Archivi tag: pedofilia

Provocazione e scaldaletto

Rientrare nella materia oscura dopo la piccola pausa festiva è duro, persino doloroso. Perché è dolore per tutte le donne lo stupro, il massacro e la morte della ragazza avvenuta giorni fa in India (non se ne conosce il nome perché la legge indiana vieta la divulgazione per le vittime di stupro).

A poche ore dal funerale si sono avute notizie di altri stupri, quelli approdati ai media, ma centinaia quelli quotidiani subiti nel chiuso delle case, del posto di lavoro, per strada o su un autobus. In India risultano denunciati  circa 24.000 stupri nel 2011, ma l’incidenza reale è sconosciuta e certamente altissima su una popolazione di 1,2 miliardi di persone.

Lo stupro in India è un codice comportamentale maschile legato anche alla concezione per caste della società, e dentro ogni casta la donna occupa la parte più bassa, ma ha soprattutto alla base la concezione planetaria che il corpo della donna è di dominio dell’uomo, gli spetta, uno ius naturale.

Lo stupro si ripete con le stesse modalità e intenzionalità sotto ogni latitudine, in India diventa un codice d’onore diversificato. Da quello domestico per sottomissione della donna, suppellettile di proprietà, a quello di casta, a quello di offesa etnica militare, a quello punitivo per le donne che vestono o hanno modi all’occidentale.

Le donne indiane per quanto possano occidentalizzarsi vestono comunque in lungo, sari o pantaloni, e mussulmane col velo. Ciò nonostante molti stupratori si difendono asserendo che sono stati provocati, unica difesa possibile.

C’entrano poco i centimetri di pelle scoperta, è una cultura.

Una cultura che è possibile sradicare, qui da noi come altrove. Basta provarci, cioè investire in contro-cultura, in programmi educativi e di socializzazione tra i generi, certo più di due, per sconfiggere sullo stesso piano omofobie, stereotipi e rapporto violento. Non servono ergastoli, pene inasprite, censure e divieti da neobigottismo.

Pochi accenni indicativi dello stato sociale delle donne indiane. Il numero di donne rispetto agli uomini sulla popolazione è inferiore per la soppressione delle femmine alla nascita o da piccole (aree rurali più interne e fasce più povere), per evitare la tassa sempre più esosa della dote al futuro marito (pratica tuttavia illegale), causa anche di femminicidio se non riscossa  (donna come costo da rimuovere, Armellini). Lo sfregio sul viso con l’acido può essere la terribile punizione per un rifiuto o insubordinazione (un campionario scioccante su internet). Maltrattamenti e umiliazioni tra le mura domestiche hanno frequenza quotidiana (secondo Amnesty per il 45% delle donne sposate). I movimenti delle donne per contro sono molto attivi per operatività e ricchezza di dibattito. (fonte ISPI

Un rapper indiano, tuttora in hit parade, esalta l’amore violento e di possesso (un suo pezzo è titolato Prostituta), si è visto annullare un concerto il 26 dicembre sull’onda delle proteste dilaganti di donne, ancora in corso.

Ma più di altre, la scena atroce di un fratello che punisce una sorella con una decapitazione pubblica è emblematica di una mentalità. La sorella, riferisce l’Hindustan Times, era fuggita con l’ex fidanzato per sottrarsi alle «torture quotidiane subite nella casa dei famigliari del marito». Il fratello scova i due amanti: «Ha trascinato per i capelli la sorella in strada e l’ha decapitata sotto gli occhi dei passanti. “Avrei ucciso anche l’amante se l’avessi trovato in casa”, ha giurato il 29enne». (AGI). Ma la cosa più terrificante è che percorre alcuni chilometri con la spada in una mano e la testa della sorella nell’altra per andare a costituirsi alla stazione di polizia. Spiega agli agenti di essere stato costretto al gesto «per salvare l’onore della famiglia».

Su questo filo, tre preti che hanno capito poco delle donne.

Uno le vuole ingravidare per vedere l’effetto che fa, uno le striglia perché provocano: il femminicidio se lo sono cercato, uno intervistato sullo stupro in India dice che solo il cristianesimo ha liberato la donna.

