

Paese – Mondo / Tutte alle Olimpiadi, umiliate le saudite … Sarah e Wodjan

ALLEGATO : Persone/Libri/Film

Racconto tutto al giudice Borsellino” sul n.25 (luglio/agosto) della rivista online Casablanca

… è nata l’ABEM, Associazione Biblica Euro-Mediterranea

 Mediterranea_luglio_2012

 

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Udi Catania – maggio 2012

Maggio 1948 – Maggio 2012 / AL NAKBA / LA PALESTINA NEL CUORE

Paese-AlgeriaMai tante donne in Parlamento, oltre un terzo dei deputati

Paese-TunisiaLa disperazione delle madri dei dispersi, tentato suicidio col fuoco

Paese-Siria / La repressione durissima contro l’informazione

Paese-Israele / Studi rabbinici aperti agli omosessuali

Paese-Città del VaticanoContro le suore della Lega delle Religiose Americane – LCWR

Paese-Mondo / Allarme per le recenti posizioni della Commissione ONU per lo Statuto delle Donne. La rete internazionale delle organizzazioni delle donne è in allarme per la posizione assunta dalla Commissione dell’ONU sullo Statuto delle Donne nel corso della sua recente sessione (15 marzo), che rimetterebbe in discussione, nei suoi documenti, il riferimento ai ‘diritti umani e libertà fondamentali delle donne’ reintroducendo la inaccettabile espressione ‘valori tradizionali’. La rete ha espresso la sua opposizione a qualsiasi rinegoziazione degli accordi internazionali che riguardano intoccabili diritti umani delle donne.

Paese-Continente Africa / Abolire la pena di morte in tutto il Continente africano.

Paese-Italia / Lista ‘Binah’, il femminile nell’ebraismo. Le donne della Comunità Ebraica di Roma (la più numerosa in Italia) hanno presentato una loro lista (‘Binah’, termine che nella Kabala indica la saggezza pratica) per le elezioni del nuovo Consiglio dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane, UCEI, previste il 10 giugno …“ anche nella Comunità ebraica, come in politica e in molti altri ambiti della nostra società, la presenza femminile è sempre minoritaria e marginale. (…) Siamo per il pluralismo, la condivisione e la partecipazione nelle politiche comunitarie ai fini di una piena realizzazione della democrazia”.

ALLEGATO : Persone/Libri/Film…

Mediterranea_maggio_2012

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Udi Catania speciale Comiso Aprile 2012

L’UDI di Catania diffonde l’appello del Centro Studi Pio La Torre

Il 4 aprile di trenta anni fa oltre centomila siciliani, ma anche tanti, tantissimi giunti da ogni parte d’Europa, sfilarono per le campagne di Comiso, dentro la città per dire no alla costruzione di una base militare che avrebbe dovuto accogliere 112 missili cruise a testata nucleare. Erano parte di un poderoso movimento europeo che per un decennio, in un continente diviso dal muro di Berlino e minacciato dalla guerra atomica, combatté per liberare il mondo dal dominio delle superpotenze di allora, Stati Uniti e Unione Sovietica, convinto della necessità di un’Europa “senza missili dall’Atlantico agli Urali”, in cui solo la pace e la distensione – e non il riarmo – avrebbero facilitato i processi di democratizzazione nell’Est Europeo. I missili a Comiso indicavano che il nuovo fronte del conflitto si stava spostando nel Mediterraneo: il nuovo nemico del nord era ormai il sud, come la storia degli anni successivi ha poi dimostrato.

Mediterranea_speciale_comiso_aprile _2012

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Udi Catania – marzo 2012

MondoGiornata Internazionale della Donna 2012 / Dal messaggio della Direttora ONU Donne, Michelle Bachelet

Paese-IranL’8 marzo delle iraniane: prima di tutto contro la guerra

Paese-FranciaStrage nella scuola ebraica di Tolosa

Paese-IsraeleNaom, 18 anni, dice no al servizio militare obbligatorio

Paese-AfghanistanNei negoziati di pace coi talebani i diritti delle donne saranno svenduti?

Paese-KuwaitLe donne arretrano, sono fuori dal nuovo Parlamento

Paese-Turchia / Dibattiti accesi intorno alla statua di una donna nuda che allontana da sé il velo

Paesi del GolfoArabia Saudita / Kuwait / Emirati / Beni, capitali e lavoro delle donne del Golfo

Paese-Palestina / Gaza / Le ragazze e i ragazzi del Club del Libro

Paese-TunisiaCongresso Internazionale delle donne islamiste, per il califfato

… un avvenimento senza precedenti: “Le donne mussulmane si riuniscono per sostenere che non vogliono vivere nelle società democratiche secolari e liberali, ma nemmeno in sistemi come quello saudita o iraniano, che si presentano come stati islamici ma in realtà sono dittature – il califfato è la risposta, nel califfato le donne lavoreranno e avranno un ruolo politico, anche se la loro principale missione è quella di allevare i bambini e sostenere il nucleo familiare” (dichiarazioni alla stampa della delegata britannica Nasrine Nawaz.)

Mediterranea_marzo_2012

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Segni preoccupanti di cedimento sullo Statuto delle Donne in discussione in una Commissione all’Onu dove una espressione neutra è preferita  ad una diretta e riferita a diritti e libertà delle donne.

Donne, Umano? Stai scherzando? 

(da women in the city)

Nel corso della sessione di Marzo di una delle sue Commissioni sullo Statuto delle donne (conclusasi il 15 marzo 2012), l’ONU ha sostituito l’espressione “Diritti umani e libertà fondamentali delle donne” con l’espressione “valore tradizionale”. Una decisione piena di conseguenze per le donne, massicciamente maltrattate in tutte le tradizioni patriarcali, denuncia una rete internazionale di organizzazioni e movimenti di donne che dice “No a qualsiasi riapertura dei negoziati sugli accordi internazionali sui diritti umani delle donne”,  e chiede ai governi, tutti e nessuno escluso, “di dimostrare il loro impegno a promuovere, proteggere e realizzare i diritti umani e le libertà fondamentali delle donne.”

La rete internazionale della quale fanno parte  Asia Pacific Forum on Women, Law and Development (APWLD), Association for Women’s Rights in Development (AWID), International Women’s Heath Coalition (IWHC), International Women’s Rights Action Watch Asia Pacific (IWRAW ASIA PACIFIC),  Women Living under Muslim Laws/ Violence is not our Culture Campaign, ha sottoscritto una Dichiarazione indirizzata agli Stati membri dell’ONU, alle agenzie ONU sui diritti umani, alle agenzie ONU ed agli organismi per lo sviluppo.

Pubblichiamo  il testo integrale della Dichiarazione (engl), postata il 6 maggio su www.feministes-radicales.org


Women, Human ? Are You kidding ?

The fifty-sixth session of the Commission on  the Status of Women took place at United Nations Headquarters in New York from Monday, 27 February to Friday, 9 March 2012. The closing meeting  was held on 15 March 2012.

The UN Commission on the Status of Women failed to adopt agreed conclusions at its 56th session on the basis of safeguarding « traditional values » at the expense of human rights and fundamental freedoms of women.

Together with our partner feminist and women’s rights organisations, we say NO to any re-opening of negotiations on the already established international agreements on women s human rights and call on all governments to demonstrate their commitments to promote, protect and fulfill human rights and fundamental freedoms of women.

We have outlined our concerns in the statement below, which will be submitted to UN Member States, CSW and other relevant UN human rights and development entities.

Thank you for your support.
Asia Pacific Forum on Women, Law and Development (APWLD)
Association for Women’s Rights in Development (AWID)
International Women’s Heath Coalition (IWHC)
International Women’s Rights Action Watch Asia Pacific (IWRAW ASIA PACIFIC)
Women Living under Muslim Laws/ Violence is not our Culture Campaign

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 Udi Catania – febbraio 2012

Speciale Tunisia

Intervista a Suhary Belhassen a cura di Choisir la Cause de Femmes (Febbraio 2012)

MEDITERANEA sta seguendo, col suo punto di vista, l’evolversi dei processi di cambiamento in atto da un anno in Nord Africa e in Medio Oriente (‘le primavere arabe‘, la ‘rivoluzione’ tunisina). Un rilievo paritcolare ha per noi la situazione in Tunisia e le trasformazioni in atto in quel Paese, che riguardano in profondita l‘intera società e riposizionano le donne.

Per fare il punto sullo stato dell‘arte abbiamo tradotto un‘intervista a Suhayr Belhassen, giornalista in prima fila per i diritti delle donne e Presidente della Federazione lnternazionale dei Diritti dell’Uomo. L’intervista è stata  raccolta da “Choisir la Cause des Femmes“, l’autorevole associazione di donne presieduta da Gisele Halimi. Contiene alcuni dei nodi che determineranno l’evoluzione o l’involuzione del rinnovamento democratico della Tunisia e soprattutto ci fornisce il punto di visia di una donna  ‘sul campo’.

L’intervista a Suhayr Belhassen (febbraio 2012)
Come sta evolvendo la situaziane delle donne in Tunisia dopo la fine della rivoluzione e in particolare dopo le elezioni legislative che hanno assegnato il 44% dei seggi delI‘Assemblea Costituente al partito Ennahda? …

 … La rivoluzione non ha portato nulla alle donne? … Come si presenta la società civile in Tunisia? … Come possiamo sostenere le donne tunisine?

