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Costituzionale costituzionale la 194

Il primo attacco frontale alla Legge 194 risale al maggio 1981: l’abrogazione richiesta per via referendaria venne respinta dalla volontà popolare con l’85 % di no. In seguito innumerevoli i tentativi subdoli e trasversi di vanificarla di fatto: i filtri confessionali via consultori, leggi regionali, l’obiezione generalizzata ospedaliera e farmaceutica (91,3% Lazio, 73% Calabria, alcune strutture 100%), oltre ai tentativi bi-partizan in parlamento, campagne miliziane e aiutini mercenari…

Ci riprova a gennaio un giudice che la ritiene incostituzionale e ne deferisce l’esame alla Corte Costituzionale, con qualche dovuto funambolismo.

La Corte si era già espressa in precedenza in diverse sentenze affermando sostanzialmente il principio che nella ratio e nel contesto della 194 il compito del giudice non è giudiziale, ma di tutela e verifica.

Vale la pena riportare qualche passo del giurista costituzionale Paolo Veronesi che ne fa una disamina tecnica (Il corpo e la Costituzione: concretezza dei “casi” e astrattezza della norma, Ed. Giuffré, 2007, pg. 117/123).

[La donna e il suo corpo:]

E’ infatti innanzi tutto necessario – come già si è accennato – riconoscere che la potenziale madre possieda diritti su se stessa…

… si tenta insomma di sottrarre via via terreno agli spazi di decisione oggi accordati alla donna; si amplia con ciò lo iato che separa la sua volontà dal proprio corpo, negandosi per giunta l’immedesimazione donna-feto…

[Soggetti interessati ad ostacolarne i diritti:]

... si vorrebbero mettere a tacere o ridimensionare i diritti costituzionali della donna (in primis, quelli tutelati daggli artt. 13 e 32 Cost.) a favore dell’esclusiva o comunque sbilanciata tutela – contra Costituzione – degli altri soggetti coinvolti nella fattispecie.

[La Corte Costituzionale e il compito del giudice:]

la Corte ha escluso che il “merito” della determinazione finale di abortire costituisca una co-decisione in cui vada variamente trasfusa anche la volontà del giudice (81). Il suo ruolo sarebbe invece quello (tutto “esterno”) di valutare l’esatta osservanza delle procedure, la serietà dell’avvenuta ponderazione dei beni in gioco, l’effettiva capacità della minore di comprenderne la portata (82). Da qui l‘irragionevolezza della pretesa equiparazione dei giudici tutelari al personale sanitario necessariamente coinvolto nell’intervento abortivo. E da qui anche la manifesta inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle quaestiones sollevate dai giudici tutelari avverso le norme che disciplinano ¡ presupposti giustificativi dell’aborto. Nella prospettiva della Corte, infatti, i rimettenti neppure applicherebbero tali disposti; la loro attività si collocherebbe in tutt’altra sfera (83).

 [Il giudice tutelare di fatto:]

… Ad ogni modo, l’obiettivo di ostacolare la volontà della donna viene, in questi casi, immediatamente raggiunto sul piano processuale: sollevare la quaestio di legittimità a fronte di una richiesta della minore significa infatti imporre a quest’ultima — già in difficoltà — di praticare, in extremis, altre strade (come il coinvolgimento dei genitori, anche quando ciò possa risultare sconsigliato, o il devastante ricorso all’aborto clandestino). Oppure, finisce per riversare sul medico la responsabilità di certificare l’urgenza di provvedere. O, ancora, vuole comunque indurre la minore a portare a termine la gravidanza (pur se in presenza dei presupposti che la legittimerebbero a invocare l’intervento abortivo (84). Di fatto, questo comportamento consente al giudice di porre in essere la propria obiezione di coscienza, anche se esclusa dalla legge e respinta dalla Corte; e di sostituire a una decisione “in concreto” della diretta interessata, l’affermarsi di un’opzione assiologica altrui.

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L’eccezione di legittimità costituzionale sulla L. 194 era stata sollevata da un giudice di Spoleto investito del caso di una diciassettenne, come prevede la legge se manca il coinvolgimento genitoriale, che aveva espresso chiara determinazione a non proseguire la gravidanza per seri motivi di inadeguatezza e turbamento. Così indicano le relazioni dei sevizi sociali e del consultorio.

Il giudice ha ritenuto contrastanti l’art. 4 della 194 con i principi fondamentali della Costituzione italiana, in particolare:

l’art. 2 (La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo…),

l’art. 11 (L’Italia … consente alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni…),

e 32/1° comma (La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività… La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona.) 

e 117/1° (La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione…tutela della salute… protezione civile…).