E che dire allora degli abusi sessuali su minori, della pedofilia ecclesiastica nelle ombre delle sacrestie? Le bambine e i bambini provocano, vestono in modo provocante? Se lo sono cercato? Fenomeno tutt’altro che trascurabile se l’avvocato Jeff Anderson riesce ad ottenere per i suoi assistiti 30 milioni di dollari di risarcimento dalle diocesi americane, e se alla Corte internazionale dell’Aja è stata tentata una denuncia contro il Vaticano dalle associazioni delle vittime, con un dossier di 20.000 pagine che documentano i reati per violenza sessuale di ecclesiastici nei cinque continenti. L’atto è stato prodotto probabilmente anche per risonanza mediatica, la denuncia è stata ritirata nel febbraio 2012 e il caso archiviato, ma i fatti restano.

E le povere ragazze, dette maggies, delle Magdalene Laundries nella cattolicissima Irlanda? Tutte provocatrici. L’ultima casa-lavanderia fu chiusa nel 1996 (non per ragioni etiche ma per l’arrivo massiccio delle lavatrici elettromeccaniche) dopo 150 anni dall’istituzione. Quasi 30.000 donne vi sono passate, sfruttate e abusate sia da suore che da preti, confessori e direttori spirituali. Sex in a Cold Climate, documentario con interviste dirette, e Magdalene, film di Peter Mullen, ne hanno raccontato le storie. Le denunce risalenti anche fino agli anni ’40 del secolo scorso sono state 3.000, fu istituita una commissione d’inchiesta governativa nel 2000 e nel 2004 suor Breeg O’Neill, superiora dell’ordine che aveva gestito le case Magdalene, chiese scusa pubblicamente: «Senza alcuna riserva e incondizionatamente noi ci scusiamo di fronte a ciascuno di voi per la sofferenza che abbiamo potuto causare. Noi esprimiamo il nostro sincero dolore e domandiamo il vostro perdono». L’associazione Justice for Magdalenes fondata prevalentemente da figlie di quelle donne lotta ancora per il diritto al risarcimento.

magdalene hausesWomen inside one of the original Magdalene laundries, circa 1940s. Photograph: Roz Sinclair/Testimony Films

Se la notizia è inestinguibile e si muovono i tribunali e la storia irreversibile e le risultanze scietifiche inconfutabili, restano le scuse.

Ammettere e riconoscere pubblicamente colpe storiche non è facile per la chiesa cattolica. Una di queste è la concezione della donna ricorrente nei testi teologici e dottrinali, insostenibile alla luce dell’evoluzione storica culturale e scientifica di oggi.

Perché il parroco di S. Terenzo-Lerici, Piero Corsi, fa suo un pessimo editoriale di un web-fogliaccio fondamentalista-integralista misogino e lo espone nella bacheca della sua chiesa? Così tuona:

«Una stampa fanatica e deviata attribuisce all’uomo che non accetterebbe la separazione la spinta alla violenza. Possibile che in un sol colpo gli uomini siano impazziti? Non lo crediamo. Il nodo sta nel fatto che le donne sempre più spesso provocano, cadono nell’arroganza, si credono autosufficienti e finiscono con esasperare le tensioni. Bambini abbandonati a loro stessi, case sporche, piatti in tavola freddi e da fast food, vestiti sudici. Dunque se una famiglia finisce a ramengo e si arriva al delitto (forma di violenza da condannare e punire con fermezza) spesso le responsabilità sono condivise».

«… Quante volte vediamo ragazze e signore mature circolare per strada con vestiti provocanti e succinti? Quanti tradimenti si consumano sui luoghi di lavoro, nelle palestre e nei cinema? Potrebbero farne a meno. Costoro provocano gli istinti peggiori e poi si arriva alla violenza o abuso sessuale (lo ribadiamo. Roba da mascalzoni). Facciano un sano esame di coscienza: forse questo ce lo siamo cercate anche noi?»