Mediterranea  febbraio 2012

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Tunisia – Il Sindacato UGTT esclude le donne dai ruoli di responsabilità

Alle Sedi e Gruppi locali UDI
Alle Donne dell’UDI
[4/1/’12] 
In allegato e di seguito vi trasmettiamo Comunicato Stampa inviato, in data odierna  in merito a:
 
Tunisia – Il Sindacato UGTT esclude le donne dai ruoli di responsabilità

Si è tenuto negli ultimi giorni dell’anno appena trascorso il Congresso della centrale sindacale tunisina UGTT: un congresso molto importante per il rinnovamento della storica organizzazione, che ha organizzato e partecipato alla lotta per la cacciata di Ben Ali e che per molti anni è stata una isolata voce di resistenza nel Paese.

In tutti i grandi appuntamenti, in tutte le lotte, le donne e le sindacaliste tunisine (nella scuola, nel tessile, nel turismo) sono state parte attiva e in preparazione del congresso di dicembre hanno presentato le loro candidature nelle diverse liste per la Direzione (Bureau Executif) nazionale dell’UGTT.

Fino a pochi giorni prima del congresso il portavoce del sindacato aveva confermato che la presenza delle donne negli organismi dirigenti ‘è un principio inviolabile per l’UGTT’: ricordiamo che le donne sono oltre il 47% degli iscritti al sindacato in tutto il Paese!

Nella nuova Direzione eletta dal congresso, composta da 13 rappresentanti, non ci sono donne.

Hanno presentato la loro candidatura: Wassila Ayachi, Habiba Selliti, Mongia Zebidi, Naima Hammami, Fadhila Melliti.

A loro il nostro sostegno e incoraggiamento. All’UGTT tutta ci permettiamo di dire: peccato, avete mancato un appuntamento importante, non avete onorato la storia della vostra organizzazione. Auspichiamo che al più presto troviate la strada per correggere l’errore e dare i giusti riconoscimenti alle sindacaliste, nell’interesse della giovane democrazia tunisina e di tutte le donne e gli uomini che lavorano e lottano per una democrazia reale.

Le Responsabili della Sede Nazionale

Vittoria Tola – Grazia Dell’Oste

UDI – Unione Donne in Italia
Sede nazionale Archivio centrale
Via dell’Arco di Parma 15 – 00186 Roma
Tel 06 6865884 Fax 06 68807103
udinazionale@gmail.com
www.udinazionale.org

***

Una notizia passata inosservata e non commentata dalla stampa, data l’importanza del Congresso UGTT in questo momento. La Confederazione sindacale tunisina è forte di quasi mezzo milione di iscritte e iscritti e questo suo 22° Congresso è il primo del nuovo corso dopo la rivoluzione democratica. Non vi è dubbio sui propositi democratici e sull’osservatorio democratico istituito (aspre sono state le critiche ai delegati uscenti), ma è inspiegabile l’assenza delle donne nel direttivo sebbene quattro abbiano presentato la loro candidatura. Sebbene moltissime donne del sindacato abbiano avuto un ruolo attivo nelle proteste e nei sit-in di piazza da quando il giovane Mohamed Boaziz si diede fuoco. E sebbene Ahlem Belhaj, rappresentante dell’Associazione Tunisina Donne Democratiche, nel primo giorno dei lavori, abbia richiesto con forza col suo intervento parità nelle cariche e per i diritti di genere all’interno della struttura sindacale. Facendone una proposta per l’inserimento non solo nello Statuto sindacale, ma anche nella Costituzione nazionale.  Sette le donne inizialmente su 50 candidati, in cinque liste poi ridotte a tre di 13 candidati. Nel nuovo Comitato Esecutivo di 13 membri, su quattro uscenti tre sono stati rieletti, nessuna donna dunque, e Hassine Abbassi eletto segretario generale, proveniente dal mondo della scuola. (fonte CGL)

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mediterranea

Udi Catania – dicembre 2011

Paese – Egitto. Il Consiglio Supremo delle Forze Armate Egiziane scatena la violenza contro le donne. Sdegno in tutto il mondo, manifestazioni di donne nei Paesi arabi: le donne sono la linea rossa!

Diffusa su internet, la foto della ragazza trascinata a terra, spogliata e presa a calci dalle forze speciali testimonia una fase nuova e preoccupante del corso dell’Egitto dopo – Mubarak, mentre nelle operazioni di completamento del processo elettorale si conferma il successo delle formazioni islamiste …

Tunisia. Solo 3 donne nel nuovo governo.

… Dati Save the Children, Atlante dell’Infanzia. In Italia 1.876.000 minori vivono in situazione di povertà. Nel Mezzogiorno vivono in povertà relativa 2 minori su 3, quota più alta in Sicilia (44%), seguita da Campania (31%) e Basilicata.

Arabia Saudita. Diritto alla guida per le donne? Pericolo per la verginita

Afganistan. Una donna è incarcerata per adulterio, in realtà per stupro, ma viene graziata a patto di sposare il suo violentatore …

Mediterranea_dicembre11 

(Mediterranea si prepara ad uscire in formato multilingue: Italiano/Inglese/Francese).

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All’ambasciatore Claudio Pacifico

L’UDI – Unione Donne in Italia rivolge un appello di solidarietà per le donne egiziane tramite l’Ambasciata italiana al Cairo dopo gli sconvolgenti avvenimenti di piazza Tahrir  dove una donna è stata malmenata dai militari, calpestata, trascinata e spogliata come estrema offesa al suo essere donna e donna musulmana. Un invito a quante/i volessero aderire di inviare mail all’ambasciatore Claudio Pacifico.

 

UDI – Unione Donne in Italia

Sede nazionale Archivio centrale

 

Ambasciata Italiana Cairo

Ambasciatore Claudio Pacifico

e-mail ambasciata.cairo@esteri.it

 

Gent.mo Signor Ambasciatore,

le rivolgiamo un appello affinché tramite la nostra Ambasciata arrivi, tra le altre, anche la nostra voce di solidarietà e vicinanza alle donne egiziane colpite dalla violenza delle forze di repressione: “Le donne sono la linea rossa per la libertà, la democrazia e i diritti umani”. L’Italia, partner del nuovo Egitto, deve fare sentire la sua voce, quella di mille e mille donne italiane che non tollerano la violenza, ovunque, contro popolazioni indifese, contro ragazze e donne colpite nella loro dignità e nel loro diritto a manifestare. Noi siamo a fianco delle egiziane che vogliono un Paese (e un Mediterraneo) di democrazia, di diritti e di pace.

UDI – Unione Donne in Italia

Sede nazionale Archivio centale

Le Responsabili della Sede Nazionale

Vittoria Tola

Grazia dell’Oste

Via dell’Arco di Parma 15 – 00186 Roma / Tel. +39 06 6865884 Fax +39 06 68807103 / udinazionale@gmail.com – www.udinazionale.org

 

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Rivoluzionarie

 

(foto da wuz.it)

La politica delle madri

Le madri di Plaza de Mayo hanno vinto per i tanti loro “Figli”

CI CHIAMAVANO le pazze, e qualcuno pensava che fosse un’offesa. Certo, ci mettevano dentro i giovedì, e noi ritornavamo. Ci dicevano, eccole , le pazze. Le arrestiamo e loro ritornano. Ma noi sapevamo di essere pazze d’amore, pazze dal desiderio di ritrovare i nostri figli … E poi, perché no? Un po’ di pazzia è importante per lottare”. Sono parole di Hebe de Bonafini, presidente delle Madri argentine di Plaza de Mayo, che dopo il golpe del 24 marzo 1976, ebbero il coraggio di sfidare la dittatura e conquistare la piazza, decise a ritrovare i figli scomparsi. Caduta la dittatura, le Madri continuarono a chiedere giustizia ed oggi possiamo dire che hanno vinto definitivamente.

L’ultima condanna ai criminali argentini è di questi giorni. Alfredo Astiz, “l’angelo della morte”, che uccise anche la fondatrice delle madri, Azucena Villaflor, con altri undici torturatori dell’Esma, l’Auschwitz della dittatura argentina, è stato condannato all’ergastolo e altri 4 torturatori a 18, 20 e 25 anni di carcere. Madri coraggiose, che hanno saputo, con l’azione, tenere accesa la speranza, quando il futuro era buio, non solo in Argentina ma in tutta l’ America latina, dove governavano dittatori con il beneplacito della Cia.

Oggi, dopo più di 30 anni, tutto quello per cui le Madri hanno lottato è diventato coscienza collettiva. Il Cile di Pinochet, l’Argentina di Videla, l’Uraguay di Alvarez, il Brasile di Garrastazu Medici, appartengono ormai al passato. In Cile sette ex alti ufficiali dell’esercito saranno processati per il sequestro di tre uruguaiani, scomparsi subito dopo il golpe del 1973 che portò al potere Pinochet. In Uraguay la Camera ha approvato una legge che dichiara i delitti commessi durante la dittatura militare del ’73 – ‘85 crimini di lesa umanità e pertanto imprescrittibili, abolendo di fatto la legge sull’impunità. In Brasile il Senato federale ha finalmente approvato la creazione di una Commissione per la verità, che dovrà investigare sui crimini e abusi, violazioni dei diritti umani, durante la dittatura militare del ’64 – ’85. In Guatemala l’ ex dittatore Mejia, al potere dal 1983 al gennaio ’86, è stato accusato, insieme ad altri militari, di crimini di guerra e genocidio.

Le Madri hanno vinto, sono loro che hanno scavato sulla pietra per anni, giorno dopo giorno, senza violenza, senza disperazione, e alla fine le loro idee sono divenute coscienza collettiva. Questo vuol dire che “nessuno perde quando vincono le donne”, come titola Via Dogana, l’ultimo numero della rivista di pratica politica delle donne della Libreria di Milano.

< La storia –  scrive Rebecca Solnit – non è  un esercito, non si muove in linea retta, ma piuttosto come un granchio spaventato, o un rivolo di acqua che gocciola sulla pietra, consumandola>, il che vuol dire – come ci insegnano le Madri – che non sempre le conseguenze di un’azione sono immediatamente valutabili.

