Il bambino e la legge

Cattura farfalle

Non conosciamo le lunghe sequenze giudiziarie tra la madre e il padre di Padova, non interessa come vicenda privata, e non si tratta di parteggiare per l’una o per l’altro, marito/moglie, attrice/attore processuale. Ma per quanto si è visto nel video, del loro bambino prelevato a scuola coi metodi della cattura, vi è qualcosa di profondamente errato e quindi inaccettabile come metodo, come progetto di un’operazione della forza pubblica e per i danni che l’episodio violento, ormai strutturato nella mente del bambino, produce o produrrà. Tra dieci venti sessanta anni, su internet o una futura forma simile di memoria elettronica, sicuramente più impietosa e invadente, quel bambino è segnato a vita da quel video indelebile come un marchio a fuoco, facilmente individuabile nella persona e nel cognome.

Già dai primi titoli degli articoli sui giornali si delinea la crudezza dell’avvenimento, ma l’enfasi, la forzatura mediatica, la sentimentalizzazione non aiutano a capire, anzi distorcono qualcosa che è già estremamente complesso e che produce lacerazioni dolorose nella vita privata, lotte feroci di presupposti e contenzioso di corpi. Una guerra estesa tra famiglie, sostenuta anche dal ddl 957 di cui ricordiamo le linee in altro post.

Il presupposto secondo le notizie è che sia stata utilizzata la PAS, Sindrome di Alienazione Parentale, come strumento diagnostico – processuale. Il padre, genitore avvocato, avrà giocato con buon tiro indipendentemente da qualsiasi considerazione di merito, su ciò che avrebbe portato l’esito sperato. La parte avversa ricorre alla Pas se le è utile nella controversia, il ctu in affianco al giudice la applicherà con zelo o meno a seconda se sostenitore o non. Un dolore di stomaco non è un’opinione di chi lo subisce né deve essere un’opinione di chi lo diagnostica.

La Pas qualora introdotta e accettata nella prassi processuale ha degli effetti penalizzanti e coercitivi per principio sostenuti da una sindrome, paludata di indiscutibilità (pseudo)scientifica, ma altrettanto – e più – rigettata e non riconosciuta. Attribuisce una patologia in via deduttiva, teorizza una colpevolezza su istanza di parte, permette l’affido condiviso anche alla parte genitoriale violenta o abusante dietro il principio del diritto alla genitorialità. Brandita come arma, dove in ogni processo per separazione avremo bambini e bambine con sul capo patologie e perizie. Finisce per essere utilizzata prevalentemente contro le donne anche da quei padri padroni e violenti per ottenere l’affido condiviso o  toglierlo.

Non si vuole con questo negare né l’affido condiviso né che possa esistere una manipolazione o il plagio o danni inflitti da parte genitoriale.

La sindrome, al di là della forma utile ai fini processuali, non si può negare che possa essere riscontrata, ma non ha codificazioni accettate e protocolli condivisi.

Dice il professor Pierantonio Battistella, docente di Neuropsichiatria infantile all’Università di Padova: «La Pas è una sindrome di cui si comincia a parlare adesso, è ancora molto poco conosciuta e raramente viene diagnosticata. Nella sua vita professionale un neuropsichiatra infantile non la vede spesso e non è facile da individuare, perchè i genitori separati non di rado si accusano a vicenda di mettersi i figli contro. La Pas è una situazione di maltrattamento del bambino che attenta alla sua incolumità psichica, fisica e affettiva: è un non riconoscimento del suo diritto a essere se stesso. Le conseguenze di quanto accaduto sono quelle legate a tutte le violenze: il bimbo soffrirà di ipervigilanza, cioè starà sempre sul chi vive, avrà ansia, bassa autostima, perchè è stato attaccato dalle persone per lui più importanti. Rischia di andare incontro ad autosvalutazione, depressione e problemi del sonno, di sviluppare una personalità introversa e difensiva, gravata da un’aggressività che muta in una carica di violenza perchè non mitigata dall’affettività. Può diventare chiuso, insicuro, violento verso se stesso, perchè soggetti traumatizzati nell’età in cui hanno più bisogno di amore maturano un’instabilità capace di degenerare nel suicidio». (Repubblica 12/10/2012)

Tornando al caso del bambino prelevato a scuola e non entrando nel merito processuale.