E perché il parroco di Condera-Reggio Calabria, Nuccio Cannizzaro, cerimoniere della Curia e cappellano della polizia municipale, in una intercettazione sui suoi intrighi, e resa pubblica, così si esprime sulle donne? «A noi preti ci dovrebbero autorizzare almeno una volta nella vita a mettere incinta una donna “per vedere l’effetto che fa”, senza sposarla, qualche prete e qualche vescovo lo ha fatto» … «questo religioso è diventato vescovo nonostante le porcate che ha fatto».

Qualcosa come un semplice tiro al pallone per godersi il gol. O piuttosto fa pensare al piromane malato che appiccato l’incendio poi si gode la terribilità dello spettacolo, incurante della tragedia procurata a piante animali case persone. Il corpo femminile in queste parole è inerte, una bambola gonfiabile, senza volto, solo l’apparato riproduttivo come un’escrescenza alien di godimento, ma anche di punizione.

Chi autorizza cosa? Tanta sensibilità e profondità di pensiero in che rapporto sta con la professione teologica?  Lo ius naturale sul corpo delle donne, la cultura planetaria maschile dell’appropriazione, della rapina sessuale tocca anche il profondo ecclesiastico?

Gli stereotipi sociali correnti assorbiti fin dall’infanzia sono corrosivi e indelebili senza un buon lavoro di conoscenza e di consapevolezza. Un prete non ne è esentato. Ed è ovvio che ci sono uomini e preti meravigliosi.

Quanto al paesaggio culturale dove abitano e convivono le figure teologiche e quelle reali, come quella della donna, studiato e vissuto dall’uomo di chiesa se ne può dare un campionario sterminato. E capire come venga da lontano una certa sostanza strutturante. Se ne sono accorte da un po’ anche le donne ecclesiastiche e ne discutono, con voce più forte oltreoceano.

Levitico, 15

19 Quando una donna abbia flusso di sangue, cioè il flusso nel suo corpo, la sua immondezza durerà sette giorni; chiunque la toccherà sarà immondo fino alla sera. 20 Ogni giaciglio sul quale si sarà messa a dormire durante la sua immondezza sarà immondo; ogni mobile sul quale si sarà seduta sarà immondo. 21 Chiunque toccherà il suo giaciglio, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà immondo fino alla sera. 22 Chi toccherà qualunque mobile sul quale essa si sarà seduta, dovrà lavarsi le vesti, bagnarsi nell’acqua e sarà immondo fino alla sera. 23 Se l’uomo si trova sul giaciglio o sul mobile mentre essa vi siede, per tale contatto sarà immondo fino alla sera. 24 Se un uomo ha rapporto intimo con essa, l’immondezza di lei lo contamina: egli sarà immondo per sette giorni e ogni giaciglio sul quale si coricherà sarà immondo.

Dunque occorreva scomparire dalla faccia della terra come appestate o lebbrose, colpevoli per danni personali, sociali e all’ambiente. Lo sbigottimento e la paura dell’uomo arcaico davanti all’affioramento misterioso del sangue sul corpo della donna si codifica con l’isolamento e la punizione, poi la riammissione con la purificazione. Una volta al mese la donna fertile è un essere immondo che turba la collettività e contamina tutto.

Paolo riprende e amplia un precetto del Levitico:

«Di ogni uomo il capo è Cristo, e capo della donna è l’uomo, e capo di Cristo è Dio. Ogni uomo che prega o profetizza con il capo coperto, manca di riguardo al proprio capo. Ma ogni donna che prega o profetizza senza velo sul capo, manca di riguardo al proprio capo, poiché è lo stesso che se fosse rasata. Se dunque una donna non vuol mettersi il velo, si tagli anche i capelli! Ma se è vergogna per una donna tagliarsi i capelli o radersi, allora si copra. L’uomo non deve coprirsi il capo, poiché egli è immagine e gloria di Dio; la donna invece è gloria dell’uomo. E infatti non l’uomo deriva dalla donna, ma la donna dall’uomo; né l’uomo fu creato per la donna, ma la donna per l’uomo. Per questo la donna deve portare sul capo un segno della sua dipendenza» (Prima lettera ai Corinzi, XI).