“Quello che a volte non riesce a milioni di persone, può riuscire a una decina di donne”, loro erano in 14 e, da quel lontano 1976, hanno cambiato l’Argentina e reso possibile, nel presente, l’elezione a presidente di una donna, Cristina Kirchner.

“Siamo figli delle Madri di Plaza de Mayo” disse il presidente Kirchner nel suo intervento all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, quel presidente che, insieme alle Madri e a tutto il popolo, si oppose alle politiche del Fondo Monetario, che portò l’Argentina al collasso con la crisi economica del 2001 – 2002.

E’ così che le Madri rivendicano i valori rivoluzionari e di giustizia sociale dei propri figli. Figli delle Madri sono Brasile, Bolivia, Cile, Uraguay, Venezuela, Equador che, da laboratorio preferito del neoliberismo alla fine degli anni ’70, divennero nel 2004 scenario di straordinari movimenti contro la privatizzazione dell’acqua, del gas naturale, delle terre, per la giustizia, la democrazia, la riforma agraria e i diritti dei popoli indigeni. Le questioni sollevate dalle Madri, dai popoli del Sudamerica e dal movimento per la pace, che irruppe nel mondo per prevenire la guerra in Iraq, sono oggi patrimonio comune, beni comuni, riconosciuti e riconoscibili nel movimento degli indignados, che hanno già di fatto dato vita a un nuovo ordine simbolico mondiale, di origine femminile, che pone al primo posto la qualità della vita, non il denaro e il mercato.

Franca Fortunato
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Appello delle Donne Tunisine

Da UDI Catania.

Edizione straordinaria di MEDITERRANEA, agosto 2011.

Carissime,

abbiamo tradotto per MEDITERRANEA un documento del 13 agosto che a noi sembra significativo, è l’appello delle donne tunisine che contribuisce con contenuti di libertà e modernizzazione al processo in corso nel paese, che andrà all’approvazione della nuova Costituzione, verso la quale non mancano attacchi e pericoli di passi indietro.

Abbiamo voluto un’uscita straordinaria (agosto) di Mediterranea, per diffondere il documento e vedere cosa riusciamo a coagulare – le nostre amiche tunisine sono tutte dentro la mobilitazione, parleremo con loro per concretizzare un’iniziativa in Sicilia prima di ottobre.

Affettuosi saluti,
Carla Pecis per MEDITERRANEA dell’UDI Catania

Numeri precedenti di MEDITERRANEA

maggio-giugno

giugno-luglio

luglio

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Punto G, Genova 2011

La terra siamo noi.

Si è tenuto a Genova dal 25 al 26 giugno il meeting internazionale “Punto G: Genere e Globalizzazione”.

E’ stata un’esperienza energizzante soprattutto per il vivace scambio generazionale che ha caratterizzato il dibattito; interessanti in questo senso gli interventi di Eleonora Cirant, Susanna Camusso e Dacia Maraini. La presenza di giovani donne e di femministe di antica data ha consentito di mescolare esperienze e di sperimentare nuovi percorsi. Produzione e riproduzione, lavoro e maternità, da sempre al centro del dibattito, si sono incrociati con i temi del rispetto dell’ambiente e della convivenza civile. A 10 anni dal Genova Social Forum e dal Punto G del 2001 che raccolse 1000 donne, 140 gruppi femministi nazionali ed internazionali, a rileggere i documenti e le elaborazioni prodotte allora si raccolgono indicazioni ancora preziose e profetiche: per l’allargamento del fenomeno sessista e razzista, per la riduzione complessiva delle libertà, per l’inquinamento del pianeta.

E proprio su quest’ultimo aspetto si sono concentrati i lavori del laboratorio: la terra siamo noi. Tema affascinante, scelto da Monica Lanfranco e dalle sue amiche per uno dei laboratori del meeting.

La terra siamo noi sintetizza in maniera molto efficace un percorso millenario avviato dalle donne già dal Paleolitico e che arriva fino ai giorni nostri. Di questo lunghissimo percorso, nel tempo, si sono cancellate le tracce; la cultura patriarcale, in questo senso, è stata molto pervasiva e devastante, quasi quanto il fondamentalismo cattolico che ha provveduto a sbiancare le madonne nere e a coprire i seni nudi delle grandi madri, a dimagrire progressivamente i fianchi larghi della madre terra, fino a farla diventare minuta e vestita da suora.

Queste due culture come le lame affilate di una stessa forbice hanno provveduto nei secoli, nei millenni a tagliare, rimuovere il culto della madre terra, e con essa hanno rimosso i valori di speranza e trasformazione, di pace e rigenerazione, di accoglienza e compassione.

Ma nonostante questo lavoro costante e sistematico di cancellazione, è possibile rinvenire qua e là tracce, reperti archeologici significativi.

In Puglia vicino ad Ostuni è possibile visitare, prenotandosi, la grotta di S. Maria di Agnano dove, accanto ai resti di una giovane madre in attesa di epoca paleolitica, possiamo ammirare un dipinto del ‘700 di una Madonna con bambino.

Questa grotta spiega quasi didatticamente la trasformazione del culto millenario della dea-madre nella venerazione della madonna.

E’ possibile trovare tracce, se solo lo desideriamo e abbiamo occhi per vedere, rinvenire reperti, documenti, esperienze di vita quotidiana che testimoniano la persistenza del culto della madre terra, e di un particolare modo di concepire la propria esistenza e il proprio posizionamento nel mondo, dell’ io e del noi sulla terra … nella continua ricerca di armonia con i suoi elementi e con i suoi abitanti.

E’ possibile osservare tracce archeologiche e testimonianze quotidiane della persistenza del culto della madre terra in tutto il mondo. Esistono studi multidisciplinari ormai accreditati in ambito accademico (dal genetista Luca Cavalli Sforza a Marija Gimbutas, da Heide Göttner-Abendroth a Lucia Chiavola Birnbaum), sono tante, inoltre, le esperienze di movimento che si richiamano al rispetto della terra madre; entrambi i percorsi sono rintracciabili, se solo abbiamo la curiosità di approfondire questo tema che è una sorta di motivo di fondo che accompagna da sempre la nostra esistenza.

Allora scopriamo che c’è qualcosa di profondo, direi quasi di ancestrale, che risveglia le coscienze intorpidite da un quotidiano che nega sistematicamente i diritti, i doveri, che ci mostra un mondo in cui i più furbi hanno la meglio e l’intelligenza profonda viene messa ai margini. Uno dei video realizzati per il Punto G ci mostra che la crisi economica in atto era stata ampiamente prevista, i segnali dal mondo erano già piuttosto evidenti dieci anni fa ma non c’erano occhi per vedere, orecchie per sentire.

Ma c’è qualcosa che ad un certo punto squarcia il velo di bugie, che rimette insieme i pezzi di una realtà distorta, che fa decidere a Lorella Zanardo di girare il video sul corpo delle donne, che fa esultare Alex Zanotelli per la vittoria dei sì per l’acqua, e affermare che è la terra che ha vinto …. è la madre!

Quando i veleni, sia quelli che inquinano la terra e le acque, sia quelli quotidiani che inquinano la democrazia raggiungono livelli di non ritorno, accade che … il 13 febbraio si scenda tutte-i in piazza per la DIGNITA’ delle donne, tutti insieme più di un milione di persone per strada donne, uomini, anziani, bambini.

Accade che in Calabria si raccolgano migliaia di firme per fare luce sulle navi dei veleni della ‘ndrangheta e degli affaristi senza scrupoli del nord.

Quando i calabresi hanno avuto la consapevolezza che veniva messa in discussione l’esistenza stessa, la vita dei loro figli e dei loro futuri nipoti non ci sono stati tavolini e braccia sufficienti per raccogliere le firme e l’indignazione delle persone. E’ così che i referendum diventano incredibilmente chiari a tutti e consentono il raggiungimento del quorum … cosa che non avveniva da anni. L’acqua, le centrali nucleari, il legittimo impedimento potevano diventare punti di non ritorno, ma non è stato così.

E’ la terra, la madre terra rigeneratrice che è dentro di ciascuno di noi che ci chiama, che ci fa dire ora BASTA, che ci fa dire SE NON ORA QUANDO? che ci fa prendere treni, auto con il caldo e che ci ha portate ancora a Genova, donne del sud, dell’area mediterranea, del nord, tutte insieme.

Dieci anni fa mentre erano in atto i preparativi per il Genova Social Forum, mi stavo organizzando anch’io per partire, ero al quinto mese di gravidanza e mi sentivo in gran forma, ma ad un certo punto dal tenore dei messaggi che giravano sulla rete ho capito che non sarebbe stata una passeggiata e neppure una festa ed ho deciso di non partecipare, proteggendo mia figlia Gaia che placidamente cresceva e prendeva forma. Sono però ritornata lo scorso anno con lei nel febbraio 2010 per una iniziativa sull’eco femminismo organizzata da Monica Lanfranco e dalla rivista Marea, un trimestrale di attualità e riflessioni, critica e informazione per dire lo stare al mondo delle donne.

Marea … e proprio pensando alle maree che oggi mi sento di dire che dobbiamo evitare le risacche, dobbiamo porci il problema di come facciamo a trasmettere i nostri saperi, a mettere in campo politiche efficaci per far cambiare realmente il vento e spazzare via gonnelline leziose su gambette incerte. Abbiamo elaborato negli ultimi quarant’anni saperi di genere sofisticatissimi, abbiamo istituito Centri di Women’s studies nelle università, Torino e l’Università della Calabria sono state tra le prime, abbiamo creato centri di documentazione autorevoli, realizzato strumenti di comunicazione, utilizzato tecnologie dell’informazione …

Ma in che modo abbiamo cambiato le nostre vite e quelle delle nostre figlie, delle nostre compagne di viaggio?