Ma soprattutto la struttura del ricorso alla Corte Costituzionale poggia sulla Sentenza della Corte di Giustizia Europea 18/10/2011, espressa in materia di brevettabilità delle invenzioni biotecnologiche, nel presupposto di quanto afferma riguardo la tutela, definita assoluta, dell’embrione: «sembra doversi ritrarre la conclusione sostanziale che l’embrione umano è suscettibile di tutela assoluta in quanto ‘uomo’ in senso proprio, seppur ancora nello stadio di sua formazione / costituzione mediante il progressivo sviluppo delle cellule germinali».

Nella sentenza (a parte le critiche che ne sono scaturite) è precisato anche che: « deve essere riconosciuta questa qualificazione di embrione umano anche all’ovulo umano non fecondato in cui sia stato impiantato il nucleo di una cellula umana matura e all’ovulo umano non fecondato indotto a dividersi e a svilupparsi attraverso partenogenesi »

E però la stessa Corte avverte nel testo della Sentenza / direttiva: « quanto al significato da attribuire alla nozione di “embrione  umano” prevista all’art. 6, n. 2, lettera c) della direttiva, si deve sottolineare che, sebbene la definizione dell’embrione umano costituisca un tema sociale particolarmente delicato in numerosi Stati membri, contrassegnato dalla diversità dei loro valori e delle loro tradizioni, la Corte non è chiamata, con il presente rinvio pregiudiziale, ad affrontare questioni di natura medica o etica, ma deve limitarsi ad un’interpretazione giuridica delle pertinenti disposizioni della direttiva». 

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Non illudiamoci, gli attacchi alla legge 194 e a tutto quel poco/molto che vi ruota intorno (consultori, bioetica, ecc.) continueranno. La grande pressione storica delle donne, con l’UDI in prima linea, ha ancora il compito di sgretolare la ferrea stretta della conservazione patriarcale. Forze fondamentaliste, misogene, finto-etiche, che avversano l’autodeterminazione delle donne e sono il sottofondo di cui si alimenta la violenza nei loro confronti. L’interruzione volontaria della gravidanza è un diritto, una  responsabilità personale, ma non è un piacere. Le donne hanno diritto alla tutela pubblica della loro salute, senza doversi rivolgere a un torbido sottobosco con rischi mortali. Non possono essere considerate fattrici in nome e per conto, o peggio marsupiali in servizio fino a menopausa.

Le donne, in particolare in Italia, non ricorrono con leggerezza all’interruzione volontaria della gravidanza, lo dice la stessa relazione ufficiale ministeriale:

dalla Relazione annuale al Parlamento IVG 20011

  • Si conferma la tendenza storica alla diminuzione dell’IVG in Italia, che diventa ancor più evidente se si scorporano i dati relativi alle donne italiane rispetto a quelli delle straniere.
  • Si sottolinea come il tasso di abortività in Italia sia fra i più bassi tra i paesi occidentali; particolarmente basso è quello relativo alle minorenni, agli aborti ripetuti, e a quelli dopo novanta giorni di gravidanza.
  • Si configura in questo ambito una specifica situazione italiana: il panorama dei comportamenti relativi alla procreazione responsabile e all’IVG in Italia presenta sostanziali differenze da quelli di altri paesi occidentali e in particolare europei, nei quali l’aborto è stato legalizzato. Siamo in un paese a bassa natalità ma anche basso ricorso all’IVG – dunque l’aborto non è utilizzato come metodo contraccettivo – e insieme un paese con limitata diffusione della contraccezione chimica. Altri paesi (come Francia, Gran Bretagna e Svezia, ad es.) hanno tassi di abortività più elevati a fronte di una contraccezione chimica più diffusa, e di un’attenzione accentuata verso l’educazione alla procreazione responsabile.

In generale, il tasso di abortività sembra collegarsi non soltanto ai classici fattori di prevenzione (educazione sessuale scolastica, educazione alla procreazione responsabile, diffusione dei metodi anticoncezionali, facilità di accesso alla contraccezione di emergenza), ma anche a fattori culturali più ampi.

Fonte: Relazione del Ministro della salute sulla attuazione della legge contenente norme per la tutela sociale della maternità e per l’interruzione volontaria di gravidanza (Legge 194/78). 

Relazioni annuali al Parlamento IVG 1999/2010

Interruzione volontaria di gravidanza – Testo della Legge n. 194 del 22 maggio 1978

Dieci anni fa

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