Ecco lo ius naturale di cui deve godere l’uomo, non due persone pari e responsabili ma una dominante e l’altra subordinata come figurante di utilità, servizio, abnegazione. Figurante di piacere o di curiosità riproduttiva: il mettere incinta senza sposarla, per vedere l’effetto che fa. Il corpo nella sua diversità e bellezza goduto per effrazione senza alcuna responsabilità e insieme negato e punito.

In quanto peccatrice per natura (diaboli ianua) e istigatrice al peccato, anzi origine del peccato primordiale la donna è così descritta da Tertulliano, dottore della Chiesa (De cultu feminarum, 1,1):

«Ogni donna dovrebbe camminare come Eva nel lutto e nella penitenza, di modo che con la veste della penitenza essa possa espiare pienamente ciò che le deriva da Eva, l’ignominia, io dico, del primo peccato, e l’odio insito in lei, causa dell’umana perdizione.

“Nel dolore e nella inquietudine partorirai, donna; verso tuo marito sarà il tuo desiderio, ed egli sarà il tuo padrone”. Cita Genesi 3,16, riproponendo l’inizio della rappresentazione femminile biblica, e continua «Tu sei la porta del demonio!…».

Robert L. Wilken  sull’Enciclopedia Britannica indica Tertulliano come «iniziatore della ecclesiastica latina, determinante nel plasmare il vocabolario e il pensiero del cristianesimo occidentale».

La violazione corporale come punizione interiore profonda (non è così anche lo stupro?) che la donna deve accettare, anche ringraziando:

«Allora il sacerdote farà giurare alla donna con un’imprecazione; poi dirà alla donna: Il Signore faccia di te un oggetto di maledizione e di imprecazione in mezzo al tuo popolo, facendoti avvizzire i fianchi e gonfiare il ventre; quest’acqua che porta maledizione ti entri nelle viscere per farti gonfiare il ventre e avvizzire i fianchi! E la donna dirà: Amen, Amen!» (Numeri 5, 21). Era un rituale (offerta della gelosia) cui poteva ricorrere  il marito sospettoso portando la donna davanti al sacerdote: se la donna era pura, la maledizione per quella volta non avrebbe avuto effetto.

Paolo, senza mezzi termini:

«Le mogli siano sottomesse ai mariti come al Signore; il marito infatti è capo della moglie, come anche Cristo è capo della Chiesa, lui che è il salvatore del suo corpo. E come la Chiesa sta sottomessa a Cristo, così anche le mogli siano soggette ai loro mariti in tutto» (Lettera agli Efesini 5, 22).

La donna provoca anche quando sceglie la vita consacrata? Con doppi sai e coperture integrali? Nei conventi?

Scipione de’ Ricci, vescovo di Prato, riferisce nelle sue Memorie (1°, pg 113) vicende del convento di S. Caterina di Pistoia (ultimo sorcio ’700) dove «quasi tutte le monache erano state in vari modi tentate, e non poche anche sedotte, come apparisce dai loro deposti…» la stessa priora del convento Flavia Peraccini in una lettera riferisce che la situazione è estesa a tanti altri conventi più di quanto non si immagini.

Si dirà che erano altri tempi, ma il rapporto di Maria O’Donohue, suora incaricata dalla Congregazione vaticana per la vita consacrata dietro le molte denunce di violenze sessuali in ambienti ecclesiastici, riferisce che “gli abusi sono diffusi” e perfino del caso di un “prete che spinge una suora ad abortire, lei muore e lui celebra ufficialmente la messa requiem” (Repubblica, 20/3/2011). Una perfetta sceneggiatura horror.

Fino agli anni ’50 – ’60 del secolo passato si usavano i bracieri per scaldarsi. Prima di andare a letto poteva essere infilato sotto le coperte posto in un’armatura a castelletto, convessa. Curioso il modo popolare regionale di indicare questo scaldaletto che ormai non si usa più: il monaco, il frate, il prete, la monaca. Altre dizioni e appellativi, proverbi, filastrocche, fiabe, pietanze, che da sempre richiamano frati, preti, monache, con l’arguzia e il malizioso humor popolare forse ci spiegano molto.

 scaldaletto monaco

Un terzo prete, Piero Gheddo, missionario, scrive per l’Avvenire, Famiglia Cristiana, in un’intervista sugli stupri indiani con una certa deformazione professionale afferma che solo il cristianesimo ha liberato la donna.