Allora mi sembra che al primo punto in agenda ci sia la questione dell’efficacia, e su questo aspetto credo che sia necessario partire da una sorta di A, B, C della comunicazione e della strategia politica.

Come facciamo per fare in modo che le ragazze più preparate dei loro compagni abbiano pari e dignitose opportunità di lavoro, come facciamo per evitare discriminazioni?

Come facciamo a trasmettere i nostri saperi alle bambine, ai bambini, alle ragazze ed ai ragazzi?

Come facciamo a progettare moduli specifici per le scuole? Poiché uno dei nodi è proprio l’efficacia della trasmissione dei saperi ed abbiamo la consapevolezza che su questo terreno, in passato, i nostri femminismi hanno fallito.

Come facciamo per proporre bilanci partecipati e di genere alle amministrazioni pubbliche? E come controlliamo che siano realmente partecipati?

Come facciamo a vivere in armonia con la terra e i suoi abitanti?

I punti di non ritorno sono stati superati, l’indignazione si è resa palese, è tempo di evitare le risacche, sempre in agguato, e procedere spedite.

Mi rendo conto che in poche righe è difficile tenere insieme tanti temi, ma c’è bisogno di esercizi di equilibrismo per tenerci tutte insieme nelle nostre differenze culturali, generazionali. Siamo confortate da studi e ricerche compiute negli anni da donne autorevoli e da esperienze di vita quotidiana di movimento. E come sempre intrecciare teorie e pratiche politiche può servirci per avere indicazioni sulla rotta.

Quello che non ci serve è un banale spiritualismo fai da te.

Nadia Gambilongo

appof: puntoggenova2011

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Manal e le altre

Io non ho paura di nessuno. Be’ con grandi protezioni alle spalle si può dire. Manal al Sharif ha sfidato, come donna, il potere non certo femminile in Arabia Saudita, senza salvaguardie di nessun genere. E con lei tutte le donne per una delle azioni più comuni: guidare l’auto, vietata per loro in quel paese.

Manal è una delle organizzatrici via web della campagna per l’abolizione del divieto di guida per le donne, campagna che data fin dal 1991, quando furono bloccate in massa, ad oggi senza alcun esito. E di nuovo in massa al volante, ma non concentrate, oggi 17 giugno le donne  saudite sfidano il regno con una protesta ufficiale. E’ pur sempre una sfida anche se con qualche precauzione: velate in modo rituale, preferibilmente accompagnate da un uomo per facilitare il rilascio se fermate, una bandierina nazionale ben esposta a lato cruscotto, una dichiarazione di fedeltà al regno per evitare accuse di sovversione e naturalmente il simbolo della Campagna.

Manal era stata trattenuta in arresto per nove giorni, perché attivista, per aver guidato e pubblicato il video, per aver invitato alla guida in massa alla data del 17 giugno. Al rilascio, in un comunicato sul giornale al Hayat, Manal riconosce però di aver fatto un errore, dichiara di rinunciare agli obiettivi della campagna e si dice impegnata ad ascoltare solo Allah e il suo paese. E’ facile immaginare con quali argomenti o sistemi di persuasione minacciati o addirittura attuati da parte degli addetti ai lavori.

Nel regno saudita di re Abdullah le donne possono essere solo accompagnate in auto da uomini, parenti o amici, o avere l’autista. E così che una donna manager viene violentata dal suo autista dopo essersi diretto in una zona industriale isolata della città santa di Medina e averla minacciata con la pistola ().    

Il vento del web è inarrestabile dal nord-Africa per le rivoluzioni, all’Italia per acqua e nucleare, all’Arabia Saudita per la patente alle donne …

Innumerevoli i canali sul web dedicati o a sostegno dell’iniziativa per Manal al Sharif: HonkforSaudiWomen, Io guido con Manal, I drive with ManalSaudi Women Revolution 

NON LASCIAMOLE SOLE!

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Nonna Margherita

Al di là di credenze o esoterismi, nonna Margarita è una donna. Ci porta una saggezza antica ultramillenaria, di quando le donne erano l’emanazione più diretta della natura. Curavano la terra e la prole, e gli uomini non avendo ancora il concetto di paternità-proprietà vedevano le nascite come evento straordinario e inspiegabile. Donna e natura come grande madre. E Margarita parla di Maternità universale.

Margarita Nuñez è una curandera india di ascendenza Chichimeca, fa parte di un gran Consiglio degli Anziani, e delle Anziane naturalmente, nell’ambito dei gruppi intertribali americani. E’ portatrice di quei saperi del mondo ancestrale trasmessi di bocca in bocca, descritti da Carlos Castaneda  e che i conquistadores, la civiltà cristiana e quella attuale consumistica non sono riusciti a spegnere.

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8 marzo 2011

 Teresa Mattei una delle prime iscritte all’UDI propose la mimosa come fiore simbolo dell’8 marzo

Prima di riparlare dell’otto marzo passa un anno e qualche volta si salta. In scivolata continua o è festa delle misure (anche maschili), pizza e pub, o gran confusione e povertà di linguaggi nella trasmissione della ricorrenza. Grande fatica ormai per ricordare questa data nella sua accezione storica e di significato essendone ingarbugliato l’intreccio tra geografia, femminismi, politica, due guerre.

Il grande valore della simbologia dell’8 marzo è andato nel tempo ad affievolirsi per due motivazioni principali:

la perenne voracità delle enormi mandibole consumistiche che triturano mamme, papà, capodanni, sanvalentini, pasque-natali…

lo sbiadire della passione civile e sociale con la conseguente atrofizzazione della creatività nel riproporre-rivivere i riti e le simbologie collettive. Tra i grandi imputati l’invadenza dei media incalzanti sul taglio dell’intrattenimento dilettevole a tutti i costi (che influisce sulla percezione personale complessiva del mondo), il disfacimento di politica e ideologie. Si potrebbe aggiungere, specialmente oggi, il grande sforzo della decostruzione e cancellazione di tutto ciò che può dare fastidio ad un grande disegno politico-autocratico.

L’8 marzo andrebbe abolito e cancellato dal calendario. La sinistra si ruba anche l’8 marzo. Mimose e veleni. E’ Silvio il vero femminista. Parola di una ex Lotta Continua… Sono titoletti di alcuni giornali parabolani di oggi.

Loredana Lipperini osserva tuttavia che celebrare l’8  marzo è stato importante anche nella deriva verso il superfluo: perché è servito a ricordare una data in cui le donne potevano contarsi  e, eventualmente, mostrarsi. La citazione è tratta dalla sua prefazione al libro 8 marzo, una storia lunga un secolo di Tilde Capomazza e Marisa Ombra, riedito nel 2009 per Iacobelli Edizioni.

La prima edizione risale al 1987 col titolo 8 marzo. Storie miti riti della Giornata internazionale della donna, cui è seguito un video l’anno dopo, praticamente introvabile. La riscrittura del libro non tocca fondamentalmente l’impianto originario, ma lo integra, lo aggiorna e lo arricchisce alla luce di quanto emerso in questo  ultimo ventennio sulla storia e sul significato dell’8 Marzo.

Nella loro introduzione le Autrici sostengono che tutto sommato questa data mantiene un bel segno di resistenza nel vuoto culturale attuale dove nulla viene rivolto alle donne. Tranne quel poco, rispetto al necessario, che una parte di loro stesse riesce a creare e riservarsi.

Sospettano che ci sia la voglia di non rinunciare ad una tradizione che prima o poi saprà recuperare il più importante dei suoi significati: così pochi – e fragili – sono i diritti effettivamente conquistati e così tante le conquiste minacciate di cancellazione, da poter considerare nuove “esplosioni” di movimento come un evento facilmente prevedibile.

Parole che si possono definire di acuta lungimiranza e… profetiche. Ecco infatti l’esplosione nelle piazze di meno di un mese fa, in quel facilmente prevedibile sembra esservi  la data: 13 febbraio 2011.

Quanto alle radici storiche, sul web è una vera torre di Babele, ogni sito dà una sua versione anche con sviste, rabberci, un patchwork. Eccone uno a caso.

L’origine dell’otto marzo si fa risalire a un incendio: 8 Marzo 1908, Stati Uniti.

L’assenza di sistemi di sicurezza e le pessime condizioni di lavoro causano un grave incendio nell’industria tessile Cotton, una fabbrica ad alta concentrazione di lavoratrici. Nelle fiamme perdono la vita 129 donne, rimaste imprigionate nella fabbrica: Mr. Johnson, il proprietario, usava chiudere le porte durante l’orario di lavoro, per impedire agli operai di uscire… In ricordo della tragedia, sin dagli anni immediatamente successivi al suo accadimento, negli Stati Uniti si organizzano celebrazioni per commemorarla.

Presto l’importanza di questa data, 8 marzo, varca i confini americani: si diffonde in tutto il mondo grazie alle associazioni femministe…

Nel secondo dopoguerra l’UDI, Unione Donne Italiane, sceglie un fiore per questa ricorrenza: la mimosa, profumatissima e impalpabile, povera e selvatica, ma che subito si carica di una precisa connotazione politica…

link consigliati… Galleria fotografica dell’industria tessile Cotton:

http://www.ilr.cornell.edu/trianglefire/primary/photosIllustrations/index.html

Solo che il sito indicato è della Cornell University e riguarda l’incendio avvenuto il 25 marzo 1911 nella Triangle Waist Company in New York City, 146 vittime tra uomini e donne, ben documentato con foto e articoli:

141 Men and Girls Die in Waist Factory Fire, è il titolo del New York Times in prima pagina, servizi a pag. 4.

New York Fire Kills 148: Girl Victims Leap to Death from Factory, in prima  pagina del Chicago Sunday Tribune.