Il giudice dispone che debba essere recuperato il rapporto tra bambino e padre, e si avvale di agenti di polizia, ma nell’ordinanza avverte: in mancanza di uno spontaneo accordo o esecuzione degli adempimenti, l’attuazione delle disposizioni saranno adottate dal padre affidativo, che potrà avvalersi – se strettamente necessario – dell’ausilio dei Servizi Sociali e della Forza Pubblica, da esplicarsi nelle forme più discrete e adeguate al caso.

Chi decide come e dove? Non certo Montessori o Piaget. Visto il clamore, gli effetti e la risonanza delle reazioni.

Diversi tentativi precedenti erano falliti: i carabinieri si erano rifiutati più di una volta di estrarre il bambino da sotto il letto di casa dove si era rifugiato, secondo una versione. E a ragione.

Viene scelto allora un luogo definito neutro per l’operazione: la scuola.

La scuola? Non è pensabile. Un luogo che per il bambino rappresenta la sua massima socializzazione, dove sta bene perché studia e ha voti eccellenti, luogo di affetti che si ricordano per tutta la vita. Un luogo che dovrebbe essere sereno e protetto, dove per fondamento il bambino deve essere tutelato e che idealmente gode di una sorta di extraterritorialità. Un luogo dove per un verso o per l’altro anche i suoi amichetti e le amichette soffriranno un turbamento, specialmente se hanno genitori separati.

Gli esecutori. Il padre e due agenti in azione, oltre ad altre presenze, e-seguono, applicano su un corpo il principio astratto dell’ordinanza giudiziale, che pure suggeriva le forme più discrete e adeguate al caso, ma comunque esercitando quel potere di coercizione su cui lo stato come struttura di potere si regge.

Infatti una ispettrice di polizia in forza all’operazione dice alla zia del bambino, che la interpella in modo concitato, di non essere tenuta a dare spiegazioni: lei non è nessuno.

Figure professionali esperte: psicologhe, agenti donne – prima donne e poi agenti in questo caso – assistenti sociali, figure conosciute dal bambino almeno avrebbero potuto interpretare il ruolo con quei tratti materni più vicini alla sensibilità del bambino.

La polizia si scusa ma contemporaneamente difende l’operato degli agenti, qualcosa non torna. Non parliamo delle difese d’ufficio a copertura. Non parliamo della politica di turno che deve ispezionare le condizioni del bambino, il bambino così dovrebbe ricevere le visite e il sostegno di circa 600 parlamentari.

Il padre sostiene l’ho salvato. A prezzo di un ennesimo trauma.

La zia munita di telecamera, vigilante perché se lo aspettavano, accorre appena si accorge della presa del bambino con grida strazianti, emozionalmente comprensibili, ma trauma si aggiunge a trauma. La questura dice che c’è un secondo video  che chiarirà, e addebita a zia e nonno l’operazione degenere, denunciandoli per oltraggio e ostacolo alla forza pubblica. Comunque sarà, i tre minuti di quel video valgono da soli per connotarli come violenza su un bambino, anche se in nome della legge.

Chi pensa: prima il bambino?

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per approfondire:

Cinzia Sciuto MicroMega 

Luisa Betti  il manifesto

femminismo a sud

Loredana Lipperini 

Simona Napolitani blitzquotidiano

Zauberei 

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aggiornamento 

A tutte le UDI

A tutte le donne dell’UDI

Il bambino di Padova è stato affidato/“sequestrato” dal padre, levato alla madre e mandato in una casa famiglia per una decisione del Tribunale che è basata sulla PAS “SINDROME DA ALIENAZIONE PARENTALE”, diagnosticata da uno psichiatra perito del Tribunale che sa perfettamente che questa non è riconosciuta dalla scienza medica ed è ciarpame ideologico sessista.

Rimando a tutte il Comunicato stampa firmato dall’UDI nel giugno scorso sul tema e sul tentativo violento delle associazioni dei padri separati di introdurre la PAS nella Revisione della legge sull’affido condiviso.

Penso che possa essere utile in questi giorni e ricordo a tutte che nella Convenzione abbiano posto questo punto in modo molto chiaro.

Buon lavoro

Vittoria

COMUNICATO STAMPA

 

Genitori e figli:

quale futuro per i diritti fondamentali delle donne e delle/dei figlie/i minorenni che hanno subito violenza

Ieri, alla Commissione Giustizia del Senato, si è svolta la discussione sui DDL n. 957(PDL-UDC), DDL n. 2800 (IDV).