«Le femministe dovrebbero ricordarsi del fatto che il cristianesimo ha portato il riscatto della donna molto prima del movimento delle suffragette. Gesù è stato il primo ad affermare l’uguaglianza delle donne dando loro l’opportunità di conoscere i loro diritti, 19 secoli prima del femminismo che risale solo ai primi del novecento».

Padre Gheddo però avanza subito delle riserve:

«In molte attaccano la Chiesa perché non permette il sacerdozio alle donne, ma questo è un altro problema: il fatto che la donna abbia gli stessi diritti dell’uomo non significa che debba fare tutto, in quanto fa ciò per cui è stata creata da Dio…».

La visione modernista della gerarchia riconosce cioè pieni diritti tra uomo e donna, ma con riserva. Altre riserve per persone che di fatto formano generi: gay, lesbiche, transgender…

L’assunto dottrinale del subordine femminile nelle gerarchie ecclesiastiche è perpetuato oggi con strumenti moderni, non più per fortuna via tortura, inquisizione e rogo (l’ultima strega fu arsa in Italia intorno ai primi dell’ottocento), ma per esempio tramite commissariamento delle suore americane impertinenti, con supervisione della gerarchia maschile.

La Leadership Conference of Women Religious (LCWR) è un’organizzazione che accoglie le 1.500 madri superiore degli ordini religiosi americani  cui fa capo la gran parte delle 60-70.000 religiose. Ha espresso una grande vivacità operativa e culturale per aver innescato intensi dibattiti su come coniugare religione e contemporaneità e per aver fatto emergere la soggettività della componente femminile nello sfondo del magistero ecclesiale. Temi come l’ordinazione sacerdotale femminile e la disponibilità pastorale verso l’omosessualità sono quelli che più hanno disturbato la gerarchia, e poi i temi bioetici, la pena di morte, non ultimo il sostegno alla riforma sanitaria dato a Barak Obama.

W. J. Levada, cardinale statunitense, successore di Ratzinger  come prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede (ex Sant’Uffizio) condusse un’inchiesta sulla LCWR da cui emersero “seri problemi dottrinali”: vi  sono raccolti comportamenti e affermazioni pubbliche che «sfidano i vescovi autentici maestri della Chiesa, della fede e della morale … temi da femministe radicali incompatibili con la dottrina cattolica». Un arcivescovo è stato preposto a seguire e supervisionare l’operato ed è stato istituito un progetto di riforma della stessa LCWR. Per contro le religiose si sono definite «sbalordite dalle conclusioni della valutazione dottrinale» e dalla poca trasparenza del procedimento. In conclusione ad agosto 2012 nell’udienza consuntiva con 900 delegate presenti ha vinto la diplomazia nel senso del dialogo, pur vigilato dalla gerarchia. Una frattura scismatica di 60-70mila donne religiose accusate di radical feminism, con tutto il loro seguito, oggi sarebbe molto temibile.

Il termine femminismo ricorre spesso come accusa virale nei media di massa come classifica negativa di pensiero e operato femminile ribelle, provocatorio, eversivo. E’ dunque incluso anche tra le riserve confessionali delle categorie dell’essere donna…

Cosa sia femminismo vivo e costruttivo si può vedere dal brano riportato più avanti. Qualcosa per cui ogni donna può comunicare, creare, lavorare per se stessa e per le altre con l’obiettivo di opporsi ad una condizione collettiva subita di sopruso, sfruttamento, privazione.