Dell’incendio alla fabbrica tessile Cotton, 8 marzo 1908 a New York, delle 129 operaie morte, di mister Johnson crudelissimo che bloccò le porte, nessun segno. Un evento di tale portata e impatto emotivo avrebbe sicuramente lasciato una traccia con testi e foto nei maggiori giornali newyorkesi e non solo.

L’origine vera della cosiddetta festa della donna è molto intricata e la decodifica o codifica storica è influenzata dal punto di osservazione come non dovrebbe essere. Dunque occorre ritrovare fonti autorevoli, ricerche e studi di prima mano. Se i documenti ci sono, bene, altrimenti non possiamo inventarli, tantomeno ignorarli.

La Giornata internazionale della donna, comunemente la Festa della donna, viene riconosciuta nel 1977 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite (Ris. 32/142 del 16 dic.) che raccomanda agli Stati membri di celebrare nel rispetto delle loro tradizioni. Anche l’Unesco proclama la Giornata, stabilendo direttamente la data 8 marzo. Ed è unificazione mondiale.

La connotazione primaria come ricorrenza di rivendicazione e affermazione di diritti della donna, strettamente legata al mondo del lavoro, non è conferita da una formula ma risale alla seconda rivoluzione industriale-primo novecento e si ritrova in America, in Europa, in Russia. Simbologia civile imprescindibile nella storia moderna. Date diverse ma unico l’obiettivo: diritti alle donne.

Le due ricercatrici Tilde Capomazza e Marisa Ombra ripercorrendo a ritroso il percorso della storia e del significato dell’8 marzo già nel 1987 suscitarono scalpore e molti malumori di fronte alle risultanze e ai documenti esaminati in alcuni anni di lavoro. Furono addirittura accusate (femministe folli) di voler demolire la Festa della donna.

La versione emotiva ricorrente, di Clara Zetkin che a Copenaghen nel 1910 fissa l’8 marzo come Giornata internazionale della donna, in memoria delle donne morte (29 – 129) nell’incendio di un opificio a New York nel 1908 (anche Boston, Chicago), non risulta alla luce della cronaca e dei documenti. Risulta piuttosto una leggenda epico-politica posteriore.

La scoperta che facemmo –  e che è stata per noi stesse causa di sconcerto  – era che all’origine dell’8 marzo non c’era nessun incendio, che nei diversi paesi si sono date nel corso del tempo spiegazioni diverse delle origini della giornata, che quella data è stata effettivamente fissata nel 1921, dalla Conferenza Internazionale delle donne  comuniste, per ricordare una manifestazione di donne con cui si era avviata la prima fase della rivoluzione russa.

Di questa scoperta abbiamo dato prove documentate e analisi dei fatti.

Alla II Conferenza internazionale di Copenaghen del 1910 nessun punto all’ordine del giorno riguarda una giornata internazionale della donna e nessuna ne risulta tra le 18 risoluzioni approvate. Inoltre si tratterebbe se mai di formalizzarla come calendario internazionale dal momento che una giornata è già ricorrente, in America più estesamente che in Europa. Secondo gli atti Clara Essener Zetkin  non fa interventi e quindi proposte durante l’Assemblea generale, ma lavora su altri temi (pg. 74, op. cit.). Tuttavia ha il merito di essere fautrice e divulgatrice, non istitutrice-fondatrice, della Giornata come estensione internazionale di cui pubblica la proposta a titolo giornalistico sul giornale che dirige, Die Gleichheit (l’Uguaglianza), ma con a fine testo una postilla mai spiegata: la mozione è stata assunta come risoluzione.

Il 19 marzo dell’anno dopo, la Giornata verrà celebrata come internazionale in Europa, più largamente in Germania, segno che Zetkin ha diffuso bene tra i suoi forse 100-200 mila lettori. E anche questa celebrazione non è in rapporto né con uno sconosciuto incendio Cotton né con l’altro incendio terribile sopra richiamato, della Triangle Waist Company in quanto avverrà proprio una settimana dopo il 25 marzo. Tanto per dire, l’8 marzo anche il TG 3 ore 14,20 nel servizio relativo lega emozionalmente la giornata all’incendio della Triangle Waist.

Perché il 19 marzo? Alessandra Kollontaj chiarisce espressamente: Non abbiamo scelto questa data a caso… Il 19 marzo 1848 durante la rivoluzione, il re di Prussia dovette per la prima volta riconoscere la potenza di un popolo armato  e cedere… Tra le molte promesse… che in seguito dimenticò, figurava il riconoscimento del diritto di voto alle donne.

In America continuò a chiamarsi Woman’s Day. Nella Russia zarista la prima Giornata internazionale delle operaie ha luogo a Pietroburgo il 3 marzo nel 1913, naturalmente le donne sono malmenate e imprigionate. L’anno dopo lo zar prende precauzioni: le attiviste vengono imprigionate e deportate, così non possono indire la celebrazione.

Nel ’14 la data in Germania si anticipa dal 19 all’8 marzo, ma per comode coincidenze.

Prima volta in Francia nel ’14, al 9 marzo.

Alla Conferenza delle donne di Berlino, 1914, si avanza ancora la richiesta della unificazione delle date (da Americane, Finlandesi, Svedesi), ma ancora non viene approvata: l’importante è che la Giornata sia l’occasione per rivendicare l’emancipazione politica delle donne.

1915, è la guerra e in nessun paese si indice la giornata, tranne che in Norvegia.

Per la storiografia della Giornata il 1917 è l’anno che dà il via all’unificazione della data.

Kollontaj chiarisce (riportato da C. e O.): La fame, il freddo e le sofferenze della guerra l’hanno avuto vinta sulla pazienza delle operaie e delle contadine russe. L’8 marzo 1917 (23 febbraio secondo l’antico calendario) Giornata internazionale delle operaie, esse sono uscite coraggiosamente nelle strade di Pietrogrado. Queste donne, operaie e mogli di soldati esigevano pane per i loro figli e il ritorno dei mariti dalle trincee. In questo momento decisivo l’azione delle donne divenne così minacciosa che le forze di sicurezza dello zar non osarono prendere le misure abituali per bloccare le ribelli e si contentarono di guardare senza comprendere l’onda traboccante della collera popolare…

Termina la grande guerra, abbattuto lo zar tra strascichi ancora della guerra civile, riprendono a Mosca nel ‘19 i lavori della III Internazionale socialista dove si stabiliscono diversi obiettivi e i compiti del costituito Segretariato (Zetkin – Kollontaj affiancate) che deve convocare la Conferenza  e organizzare la giornata internazionale delle donne operaie.

Così la Conferenza  internazionale delle donne comuniste del 1921, (segretaria Kollontaj, 20 paesi, 82 delegate, mancante la delegata italiana per la scissione di Livorno del Partito socialista) fissa l’8 marzo, corrispondente al 23 febbraio nel calendario russo. La motivazione passata è: adotta la data dell’8 marzo come Giornata internazionale dell’operaia, giorno della prima manifestazione delle operaie di Pietroburgo contro lo zarismo.

La data e l’avvenimento determinante per elevare al rango ufficiale ed internazionale la Giornata della donna nell’ambito dell’Internazionale socialista, vennero quindi dalla manifestazione delle operaie e delle contadine russe che diede il via all’abbattimento dello zarismo, massimo simbolo di oppressione all’epoca. E non dall’episodio di un incendio nella fabbrica dove perirono le operaie americane che, potendo trattarsi della Triangle, era avvenuto dieci anni prima, il 25 marzo. Il perché di questa confusione e ambiguità, originata intorno alla festa della donna e trainante dagli anni ’40, non è stato sufficientemente chiarito. Un ragionamento politico seguito dalle autrici porta ad avanzare questa ipotesi: una derivazione apertamente sovietica alla base della celebrazione di una Giornata che doveva unire le donne, di tutte le appartenenze, le avrebbe invece divise. Il potente mito o narrazione delle operaie morte in fabbrica avrebbe portato invece ad aggregarle tutte. E probabilmente così fu.

8 marzo 2011

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13 febbraio

Chi fugge dai commenti del giorno dopo, chi fa finta di niente, chi rettifica. E poi ci si mette anche Sanremo a formattare. Chi è felice per l’ottima riuscita: il 13 ha portato bene.

Un oceano di donne. Strumentalizzate ? politicizzate? radical-chic?

Per la legge dei grandi numeri in un fenomeno o evento c’è sempre qualcosa che non appartiene per statistica obbligata al fenomeno stesso: assumere questo campione per etichettare o derubare di un significato non è corretto. C’erano sindacalisti o rappresentanti di partito o qualche radical-chic naturalmente, ma lo ritengo un “relativo” rispetto ad un “assoluto” rappresentato dalla massa di donne e uomini che erano presenti per esprimere uno stato d’animo e obiettivi che prescindono  da interessi di partito. Non partecipare può aver significato anche allinearsi con quell’area partitica che non condivideva, ed essere accomunati a quel tipo di sentire. 