 

Queste proposte contengono gravissime violazioni dei diritti fondamentali delle donne vittime di violenza e dei figli minorenni vittime di violenza diretta o assistita, in contrasto con quanto raccomandato dall’ONU in materia alle Istituzioni italiane rispetto alla legge sull’affido condiviso n.54/2006.

Tali disegni di legge rendono obbligatorio il ricorso alla mediazione familiare anche in casi di padri/mariti o partner violenti, a discapito delle madri e delle/dei figli minorenni, subordinando ogni decisione che riguarda i figli ad una condivisione con l’ex partner violento. Tali leggi ricordano la “patria potestà”, cancellata dal diritto di famiglia nel 1975. Inoltre si introduce la Sindrome da Alienazione Parentale quale motivazione “scientifica” a sostegno di queste norme.

Il minore che ha subito direttamente atti di violenza dal padre o ha assistito a forme di violenza fisica sessuale psicologica e verbale contro la madre o su altre figure affettive di riferimento, subisce conseguenze devastanti sotto ogni punto di vista, nel breve e lungo termine, e potrebbe riprodurre quei comportamenti.

Denunciare la violenza domestica per una donna non è un espediente per avere condizioni migliori di separazione, ma una decisone dolorosa per uscire da un trauma profondo dopo molta sofferenza, anche assieme ai propri figli, rispetto ad una persona che si è amata.

La violenza domestica è una realtà in Italia ed in Europa ancora oggi molto diffusa e poco denunciata, è secondo l’ONU la causa del 70% dei femicidi:“ Femicidio e femminicidio in Europa. Gli omicidi basati sul genere quale esito della violenza nelle relazioni di intimità”. In Italia da gennaio a giugno sono 63 le donne ammazzate dal partner.

Avere vicino un marito responsabile e rispettoso, e un padre capace di crescere i figli in maniera condivisa è la premessa per una relazione familiare positiva, è il desiderio di una madre.

La PAS, o sindrome da alienazione parentale è considerata un disturbo relazionale nel contesto delle controversie per la custodia dei figli, in cui un genitore manipola il figlio contro l’altro genitore per rivalersi. Malgrado non esista nessun riconoscimento diagnostico scientifico (DSM) della PAS al mondo, tale “sindrome” viene spesso erroneamente utilizzata nei tribunali e dai servizi sociali in Italia per decretare il diritto dell’abusante, in casi di separazione per violenza agita dal partner sulla madre e sui figli, ad ottenere una mediazione forzata e poi l’affido condiviso dei figli. È bene sottolineare che i bambini e le bambine che hanno un padre violento si giovano della sua assenza: solo così possono ricostruire un reale futuro sereno assieme alla madre.

Si ritiene di dubbia costituzionalità e lesiva dell’ordinamento giuridico italiano la volontà di introdurre della PAS (Sindrome da Alienazione Parentale); vista la sua assoluta e conclamata mancanza di validità scientifica a livello internazionale.

Le realtà che lavorano per il rispetto dei diritti umani e a contrasto della violenza maschile sulle donne e sui figli minorenni, chiedono :

– che la legge vieti espressamente l’affido condiviso nei casi di acclarata violenza agita nei confronti di partner e/o sui figli

– che sia definitivamente proibito l’utilizzo della sindrome da alienazione parentale in ambito processuale e da assistenti sociali come motivo di mediazione familiare e affido congiunto.

 Casa Internazionale delle Donne – Roma; UDI – Unione Donne in Italia Nazionale; Piattaforma CEDAW; Associazione Differenza Donna; Associazione Donne, Diritti e Giustizia; Associazione Giuristi Democratici; Associazione Il cortile; Associazione Maschile Plurale; A.R.PA, Ass. Raggiungimento Parità donna uomo; Bambini Coraggiosi; Cooperativa Be Free; D.i.Re – Donne in rete contro la violenza; Fondazione Pangea; Lorella Zanardo- Il corpo delle donne; Movimento per l’Infanzia; Zeroviolenzadonne

Per info e per adesioni :

 

UDI – Unione Donne in Italia

Sede nazionale Archivio centrale
Via dell’Arco di Parma 15 – 00186 Roma
Tel 06 6865884 Fax 06 68807103
udinazionale@gmail.com
www.udinazionale.org

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