«Una singolare forma di ribellione al femminile si è verificata in questi anni proprio nelle zone rurali dell’India, dove più arretrate sono le condizioni di vita e minori le speranze delle donne di “emanciparsi”, di sfuggire al loro destino di oggetti di proprietà del marito. Nello Stato settentrionale dell’ Haryana è iniziata una campagna intitolata: “No WC, No Bride”: molte giovani donne  si sono rifiutate di sposarsi  a meno che il pretendente non fornisse la loro  futura casa di un bagno. Stufe di utilizzare servizi igienici comuni, di accovacciarsi nei campi, e di soffrire per infezioni genitali divenute spesso croniche a causa della carenza d’igiene personale,  queste donne hanno dato voce al loro disagio utilizzando l’unica arma a loro disposizione: la loro verginità, il loro essere donne e mogli…(Silvia Carena).

1 Commento

Archiviato in diritti della persona, Donne nel mondo

In ricordo di Teresa Buonocore e Bègm Shnez

 Portici, 2 ottobre, ore 18,30

Il lupo, cappuccetto rosso lo incontra nel bosco, ma le bambine lo possono incontrare tra i propri cari, sul pianerottolo di casa, un pomeriggio nella casa dell’amichetta accanto… Non soltanto le bambine, è chiaro.

Teresa vive nelle nostre menti e nei nostri comportamenti, e vivrà nel ricordo come una madre che con coraggio civile ha denunciato il molestatore di una delle sue figlie, otto anni.

La sua esecuzione per commissione alla manovalanza criminale non può avere l’effetto di impaurire, ma al contrario quello di rafforzarci nella determinazione di approdare ad una società più giusta.

Questo femminicidio non nasce nella povertà e nell’ignoranza, ma nella media borghesia che ha studiato. L’ipocrisia del buon nome vale più della vita di due bambine e della loro madre. E la punizione mortale è pur sempre inflitta a quel soggetto ultimo, in questo caso una donna, che non conta nulla nell’insieme della retorica di potere/rappresentanza e che osa ribellarsi frantumando le stratificazioni omertose consuete.

A Portici l’UDI di Napoli organizza una fiaccolata con moltissime adesioni, quasi tutta la cittadina e cinquemila fiaccole salutano Teresa. L’UDI di Reggio è virtualmente presente con la sua.

Una fiaccola anche in Campidoglio a Roma. Le donne dell’UDI sfilano in contemporanea a Bologna e Polignano a Mare.  Moltissime le adesioni da tutta Italia.

 

 

***

Bègm Shnez

9 ottobre 2010 –  A Novi per Bègm ancora fiaccole parole rabbia

Chiediamo all’UDI di Novi di considerarci presenti e di accendere una fiaccola  per noi.

A Novi un’altra donna uccisa, Bègm Shnez, madre che difende la figlia.

Il rifiuto di una frequentazione in funzione del matrimonio imposto scatena l’aggressione dei maschi di famiglia: il fratello riduce in coma la  sorella Nosheen, studentessa di vent’anni, il padre uccide la moglie Bègm protesa a difendere la figlia.

Non può non venire in mente il caso di Hiina ragazza pakistana uccisa a Brescia parché legata ad un ragazzo non scelto dal capofamiglia (la Staffetta UDI contro la violenza sulle donne si concluse proprio per questo a Brescia).

Nel caso dell’uccisione di Hiina vi è l’appoggio e la giustificazione della madre, nel caso di  Nosheen la madre si oppone e difende la figlia pagando con la vita.

Bègm e Teresa e tante altre, straniere o no, ingrossano il bollettino di guerra giornaliero delle vittime per un riscatto di dignità femminile. Non possono essere visti come scontati casi di cronaca nera. Vanno invece articolati ogni volta nel loro contesto. E il contesto non piace perché è riferibile sempre alla supremazia maschile planetaria, alla stratificazione nel profondo maschile del senso di proprietà fisica dell’altro genere.

Da informazioni UDInaz.  sappiamo: 

“L’8 marzo di quest’anno le donne di Novi, tra cui alcune dell’UDI, sono andate ad invitare le famiglie di stranieri residenti nel loro paese ad un pranzo multiculturale, organizzato dal Comune, pranzo preparato da una pakistana, una cinese, una marocchina e un’italiana.