L’appello è stato lanciato da donne. A quel punto o ci interessava l’appello o ci interessava l’aspetto che queste donne incarnassero i desiderata di un partito. Alla stragrande maggioranza di noi ha interessato l’appello, come raccolta civica degli umori generali. E non mi sembrano ragionevoli i distinguo quando la situazione politica e sociale va verso il disastro. Condivido quanto scrive la sociologa Bianca Beccalli … Vi è il timore che la protesta sia strumentalizzata da chi non ha mostrato una vocazione per questa causa, ma coglie l’occasione per altri scopi. È un timore espresso da una parte del movimento delle donne, la parte più gelosa della propria autonomia rispetto al gioco politico nazionale. È un timore che non trovo fondato e basta un riferimento alla lunga storia dell’impegno pubblico delle donne per rendersi conto che donne e movimenti delle donne si sono intrecciati spesso con movimenti politici più generali … partiti o movimenti politici diversi si sono avvalsi della spinta che proveniva dalla protesta femminile, ma che male c’è se la politica non contraddice ma asseconda quella spinta?

Le valutazioni politico-teorica, sociologica, mediatica, non coincidono sicuramente e il perenne gioco del tiro alla fune è sempre presente.

Una cosa è certa: nessun gruppo, associazione, sindacato o partito, in un solo giorno in contemporanea e con risonanza anche in molte capitali estere, è mai riuscito a raccogliere tante donne. Circa 230 città in Italia e una trentina nel globo. Con tutto l’intorno di radio e televisioni, stampa, fb, sms. La paura della strumentalizzazione la ritengo un sottovalutare l’intelligenza e la libertà di quante hanno scelto, senza ricette, di volersi incontrare nella giornata del 13 perché un nuovo corso avvenga. Se no perché? Se non ora quando? E se sempre, perché non anche il 13?

Fosse solo per far cadere Berlusconi se la sarebbero spicciata i due tre partiti e qualche altro soggetto, con preponderanza di uomini, in questo caso sì, politicizzati. A parte il fatto che essere politicizzati/e nei modi e nei luoghi non è un’infamia, e a insultare o rifuggire per questo ci si trascina appresso il luogo comune che la politica è cosa sporca. Come quello che le donne sono tutte con la p.

Ridare dignità e credibilità alla politica ecco il compito primario che ci spetta e ci aspetta.

A Reggio nessun palco, donne e uomini hanno parlato in piedi sul basalto di piazza Camagna gremita fin sopra le rampe scenografiche, con un microfono-amplificazione recuperati chissà come, non proprio da grande concerto. Un cerchio prossemico naturale e chi ha voluto ha parlato. Tre grandi pannelli di cartone con pennarelli apposti, su cui scrivere qualsiasi cosa. Le frasi scritte nella loro contrazione e frammentazione denotano un gran bisogno di saggezza, di filosofia di vita, di immaginario altro, quello che molto raramente si ha modo di cogliere per strada, nei media, perfino in famiglia: amore, dignità, figli/e, giustizia, lavoro, futuro…  qualche lampo poetico che lega il sorriso del figlio, l’odore del mare, l’arcobaleno…  E qualche cartello di sapore antiberlusconiano: io sono la figlia di Agamennone. Una signora mi ha chiesto cosa volesse dire, non essendo riuscita ad  agganciare le parentele fino a Mubarak.  

Difficile pensare che l’antiberlusconismo come punto unico potesse essere così ben organizzato e nello stesso tempo dissimulato. Il senso da cogliere è più apocalittico, universale, è: basta, oltre. Con quella determinazione e risolutezza della femmina animale quando la sua prole è in pericolo.  Ecco, Il livello di guardia di un’esondazione del degrado generale questa volta lo ha voluto esprimere un grandissimo numero di donne. Con una partecipazione alquanto eterogenea. Perfino il clero femminile per dire alla società e mandare a dire anche alla loro domus aurea. Qui potrebbe infilarsi il tanto sbandierato “moralismo” e “ puritanesimo”.  Le donne, tutte, dalle prostitute alle giovani veline, sono libere di usare il proprio corpo come credono, ma la mercificazione va oltre la proprietà del proprio corpo e richiamo nuovamente  B. Beccalli Vi è anche il timore che l’autonomia femminile venga messa in discussione da un ritorno di moralismo giudicante su pratiche e comportamenti relativi all’uso del corpo delle donne. La proprietà del proprio corpo è come un habeas corpus femminile che è stato importante nella storia del femminismo dagli anni 70 in poi. In questa storia la rivendicazione dell’autonomia femminile non era in contrasto con la critica alla mercificazione del corpo delle donne. Anzi, la mercificazione, la «donna oggetto» erano viste come tipiche lesioni dell’autonomia: le femministe d’antan bruciavano i reggiseni, attaccavano i negozi di biancheria intima, non si depilavano. «Né puttane, né madonne, siamo donne» era il loro motto. Combattere la mercificazione non è moralismo bacchettone, è una rivendicazione di dignità, che può essere condivisa o rifiutata: se alcune o molte si trovano bene in un contesto mercificato, e sostanzialmente imposto dagli uomini, sarà loro libera scelta usare il corpo e la seduzione tradizionale… quel che mi colpisce, e mi convince ad andare alla manifestazione, è che una vera scelta tra uso del corpo e uso della testa oggi è resa molto difficile dalla struttura delle opportunità che si offrono alle donne. Anche in un futuro ideale ci saranno ragazze carine che aspirano a un benessere immediato e che sceglieranno l’uso del corpo e della seduzione, piuttosto che il lavoro duro e l’ingresso in carriere difficili.

Ci sono state ragioni per prendere le distanze e buone ragioni per esserci. L’Udi di Reggio c’è stata, oltre che per condivisione, per un principio di inclusione che è nel nostro nome, non separatezza.

Perché il corpo femminile non rimanga intrappolato in un sistema di potere, come baratto, ricompensa, ornamento, usufrutto.

Ma la dignità femminile ha le altre molteplici coniugazioni che riguardano il lavoro come diritto, la scelta come diritto senza la quale non vi è libertà, la parità come diritto e non fittizia, o concessione… 

E per questo abbiamo lavorato e lavoreremo con passione e… fatica.

Si calcola un milione di donne accorse. E un milione i messaggi di donne raccolti nell’Anfora della Staffetta Udi poco più di un anno fa.

marsia

(foto Udirc)

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1960. Rosa Oliva è una dottoressa, ma in scienze politiche. Ha fatto dire 33 alla Corte Costituzionale.

rosa oliva

Prefetta? No!

Magistrata? No!

Diplomatica? No!

Signora generale? No!

A parte gli aggettivi tuttora  considerati stridenti al femminile, quelle carriere erano vietate alle donne: tutti i posti e le mansioni nell’Amministrazione Pubblica sia direttive che di semplice organico. Una legge ante Costituzione, del 17 luglio 1919, attiva per il principio di continuità dello Stato, ma incostituzionale.

L’art. 7 recitava:

Le donne sono ammesse, a pari titolo degli uomini, ad esercitare tutte le professioni ed a coprire tutti gli impieghi pubblici, esclusi soltanto, se non vi siano ammesse espressamente dalle leggi, quelli che implicano poteri pubblici giurisdizionali o l’esercizio di diritti e di potestà politiche, o che attengano alla difesa militare dello Stato secondo la specificazione che sarà fatta con apposito regolamento.

E l’art. 8:

Gli atti compiuti dalla donna maritata prima del giorno dell’entrata in vigore della presente legge non possono impugnarsi per difetto di autorizzazione maritale o giudiziale, se la relativa azione non sia stata proposta prima di detto giorno.

In sostanza la concezione patriarcale della società riservava ai maschi italiani, per una sorta di tacita legge salica naturale, la successione nella gestione della cosa pubblica, pur con certe concessioni collaterali come il libero accesso alle professioni e la soppressione della potestà maritale. Lo Statuto Albertino d’altra parte prevedeva solo eredi maschi per il Regno d’Italia.

Il voto per la gestione della res publica come suffragio universale viene concesso (il termine suona: ti dono qualcosa delle mie proprietà)  per la prima volta alle donne nel 1945 (governo Bonomi, proposta di legge Togliatti-De Gasperi) ed esercitato il 2 giugno del 1946 nella importante scelta del referendum monarchia-repubblica. In realtà le donne votavano già in Italia fin dal 1924, ma solo per le amministrative (la ministra Carfagna recentemente su questo si è parecchio impappinata: http://www.youtube.com/watch?v=B4jtlzSS-1c&feature=player_embedded).

Era il 1960. Le donne dunque già votavano (in Turchia dal 1923, Svizzera solo  1971), ma erano ancora gravemente penalizzate nell’esercizio dei diritti che i Padri e le Madri della Costituzione (non oso mettere prima le madri perché solo 21 su  556) avevano riconosciuto e istituito.

Rosa Oliva, una ragazza qualsiasi, fresca di laurea in Scienze politiche, appassionata degli studi appena compiuti si chiede: perché  non posso entrare nell’Amministrazione dello Stato?

Certo non potevo ignorare la disparità fra ciò che avevo studiato e una realtà che, di fatto, negava i miei diritti. Come? La Costituzione sanciva, con l’articolo 3, il principio di uguaglianza davanti alla legge. Con l’articolo 51, l’uguaglianza nell’accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive. Qualcosa non andava.

Rispondendo a un bando di concorso del Ministero dell’Interno aveva fatto domanda per il primo grado nella carriera di Prefetto, essendone molto attratta.

Fu respinta, ma chiese le motivazioni per iscritto.

Si consulta col suo professore Costantino Mortati, grande giurista calabrese di Corigliano Calabro (aveva partecipato all’Assemblea Costituente), della  generazione che considera la Costituzione un’icona sacra piuttosto che scia del diavolo, e parte un’operazione che stravolgerà l’immagine e la vita pubblica delle donne.

Rosa, col patrocinio di Mortati, produce ricorso alla Corte Costituzionale e al Consiglio di Stato impugnando la norma del Regno sopra riportata – L. 17 luglio 1919, n. 1176, Norme circa la capacità giuridica della donna – per “ illegittimità costituzionale”.

Rosa vinse il ricorso.

Se la costituzione non fosse stata retta dai profondi principi pensati dai quei Padri e quelle Madri, di  uguaglianza, di parità, di giustizia, se soltanto avesse strizzato l’occhio a questa o quella lobby, oligarchia, casta, oggi la vita delle donne sarebbe stata ancora più dispari e sottomessa per potere salico.

Fu una grande restituzione dei diritti della persona, ma soprattutto dei diritti di tutte le donne per opera di una solitaria e sconosciuta sabotatrice che con mezzi legali e intelligenza ha aperto una falla nella storia tracciata al maschile, mai più richiudibile.

Grazie, Rosa Oliva.

[una delle interviste a Rosa:

http://job24.ilsole24ore.com/news/Articoli/2010/05/%20rosaoliva-apre-13052010.php?uuid=83c57ed6-5e77-11df-9173-01a2af354a3e&DocRulesView=Libero]

Sabato 11 settembre 2010 l’UDI Monteverde di Roma, l’UDI di Milano e il Comitato 503360, tramite patrocinio della Provincia  di Roma, hanno celebrato il 50° anniversario della Sentenza n.33/13 maggio 1960 della Corte Costituzionale con una conferenza, “50 Verso la parità – Responsabilità individuali e responsabilità collettive delle donne”, che si è tenuta presso l’Aula Consiliare di Palazzo Valentini, a Roma.

M. M.

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Esecuzioni

Riceviamo da UDI Monteverde e immettiamo. 

LE DONNE FANNO STORIA

Vi trasmetto il comunicato che abbiamo inviato oggi.

Saremo presenti anche al sit-in davanti all’Ambasciata iraniana, alle ore 16.30, via Nomentana 363, con il nostro STOP FEMMINICIDIO. Carla Cantatore

 

Sakineh

Condannata a morte Carla Bruni, definita la “ PROSTITUTA ITALIANA” che ha scritto nella lettera a Sakineh «Versare il tuo sangue, privare i tuoi figli di una madre? Perché? Perché hai vissuto, perché hai amato, perché sei una donna, un’iraniana? Ogni parte di me rifiuta di accettare questo».

NO non accettiamo, SI’siamo tutte prostitute.

L’opinione pubblica internazionale si mobilita per salvare la vita a Sakineh Mohammadi-Ashtiani.
L’Italia espone la gigantografia di Sakineh sul Palazzo del Ministero delle Pari Opportunità

Da ogni parte si stanno moltiplicando petizioni e richieste ufficiali a Teheran per salvarla.

La Francia esorta l’Ue a minacciare sanzioni contro l’Iran se Sakineh verrà lapidata, e chiede all’Alto rappresentante dell’Unione Europea Catherine Ashton, che venga inviato un messaggio comune dai 27 Paesi Ue all’Iran per salvare la donna. Stati Uniti e il Brasile, le hanno offerto asilo per tentare di salvarle la vita.

Salvarla, sì il minimo, per quale vita però? Sakineh è stata condannata nel 2006. La pena è stata confermata nel 2007 dalla Corte Suprema iraniana. Sakineh afferma di essere stata costretta a confessare, e frustata, secondo la denuncia di Amnesty International.  Oggi otto donne e tre uomini si trovano attualmente nei bracci della morte del paese, in attesa della lapidazione. La lapidazione resta in vigore, in diversi paesi o regioni, tra cui, oltre all’Iran, l’Arabia Saudita, gli Emirati Arabi Uniti, la Nigeria, il Pakistan, il Sudan e lo Yemen. La lapidazione può anche essere introdotta come è successo in Indonesia nel 2009.

Le pietre non devono essere così grandi da far morire, in questo caso la condannata, lanciandone solo una o due, ma non devono nemmeno essere così piccole da non essere pietre.

Chi scaglia le pietre dunque avrà diritto a tutto il tempo necessario a scegliere la pietra “giusta” per far soffrire tanto e a lungo.

Secondo Amnesty le lapidazioni vengono eseguite anche da attori non statali.

Anche da noi avvengono  esecuzioni private, poiché questo è il femminicidio, esecuzione capitale senza processo, per mano di uomini, per capriccio, in casa o in macchina preferibilmente, per infliggere sofferenza e guardarle.

Dolori d’amore? Tradizione culturale? Atto di fede?

 

STOP FEMMINICIDIO

Il FEMMINICIDIO è la summa teologica delle tante violazioni dei diritti universali dell’umanità, che ovunque alle donne capita di subire.

L’ONU si assume la responsabilità di definire lo stupro crimine di guerra?  E il FEMMINICIDIO?

La dimensione di genere, che nella violazione di questi diritti è da considerarsi cruciale, deve essere considerata punto cardine dei diritti universali dell’umanità.

Nel 2008 il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha votato all’unanimità la risoluzione 1820 che definisce lo stupro un’arma di guerra, “un crimine di guerra” e “contro l’umanità“. Si impone “l’immediata e completa cessazione” di “tutti gli atti di violenza sessuale contro i civili” e “l’adozione immediata di misure per proteggere i civili, comprese donne e bambine, da tutte le forme di violenza sessuale“.

Ora occorre una analoga risoluzione circa esecuzioni capitali e torture di ogni tipo alle quali vengano sottoposte le donne in quanto tali, sia in condizioni di evidente conflitto bellico, sia in condizione presunte di pace.

Poiché la pace deve valere per tutti, donne e uomini, negli eserciti come nelle case.

Poiché non si potrà più affannarsi per il raggiungimento di un empowerment femminile nascondendo alla vista e alle coscienze il grave pericolo di morte che incombe sulle donne.

Ma la vita delle donne prima di tutto deve essere garantita, come recita l’articolo 3 della dichiarazione: ogni persona ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza.

Ma questo non sarà possibile finché sarà ammesso che la libera scelta di un amore di donna possa  essere considerato delitto, e la pena la morte.

E finché la tortura di una donna sarà concessa perché donna, anche in presunte condizioni di pace, in questo nuovo mondo nel quale le guerre non vengono più dichiarate e la maggior parte delle violenze è diretta contro la popolazione civile, e le peggiori atrocità contro i non combattenti ma soprattutto le non combattenti, e non vi sarà un nuovo patto di rispetto fra donne e uomini in nome della perpetuazione dell’umanità, non si potrà dire o presumere di aver fatto il nostro dovere di esseri umani capaci di amore e giustizia.

Una gigantografia di Sakineh su un palazzo governativo a Roma vuole esporne l’immagine di questa donna per salvarle la vita e per testimoniare l’esecrazione di un paese per chi vuole invece annientarla. Così questa vita o morte di donna entra a pieno diritto nella Storia degli uomini e delle donne, lei, una per tutte, le vittime della Cronaca giornaliera.

Lo stesso paese che vede a braccetto, nello stesso momento, il proprio rappresentante e l’uomo avvolto nel mantello, fra feste sardanapaliche, queste sì spudorate nel mentre che le famiglie vengono cacciate dalle case di cui non riescono più a pagare i mutui, gli uomini perdono il lavoro e le donne ancor di più.

E attraverso la tv assistiamo impotenti e attoniti a presunte e superpromozionate conversioni di giovani donne, prescelte o acquistate da quel tipo d’uomini, coloro che non scherzavano quando si autodefinivano “utenti finali”.

Sempre la tv, quella in cui Sakineh fu costretta a confessare quella che non può essere chiamata colpa.

Anna Maria Spina

UDILab Monteverde

 

La gigantografia di Sakineh in piazza Colonna a Roma (Adnkronos)

E oggi, 2 settembre, l’ennesima dal bollettino delle esecuzioni. Milano. Prima un colpo nel cortile, poi prende la mira dal balcone e uccide Teresa.  Si stavano separando.

 

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Per un’economia femminile

Troviamo su fb che a sua volta cita ipsnoticias una interessante intervista a Rose Maria Muraro. Molti spunti, suscettibili anche di qualche obiezione, in ogni caso gli argomenti sono cruciali e anche l’approccio. L’obiezione principale è: perché relegare ancora una volta le donne nel rango della cura? Benché trasformare una condanna storica in riscatto di genere possa essere segno di pragmatismo e operatività, resta problematico riproporre lo schema storico della cura come caratterizzante in quanto tale il genere femminile.

Intervista  del  quotidiano IPS a  Rose Maria Muraro madre del femminismo brasiliano, autrice di 35 libri. Muraro si mantiene produttiva e combattiva con i suoi 79 anni ed ha annunciato una nuova opera per il 2011 con proposte per un’economia di cooperazione e solidarietà che recupera valori come il baratto e incorpora una prospettiva di genere per lo sviluppo.

E’ nata quasi cieca e solamente a 66 anni grazie ad un intervento chirurgico è riuscita ad ottenere la vista.

Ma la sua menomazione  non le ha impedito di studiare Fisica ed Economia, sposata da 23 anni ha cinque figli, di dare  impulso al femminismo brasiliano e  di opporsi  alla dittatura militare che ha governato il paese dal 1964 al 1985. Né ha ostacolato il ruolo di divulgatora della Teologia della Liberazione attraverso “Vozes” rivista cattolica che ha co-diretto con il teologo Leonardo Boff.

IPS:  Come spiega che le donne pur avendo un grado di istruzione maggiore a quello degli uomini, guadagnano di meno e patiscano la disoccupazione?

RMM: Qualcosa sta migliorando e le donne guadagnano  circa il 90% di quello che guadagnano gli uomini. Un grande ostacolo è la scarsa rappresentanza femminile nelle legislature nazionali, degli Stati e a livello locale. Le donne tendono a votare per gli uomini. Abbiamo bisogno di campagne per il voto alle donne.