Quando hanno bussato alla casa di Begm Shnez per invitare tutti, anche gli uomini, il marito avrebbe  detto: Signora non si avvicini mai più alla mia casa perché noi le ragazze e le donne le teniamo in casa. “

Ahmad Ejaz, direttore a Roma della rivista in lingua urdu “Azad” (Libertà) -.” Non c’entra l’Islam, questi comportamenti dei capifamiglia affondano le radici nel sistema delle caste chiuse indiane, in un mondo rurale in cui far sposare la figlia al primo cugino significa preservare la proprietà delle terre“. (Repubblica, 4 ottobre 2010).

E’ la conferma del concetto arcaico di proprietà della donna come bene materiale assimilato a quello delle mandrie, degli animali domestici, delle terre possedute, dell’acqua e delle vettovaglie. Una realtà amara che affonda nella notte dei tempi. La donna era, è proprietà. Nella società più “evoluta” questa realtà sembra scomparsa, ma osservando comportamenti, statistiche, forme di comunicazione, mondo del lavoro, se ne scopre il residuo vivo anche negli ambienti più benevoli, un residuo denso, al fondo di una botte che si vede solo svuotandola.

I matrimoni combinati, certo per ragioni di convenienza materiale, sono stati attuati in Italia fino agli anni ’70. Se ne occupavano il mezzano o l’ambasciatore, diversamente chiamati in questa o quella regione. La verginità costituiva trofeo e motivo d’onore nel senso del primo possesso del corpo della donna e del possesso a vita. Solo nel 1981 fu abrogata la normativa sul delitto detto d’onore: tre anni era il minimo della pena. In Italia. Dunque di cosa parliamo? 

Occorre considerare il femminicidio un grave problema culturale da affrontare alle radici. Prima di tutto a scuola e nell’ambito della comunicazione pubblica. Altro che profusione e spreco di simboli per tronfiezze e vanità pseudoetniche o infiltrazioni di cultura paramilitare per essere “allenati alla vita“… A scuola.

In un paese dove vengono ammazzate almeno due donne alla settimana e senza elencare le loro altre pene da vive, la soluzione educativa per affrontare la vita è infiltrare la scuola con la cultura paramilitare! La furberia spiega che così si educano i ragazzi ai valori, anzi è il vero antidoto al bullismo crescente recita il protocollo tra Ministero Pubblica Istruzione e Ministero Difesa.

Basterebbe ricordare che nel cuore della cultura militare, dove i giovani la vivono e la praticano cioè nell’esercito, vive il padre sempre giovane (al contrario del nome) di tutti i bullismi chiamato nonnismo. Chi non ricorda la morte del parà Scieri? La scuola della prepotenza del più forte verso il più debole o l’inferiore. Chi ha l’arma in mano è dentro l’apoteosi del più forte. Un micro modello metaforico da rivivere poi in società e in famiglia.

I ragazzi devono confrontarsi e socializzare? Ma a scuola sono già nella migliore condizione di socializzazione ragazzi e ragazze attraverso lo scambio dei saperi e delle abilità inventive e espressive. Resta troppo mal coperto il ricordo nostalgico dello stato etico, dello scontro come culto, mascherato da pratica sportiva. Pattuglie, tiro con l’arco e con la pistola, giocare a colpire.

Fare la guerra come gioco o il gioco della guerra a scuola (gioco atavico dei maschi) toglie terreno a quella cultura delle relazioni che vuol vedere la società più equilibrata, e dal punto di vista anche femminile. Serve a far accettare le missioni così dette di pace che saranno sempre più permanenti in difesa degli interessi strategici e delle risorse prelevate altrove. Alle donne, alle donne madri l’immaginario della guerra e del colpire non piace.

E ancora.

Su tutte le reti del monolocale TV con una frequenza ossessiva si succedono scene di terrore e di violenza, in qualsiasi serial proveniente da oltreoceano, in qualsiasi fiction nostrana, perfino nei magazin culturali dove si ricostruiscono accuratamente grandi battaglie e torture. Questa enorme olografia del crimine e dell’offesa ai corpi trasmessa in ogni casa, quotidianamente, anche se è la storia dell’uomo, forma quella psicologia della soluzione finale che non è escluso si possa scatenare al sorgere di un qualsiasi conflitto interpersonale.

Lascia un commento

Archiviato in Uncategorized