IPS: Perché le donne non riescono a farsi eleggere pur rappresentando la maggioranza dell’elettorato?

RMM: Grazie al pregiudizio interiorizzato che le donne sono esseri inferiori. Abbiamo ancora una maggioranza di donne conservatrici, che difendono il patriarcato e considerano l’uomo più adatto a governare. E visto che sembrerebbe più ‘naturale’ che gli uomini abbiano più probabilità di essere eletti, i partiti danno ad essi più risorse. Le candidate quindi hanno meno visibilità e meno risorse economiche in campagna elettorale. Abbiamo avuto però una rivoluzione con la pillola abortiva. Quarant’anni fa vi erano solo il 5% di donne parlamentari, oggi il doppio. Il Brasile è uno dei paesi con il più basso indice di rappresentanza, lontano dal 50% dei paesi del Nord Europa, ma stiamo cercando di migliorarlo grazie al lavoro  femminista.

IPS: In Brasile è stata stabilita una quota femminile del 30% nelle candidature dei partiti. Non crede che questo aiuti una maggiore partecipazione?

RMM: Molto poco, perché i partiti non si conformano e l’assenza di autostima alle donne giudicate inferiori,  fa si che essa rimanga inapplicata. Poi, c’è il problema delle candidate “arancia”figlie, mogli, sorelle dei candidati più conosciuti  che si succedono. E’ un meccanismo perverso.

IPS: Non è in contraddizione con la superiorità scolastica e l’istruzione universitaria delle donne?

RMM: La scolarizzazione da sola non basta. E’ necessaria un’educazione specifica di genere. Che non si dividano i giocattoli per le femminucce e per i maschietti, che i ragazzi e le ragazze pratichino lo stesso sport e non le le bambole per le bambine e il calcio per i maschietti. Dobbiamo cambiare l’educazione sessista.

IPS: Però l’insegnamento  è in mano alle donne, le donne dominano nella docenza.

RMM: Fisicamente non culturalmente. E’ necessario formare insegnanti per l’educazione di genere. Bisogna allora cambiare i libri. Il vocabolario è impregnato di sessismo, la grammatica è diretta all’uomo e potete immaginare com’è la mentalità delle persone. Il compito è enorme e richiede generazioni  perché il cambiamento è più profondo e quindi più lento.  E’ da trent’anni che lotto solitaria ed isolata. Adesso la società mi riconosce. C’è stato il progresso, ma non la vittoria, perché questa parola interiorizza la competitività maschile.

IPS: Lei collega la parità tra i sessi al cambiamento dell’economia. Perché?

RMM: Si, perché l’economia è ancora di sesso maschile. Il che significa il dominio e la concorrenza, la matematica del successo, la massimizzazione degli utili. La visione delle donne è all’opposto, collaborazione, sviluppo di un’economia di solidarietà, il successo della persona e non gli utili.

IPS:  Come si concretizza l’economia al femminile?

RMM: Con il microcredito ad esempio, che è destinato ai poveri e alle donne indigenti. Nell’esperienza dell’economia solidale con monete complementari.

L’economia di ‘cura’ (bambini, anziani, malati) è nettamente al femminile e poco valorizzata sul mercato. Le donne  secondo le Nazioni Unite, rappresentano il 90% delle badanti. La donna al potere cambia la natura del denaro. E’ quello che spiego nel libro “Reiventare il capitale monetario”, che dovrebbe essere pubblicato nella prima metà del 2011.

IPS: Lei ha anche scritto ” Dialogo per il futuro” assieme all’economista americano Hazel Henderson, dove propone di cambiare le misure e il concetto del Pil

RMM: Il Pil racconta la ricchezza e il gioco dei soldi e  le risorse che si perdono, per esempio il petrolio, viene esportato e non è rinnovabile. Non tiene conto dell’ inquinamento,della deforestazione, del degrado del territorio. La distruzione della specie umana è

dovuta all’uomo che ha promosso il super-consumo e non  paga per  l’inquinamento.

IPS:  Il femminismo coinvolge altra scienza e tecnologia?

RMM: Si, le donne hanno un diverso modo di fare scienza, una scienza collaborativa, una scienza per la , per la distribuzione a tutt* ,mai patentaria come quella di Craig Venter (biologo americano che ha guidato il progetto privato sul genoma umano).

Perché? Perché si fa carico del feto, nutre il neonato, si prende cura di tutti.

Altri dati delle Nazioni Unite indicano che è femminile l’80% della militanza ecologista ; 90% quella contro la militarizzazione ;70% contro la povertà.

Fonte: http://ipsnoticias.net/notaasp?idnews=96159

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Buone notizie: l’Onu crea l’Agenzia per le donne

Da www.ipsnotizie.it

NAZIONI UNITE, 5 luglio 2010 (IPS) – La creazione di “UN Women” è un segnale di buon auspicio in vista della prossima sessione dell’Assemblea generale, che si riunirà a settembre per valutare lo stato di avanzamento degli Obiettivi di sviluppo del millennio (MDG), da cui dipende in gran parte il raggiungimento della parità di genere

Circa 50 delegazioni di governo hanno partecipato all’annuale Revisione ministeriale del Consiglio Economico e Sociale (Ecosoc) delle Nazioni Unite, la scorsa settimana a New York, per discutere di sfide e progressi in tema di uguaglianza di genere.

Nella dichiarazione finale dell’incontro, incentrata sulla “attuazione degli obiettivi e degli impegni concordati a livello internazionale in materia di parità di genere e di emporwement femminile”, i presenti si sono impegnati a raggiungere l’obiettivo in tutto il mondo, adottando diverse misure in questo senso.

La più importante, la creazione dell’agenzia dell’Onu per la parità di genere e l’empowerment femminile, o “UN Women”, approvata dall’Assemblea generale venerdì, al termine dell’incontro.

“Ringrazio gli stati membri per aver mosso questo passo determinante per le donne e le bambine di tutto il mondo”, si legge in una dichiarazione del segretario generale Onu, Ban Ki-moon.

“UN Women contribuirà in modo significativo alla promozione della parità di genere, a creare maggiori opportunità e a far fronte alla discriminazione nel mondo”, aggiunge.

“Mi rallegra che uno degli sforzi più importanti abbia dato i suoi frutti”, ha commentato Preneet Kaur, ministro degli Esteri indiano.

La dichiarazione ministeriale sottolinea anche l’importanza di adottare nuove strategie per combattere la disuguaglianza di genere. Il documento di sette pagine evidenza la necessità di introdurre una prospettiva di genere nel delineare, implementare e valutare programmi e politiche nel campo economico, sociale e politico.

La parità di genere “è cruciale per la crescita economica in tutti i suoi aspetti”, ha segnalato il presidente di Ecosoc Hamidon Ali.

Tra i punti chiave della dichiarazione: accesso delle donne nell’economia formale, eliminazione della violenza contro donne e bambine, migliorare l’educazione e sradicare l’analfabetismo, aumentare l’accesso all’assistenza sanitaria e alla salute riproduttiva, attuare leggi contro la discriminazione di genere e aumentare l’accesso al microcredito.

Il documento “è stato adotto con uno spirito di collaborazione e di cooperazione fra tutte le delegazioni”, ha osservato Ali. “Ecosoc ha dato un messaggio chiaro specificando che la parità di genere e la promozione dell’empowerment femminile sono al centro dello sviluppo”, ha aggiunto.

Uno dei temi più discussi, le conseguenze negative sulle donne della crisi economico-finanziaria e alimentare. “Riconosciamo che le donne si vedono colpite in modo sproporzionato da molte crisi e diverse sfide, ma anche che possono essere leader, perfino nei processi decisionali”, recita la dichiarazione.

Un altro dei temi al centro del dibattito, la relazione tra l’empowerment femminile e le possibilità di raggiungere gli MDG, quando mancano pochi mesi alla 65esima sessione dell’Assemblea generale incaricata di valutare i progressi in questo campo.

Gli otto obiettivi di sviluppo dell’Onu puntano a ridurre della metà la percentuale di persone che vivono nella povertà e soffrono la fame, raggiungere l’educazione primaria universale, promuovere la parità di genere, ridurre la mortalità infantile di due terzi e quella materna di tre quarti; combattere la diffusione del virus Hiv, causa dell’Aids, la malaria e altre malattie, assicurare la sostenibilità ambientale e promuovere un partenariato globale tra Nord e Sud per lo sviluppo. Tutto questo entro il 2015, in base ai parametri del 1990.

La dichiarazione ha richiamato l’attenzione sulla “disuguaglianza” nei progressi raggiunti, in particolare rispetto al terzo obiettivo, la parità di genere, al quinto, migliorare la salute materna, e al sesto, combattere Hiv/Aids, malaria e altre malattie.

“Raggiungere il terzo obiettivo è fondamentale per il raggiungimento degli MDG”, dice il documento. “La parità di genere è essenziale per gli Obiettivi del millennio”, ha concordato Ali.

L’adozione della dichiarazione ministeriale è stata giudicata da molti come un fatto degno di nota, e come un segnale positivo in vista dell’incontro di settembre, anche se diverse organizzazioni di donne che si sono battute per la creazione di questa nuova entità hanno lamentato che il processo di nomina degli incarichi direttivi non sarebbe stato equo né trasparente, e che gli stati membri avrebbero fatto solo vaghi riferimenti al tema dei finanziamenti.

“Investire nelle donne dovrebbe essere al centro di ogni agenda nazionale… per poter raggiungere gli obiettivi del 2015”, ha detto il presidente di Ecosoc. “Questo risultato è di buon auspicio in vista del vertice sugli Obiettivi di sviluppo del millennio”. © IPS (FINE/2010)

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